Fritz Leiber - Le argentee teste d'uovo

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Le argentee teste d'uovo: краткое содержание, описание и аннотация

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Presentazione tratta dai Classici Urania:
Quali mutamenti possono attendere il mondo della cultura nel prossimo secolo? Fritz Leiber ce ne offre un assaggio nel suo romanzo più caustico e divertente. Agli scrittori toccherà firmare soltanto le opere composte elettronicamente dai mulini-a-parole, e recitare in pubblico i ruoli scelti per loro dalle controcopertine. Solo i colleghi robot sapranno scrivere sul serio, ma com’è ovvio, per un pubblico di robot. Questo, fino al giorno in cui gli scrittori inferociti distruggono tutti i mulini-a-parole, per dover poi affrontare una grave crisi di creatività. Solo presso l’Editrice Razzi nessuno sembra scaldarsi molto; forse perché qui si custodisce il grande segreto del secolo precedente, il Divorzio Psicosomatico di Daniel Zukertort. In una nursery segreta, infatti, vivono ancora le trenta argentee Teste d’Uovo la cui esistenza potrebbe scuotere il mondo intero… per il bene di tutti i lettori.

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— La luna è di formaggio! — disse il vecchio in tono di derisione. — Usano la stessa programmazione per tutte le sue epiche del sesso, ma ogni volta viene a galla la qualità del mulino-a-parole e il nome della Ibsen o di chiunque altro non cambia niente. Scrittori! — La sua faccia si incupì, mentre le rughe si approfondivano. — Dovrebbero metterli tutti in fila e fucilarli, dopo quello che hanno fatto questa mattina! Fare saltare i parchi di divertimento e avvelenare le fabbriche di gelati non sarebbe stato altrettanto orribile. Il governo sostiene che non è molto grave e domani dirà addirittura che tutto va benissimo, ma io riesco sempre a capire, quando cercano di nascondere una catastrofe nazionale. Per esempio, lo schermo del telegiornale comincia a scintillare a un ritmo ipnotico. Avete sentito cosa hanno fatto questi scrittori all’SS Uno? Gli hanno versato dentro acido nitrico! Dovrebbero metterli in fila e fare a loro quello che loro hanno fatto a quei mulini. A quelli che hanno conciato così il vecchio SS Uno dovrebbero infilare in gola un imbuto di plastica e…

— Caro! — l’ammonì la vecchia signora. — La gente sta cercando di godersi la cena!

Gaspard con la bocca piena di bistecca di lievito, sorrise e nello stesso tempo scrollò le spalle in un gesto di scusa all’indirizzo del vecchio, puntandosi la forchetta contro la guancia gonfia.

— Benissimo, madame — disse la signorina Bishop alla vecchia signora. — Potrebbe essere un’ottima idea, quella di vostro marito, per inghiottire questo polpettone di alghe interplanetarie. — E guardò Gaspard. — Comunque, come avete fatto ad arrivare al sindacato degli scrittori? Per mezzo di Heloise Ibsen? — chiese a voce ancora più alta, poi girò attorno alla tavola per percuotergli la schiena quando Gaspard per poco non si soffocò. Il vecchio lanciò sguardi di fiamma.

Nonostante l’incidente, o più probabilmente proprio a causa di questo, Gaspard cominciò a farsi ardito con la signorina Bishop non appena furono di nuovo a bordo di un automatassì.

— No — fece seccamente lei, scostando le mani di Gaspard e ributtandogliele sulle ginocchia. — Avevate detto che avremmo cenato insieme e avremmo parlato. Così, cena e conversazione sia. So che cosa vi sta capitando oggi. Dopo le delusioni che avete subito, vi sentite stanco, ferito e sperduto, così volete il sesso come un poppante vorrebbe il poppatoio. Be’, per il momento io non sto cambiando né pannolini né fontanelle, grazie. Passo tutto il giorno con un gruppo di vecchi bambini cattivi in scatola, cercando di farmi entrare nella mente le loro idee, e non intendo passare la notte sottomettendomi a un processo analogo sul piano fisico. Comunque, voi non avete bisogno di una donna, ma di una bambinaia. Oh, basta!

Quest’ultimo comando sembrava diretto a tutti e due.

Gaspard rimase seduto in un silenzio scorbutico fino a che l’automatassì ebbe percorso la sua cieca strada magnetica fino a quattro isolati di distanza dall’abitazione della ragazza.

— Sono diventato un apprendista scrittore — disse allora — per mezzo di mio zio, che era un mastro idraulico. — Poi cominciò a infilare delle monete nell’apposita fenditura dell’automatassì.

— Immaginavo che si trattasse di qualcosa del genere — disse la signorina Bishop, alzandosi mentre il carapace si sollevava, dopo che era stata infilata l’ultima moneta. — Grazie per la cena e per la conversazione. Qualche volta è difficile anche la conversazione più stupida, specialmente quando ci sono di mezzo io, e per lo meno voi ci avete provato. No, non accompagnatemi alla porta… ci sono solo tre metri, e potete guardarmi mentre entro. — Scese dal tassi e mentre la porta del suo appartamento l’inquadrava, la riconosceva e si apriva per riceverla, disse: — Allegro, Gaspard. Che cos’ha una donna, in fondo, che non abbia anche la produzione dei mulini-a-parole?

La domanda aleggiò nell’aria buia come una microscritta nel cielo, dopo che la ragazza fu scomparsa.

E depresse Gaspard, soprattutto perché gli ricordò che non aveva comprato un volumetto nuovo per quella sera, e ormai non aveva voglia di andare alla ricerca di una edicola aperta.

Poi cominciò a chiedersi se la ragazza aveva inteso dire che per lui, le donne e la narrativa dei mulini non erano altro che strade verso l’annullamento.

L’automatassì sussurrò: — Andiamo da qualche parte signore, oppure scendete?

Forse avrebbe dovuto andare a casa a piedi, pensò: era solo a dieci isolati di distanza. Avrebbe potuto fargli bene. Una sensazione paludosa andava crescendo dentro di lui… una solitudine scura, fredda, sporca, umida, un profondo autodisprezzo, il bisogno di scuotere il proprio ego, in qualche modo.

Maledizione, perché aveva interrotto Zane Gort quando stava per dargli l’indirizzo di quella casa d’appuntamenti di robot, comunque la chiamassero! La casa di madame Pneumo? Era stanco, stanco, stanco. Non aveva dormito, dopo i sonnellini durante il turno di notte; ma il suo pessimo umore era ancora più forte della stanchezza. Anche lo stordimento, per non parlare delle carezze robotiche, gli sarebbe stato d’aiuto, quella sera.

— Andiamo da qualche parte, signore, oppure scendete? — L’automatassì stava parlando in tono da conversazione, adesso.

Ebbene, poteva fare tacere il suo orgoglio e chiamare subito Zane. Per lo meno i robot non rimbeccavano “Te l’avevo detto io!”, e non ci si doveva mai chiedere se dormivano o no. Si tolse il telefono dalla tasca e mormorò il numero in codice di Zane.

Andiamo da qualche parte, signore, oppure scendete?

La risposta venne immediatamente, in toni zuccherosi che somigliavano a quello della signorina Blushes.

— Questo è un messaggio registrato. Zane Gort si scusa di non essere disponibile per un colloquio. Sta tenendo una conferenza al Club dei Tessitori Mentali Metallici di Mezzanotte sull’argomento “L’antigravità, nella narrativa e nella realtà”. Sarà libero fra due ore. Questo è un messaggio regi…

— ANDIAMO DA QUALCHE PARTE, SIGNORE, OPPURE SCENDETE?

Gaspard scese dall’automatassì e cominciò a camminare prima che quello richiudesse il carapace, oscurasse i finestrini e azzerasse il tassametro.

21

Sebbene fosse affollato quel grande granaio grigio che era il caffè la Parola era carico di storia, quella sera, e infestato da mille spettri tozzi, scuri e brontolanti che inseguivano una pallida muta fantasima, bellissima ma emaciata fino al punto di apparire scheletrica.

Questo era abbastanza naturale, poiché la Parola, come gli altri locali straordinariamente simili che l’avevano preceduta, nel passato, era stata testimone delle frenesie, delle manie e delle frustrazioni (per cento anni) di scrittori che non scrivevano affatto: e offriva perpetuo ricovero all’unico, esile sogno che sembra avere qualsiasi scrittore, anche nominale: di scrivere veramente qualcosa, un giorno o l’altro.

I fitti tavolini verdi, con i piani appositamente graffiati e le sedie da cucina dell’epoca erano un pietoso monumento funebre alle defunte bohème creative.

Poiché i tavoli degli scrittori erano tradizionalmente serviti dagli apprendisti, il risultato era quello di una moltitudine di Shakespeare, di Voltaire, di Virgili e di Ciceroni che servissero un banchetto a un branco di sempliciotti. I modelli di robot antiquati servivano ai tavoli dei non scrittori, aggiungendo alla scena un tocco grottesco.

Tre delle pareti che si curvavano dolcemente verso l’interno erano ricoperte, per un’altezza di nove metri, di stereoritratti di scrittori patentati vivi e defunti, ma tutti appartenenti al periodo dei mulini-a-parole. Erano di dimensioni un po’ più grandi di quelle naturali, ed erano serrati gli uni agli altri come le caselle di una gigantesca scacchiera, irregolare alla sommità, dove potevano essere inseriti anche i nuovi venuti. A pochi centimetri da ogni faccia galleggiava una florida firma nera; ogni tanto il nome era impresso a caratteri di stampa, oppure vi appariva una croce scarabocchiata con un piglio di sfida. In un certo senso, l’effetto complessivo di quelle tremila teste colossali in altrettante scatole trasparenti piene di luce (quasi tutte le facce sogghignavano in modo accattivante, mentre qualcuna era imbronciata o meditabonda) non era affatto riposante e non induceva a pensieri di liete tradizioni e di benevole fratellanze.

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