Fritz Leiber - Scacco al tempo

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Scacco al tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Carr Mackay ha un lavoro tranquillo, una fidanzata che lo spinge a far carriera e una vita tutto sommato ben pianificata. Ma ecco che un giorno conosce una strana ragazza, bella e alquanto terrorizzata, e da quel momento la sua vita scivola lungo binari diversi. Scopre di possedere un oscuro potere che il mondo attorno a lui sembra aver perduto, e soprattutto si rende conto che il tempo non è uguale per tutti. O meglio, che non tutti sono obbligati a rispettare la sceneggiatura cosmica imposta silenziosamente al genere umano dall’ordine delle cose. Da quel giorno la vita cambia per Carr Mackay, in modo radicale e spaventoso, poiché fra i pupazzi che tutt’intorno continuano la loro recita si nascondono altri ribelli niente affatto amichevoli…

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Carr si rese conto che la chiatta era ormeggiata sul lungofiume, soltanto che lui, in quel momento, si trovava sul lato della chiatta lontano da questo. Con traballante cautela, aggirò il ponte sul lato di poppa, trovò l’altra sponda, sbirciò sopra la murata, vide che fra lui e la pietra della riva non c’erano più di trenta di centimetri d’acqua. Aspettò un attimo, scavalcò la murata, recuperò l’equilibrio.

Proprio allora un vivido bagliore rosso fiammeggiò alle sue spalle, illuminando i mattoni e la pietra della riva come se fosse giorno. Stringendo spasmodicamente la murata, premendo le gambe, contro di essa per non cadere, Carr girò la testa. Vide il battelliere in piedi a prua con un razzo di segnalazione delle ferrovie che gli sfrigolava in mano. Contro la superficie nera del fiume, la metà inferiore del suo corpo gigantesco tagliata fuori dal basso tetto della cabina, la sua schiena in ombra, i grumi possenti dei suoi muscoli, il suo ampio volto e i capelli aggrovigliati riflettevano l’accecante bagliore rosso, e lui pareva un reggitore di torce nell’inferno, un segnalatore in riva allo Stige. Vide Carr. Per sette volte mosse la torcia in cerchio, poi altre sette volte e infine la scagliò in alto nell’aria, facendola roteare.

— Segnali — borbottò enigmaticamente dal lato opposto alla cabina. — Fidatevi del vecchio Jules.

Il razzo ancora acceso venne giù come una piccola meteora e si spense sfrigolando nel fiume.

— Ascoltate! — Carr sentì il richiamo del battelliere anche se quasi non riusciva più a distinguerlo tant’era profondo il buio che era calato all’improvviso dopo lo spegnimento del razzo… oppure era stato il suo stordimento a tornare? — Ascoltate. Lo sentite? — ripeté il battelliere con voce sommessa ed ebbra. Carr tese le orecchie ma non fu conscio di niente se non dei rumori meccanici di Chicago. — Eccolo! — gridò il battelliere: — Clankety-clank… clankety-clank… È il vero suono dell’universo. È la musica delle sfere. È il vostro coro celeste. Non molto dolce vero? — Fece una pausa. Poi, voltandosi verso la città, agitò minaccioso il pugno.

— Ma aspettate! — ruggì. — Aspettate! La vostra ora sta per giungere. C’è un nuovo potere che guida la grande macchina. Un potere che può fondere le città come una fiamma ossidrica fonde l’acciaio. Vedremo se la grande macchina riuscirà a resistere a questo, con la gente ancora tutta addormentata. Vedremo! Vedremo! Vedremo!

La vista di Carr si schiarì. Attraversò il sottile nastro d’acqua e s’incamminò con passo incerto per il lungofiume.

15

Carr aprì la porta della sua stanza e recuperò l’equilibrio appoggiandosi allo stipite. La finestra aveva ancora il nero della notte. Chiamò sottovoce: — Jane? — Non vi fu nessuna risposta. Questo lo fece afflosciare un po’. La testa gli faceva male, il suo corpo era esausto, gli indumenti gli producevano un’acuta sensazione di scomodità.

Ascoltò ancora il fioco e gutturale ronzio meccanico di Chicago alle quattro del mattino, come il ronfare d’un gran numero di gatti rannicchiati e disposti in cerchio. Fu colto da un brivido. Poi raccolse le proprie forze, chiuse finalmente la porta e accese la luce.

Lanciò un’occhiata alla lettera che aveva istintivamente agguantato dalla sua casella al pianterreno. Era di Marcia. Non c’era bisogno che l’aprisse. L’aveva già letta… vediamo… due sere prima. La lasciò cadere.

Un rettangolo di carta appoggiato alla mensola del caminetto attirò la sua attenzione. C’erano soltanto un paio di righe di scrittura. Provò una stretta al petto quando lesse la firma: Jane.

La calligrafia era più affrettata e ancora meno leggibile rispetto a quella che aveva visto altre volte. Ma riuscì rapidamente a capire quanto vi era scritto:

Questo posto non è più sicuro. Sono andata in quella vecchia dimora, al mio alloggio del secondo piano. Raggiungimi là.

Parve a Carr che quel lontano ronfare diventasse un po’ più intenso e minaccioso. Andò alla scrivania, frugò nei cassetti, trovò una torcia elettrica. Irradiava soltanto un fioco bagliore giallo ma se la cacciò in tasca lo stesso.

Fuori, nel buio della notte fonda, le strade erano più deserte di quanto le avesse mai viste prima. I suoi passi parvero lanciare echi alla distanza di parecchi isolati. Provò una vaga gratitudine per le forze del caso che gli avevano aperto una pista, che gli avevano sgomberato la strada dagli automi poiché si sentiva spaventosamente stanco. Soltanto il pensiero che ben presto sarebbe stato insieme a Jane gli consentiva di muoversi. Le orrende scoperte dei giorni scorsi gravavano su di lui con forza schiacciante, come se il suo corpo fosse stato una macchina di metallo che lui doveva tenere in piedi con le deboli energie della carne e dei nervi. Se adesso avesse potuto rientrare nel posto che gli era stato assegnato nella vita, sentiva che gli sarebbero rimaste soltanto le forze sufficienti a compiere il suo lavoro di macchina. Sarebbe stato una macchina e niente più di una macchina.

Se soltanto lui e Jane avessero potuto tornare indietro… Adesso quella possibilità gli appariva estremamente desiderabile, ma infinitamente remota. Le ebbre parole del vecchio Jules, il battelliere, echeggiarono ancora una volta nella sua mente: vuote, remote come una sfida infantile, futile, rivolta a un universo defunto.

Gli isolati scorrevano via lenti. Tutto quello che pareva realmente cambiare era la qualità degli echi dei suoi passi, mentre rimbalzavano prima su questo e poi sull’altro muro.

Quel vuoto nelle strade appariva fantastico. Per un po’ si baloccò apaticamente con l’idea che Chicago fosse stata svuotata di tutti i suoi automi, fino a quando non passò davanti a una singola, isolata figura che indossava un impermeabile scuro, luccicante, accanto ai binari del tram, a un isolato dalla sua destinazione.

La stanchezza lo aggrediva a ondate. Si rese conto che, malgrado avesse appreso soltanto adesso che l’universo era una macchina, lui si era sempre sentito una macchina. La testa gli si accasciò sul petto.

Scoprì che le sue mani stavano stringendo mollemente delle sbarre di ferro battuto. Le agguantò con maggior forza per risollevarsi e guardò verso l’alto. Come in un sogno, la vecchia dimora gli comparve davanti come una catasta incolore avvolta nel grigio chiarore del primo crepuscolo dell’alba. Tutte le finestre erano buie, le più basse più sbarrate che mai, le più alte dai bordi frastagliati di tenebra. Mentre si faceva strada lungo il vialetto coperto di erbacce, passando davanti al consunto cartello con la scritta IN VENDITA, una lievissima brezza fece frusciare le foglie scure sopra di lui per spegnersi quasi subito. Il sentore di umidità del giardino era intenso e aspro.

La grande porta all’ombra del sottoportico era socchiusa di qualche centimetro. Carr ascoltò per un attimo, poi la spinse. La porta strisciò con un lieve gemito sul tappeto raggrinzito, così come il cancello aveva fatto sulla ghiaia. Carr entrò e d’un tratto una buona metà della sua stanchezza scomparve come se quella vecchia casa esigesse un’accentuata vigilanza, quasi un tributo dovutole. L’odore si trasformò da umido a muffito, con una punta d’acqua marcita. Il fievole raggio della sua torcia gli rivelò un pavimento mezzo coperto da un tappeto, l’altra metà scoperta. Le pareti erano rivestite da ragnatele cariche di polvere che mostravano dei rettangoli d’un colore leggermente più pallido là dove un tempo si trovavano appesi dei quadri. Le masse informi di due poltrone coperte da teli. Una scalinata dall’ampia curva, la cui ringhiera era sorretta da colonnine sottili elaboratamente scolpite. E parecchie grandi porte buie.

Carr fece balenare la sua luce verso queste ultime aperture, rivelando altra sporcizia e altro vuoto. In fondo alla fila delle porte che davano sul retro della casa, intravide l’inizio di una seconda scala, più stretta.

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