Connie Willis - Il sogno di Lincoln

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Vincitore del John W. Campbell Memorial Award, ambito premio statunitense riservato agli autori più promettenti,
(1987) è il primo romanzo importante di Conie Willis, un’autrice che si è poi segnalata con opere di tutto rispetto.
Che accadrebbe se una donna dei nostri tempi scoprisse di poter viaggiare nel tempo grazie ai suoi poteri mentali, in particolare a una specie di ponte psichico stabilito con il generale Robert Lee, il grande sconfitto della guerra civile? Da questa premessa parte un romanzo appassionante, una cruda e realistica ricostruzione della guerra civile americana e del suo mondo, ma anche un’avventura ricca di imprevisti: per esempio; che ruolo ha nella vicenda il cavallo di Lee, Traveller? E perché un uomo dei nostri glomi sembra inspiegabilmente identificarsi con lui? Lo scoprirete con Connie Willis.

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Ritornò a letto. Misi la catenella alla porta sul corridoio e vi spinsi contro la poltrona, bilanciando il solito libro sul bracciolo. Corressi bozze per un po’, lessi per un altro po’ il Freeman, sonnecchiai, ma non riuscii a dormire davvero, nonostante nelle ultime due notti avessi dormito al massimo tre ore. E fu un bene.

Annie uscì dal letto, infilò la vestaglia e si annodò la cintura, con un fare così calmo che all’inizio pensai fosse sveglia. Spostò la poltrona dalla porta e il libro cadde, facendo sul tappeto un rumore più attutito di quanto mi aspettassi. Allungò la mano verso la catenella.

— Dove stai andando, Annie? — dissi piano.

— È colpa mia — fece lei. Sganciò la catena.

— Non è colpa tua. Forza, torniamo a letto. — Rimisi a posto la chiusura e la guidai dolcemente verso il letto, sfiorandola appena. Lei non resistette. Vicino al letto si fermò e si tolse la vestaglia.

— Che cosa gli è successo? — chiese.

Alla gallina? A Tom Tita? O a tutti quei ragazzi dai capelli gialli?

— Li troveremo — risposi. Entrò nel letto e si stese. Le rimboccai la coperta. Quindici minuti dopo accadde tutto da capo. Dopo averla rimessa a letto incastrai lo schienale della poltrona sotto la maniglia e attesi.

Questa volta passò mezz’ora, e poi lei si alzò di nuovo, infilò la vestaglia, legò la cintura e tentò di spostare la poltrona. Non ci riuscì. Si voltò a guardarmi. — Che cosa gli è successo? — disse irritata, come se io glielo stessi nascondendo.

— Li troveremo — dissi io, e di nuovo la guidai verso il letto, appoggiandole lievemente la mano sul braccio; ma questa volta a mezza via si fermò e fece due passi verso le finestre.

— Colpa mia — disse piano. — Colpa mia.

Eravamo di nuovo a Gettysburg, nel bosco che sembrava un forno, a guardare i soldati di Pickett che cercavano di ritirarsi dal muro.

— Colpa mia — sussurrò, fece qualche passo in avanti, barcollando, e cadde sulle ginocchia, col viso fra le mani.

— Che cos’è, Annie? — dissi, inginocchiandomi al suo fianco. — È Gettysburg? È Pickett’s Charge?

Lei tolse le mani dal viso e sedette sui talloni, guardando la scena invisibile.

— Riesci a svegliarti, Annie? Riesci a dirmi che cosa stai sognando?

Allungò un braccio in avanti, verso qualche cosa sul pavimento di fronte a lei, poi lo ritrasse. — Lei è morta, vero?

Rimase inginocchiata là per più di un’ora, con me che ogni tanto venivo assalito dai crampi e dovevo cambiare posizione, sempre inginocchiato, parlandole, cercando di svegliarla, tentando di riportarla a letto. Alla fine la presi in braccio e la trasportai, mettendomi le sue braccia al collo per non farla cadere e togliendole quando fu sul letto.

— Che cosa gli è successo? — chiese quando la coprii.

— Non lo so — dissi. — Ma lo scoprirò. Te lo prometto.

Cinque minuti più tardi si alzò di nuovo, rimise la vestaglia e si diresse alla porta.

— Annie, ti devi svegliare — dissi con voce stanca.

Lei si interruppe mentre spingeva la poltrona, si rialzò, guardò prima la porta e poi me. — L’ho fatto di nuovo? Sono uscita?

— Ci hai provato in tutti i modi — le dissi. — Dov’eri? A Gettysburg?

— No — fece lei, sedendo sulla poltrona. — Ero di nuovo ad Arlington. C’era neve, come nel primo sogno, e io stavo cercando il gatto. Sapevo che era andato sotto l’albero di mele, così uscii per andarlo a prendere e inciampai in qualcosa. Era un soldato dell’Unione. Giaceva a faccia in giù, con il fucile sotto al corpo e il nome agganciato alla manica.

Stringeva convulsamente la cintura della vestaglia allo stesso modo in cui aveva stretto la violetta africana di Broun nella veranda, la prima sera. — Mi chinai per prenderlo, ma quando lo feci mi accorsi che la manica non era azzurra, era bianca. E allora vidi che non si trattava di un soldato morto, ma di una ragazza con la camicia da notte bianca, addormentata sotto all’albero di mele.

Non mi chiese che cosa quel sogno significasse. Sedette per un poco nella poltrona, guardando verso il centro della stanza come se potesse ancora vedere il melo e la ragazza addormentata.

— Mi dispiace di aver camminato di nuovo, Jeff — disse. — Forse dovresti legarmi al letto. — Si tolse la vestaglia e si coricò, le braccia rigide lungo i fianchi come se volesse fermamente non muoversi più.

Giacque a quel modo per tutta la notte. Non riuscivo a capire se stesse dormendo; non si mosse quando raccolsi il Freeman dal pavimento, andai nella mia camera a prendere gli altri tre volumi, chiusi a chiave la porta di comunicazione e vi tirai contro il tavolo, spostai la lampada presso la poltrona e iniziai a leggere.

Non c’erano molti riferimenti in indice ad Annie Lee, nonostante si trattasse della figlia prediletta di Lee. Cominciai dall’ultimo. “Ho giurato a me stesso che sarei andato e penso ora di doverlo fare, perché non ho più molto tempo” aveva scritto al figlio Rooney nel 1870. “Voglio poter testimoniare del sonno quieto di Annie.” Era morta durante la guerra a White Sulphur Springs, nel nord Carolina. Aveva ventitré anni.

— Era un uomo buono — aveva detto Annie. I suoi soldati lo amavano, i suoi figli lo amavano, e lui aveva dovuto sacrificarli alla guerra, tutti, persino la figlia prediletta. Annie Lee era morta di una febbre, ma era una vittima della Guerra Civile come qualsiasi soldato, morta giovane e lontano da casa. Almeno Lee ebbe il conforto di sapere dove era stata sepolta. Era andato a visitare la tomba nel 1870. “Voglio poter testimoniare del sonno quieto di Annie.”

Pover’uomo. Quando aveva ricevuto la lettera che gli annunciava la morte di sua figlia non aveva mostrato nessuna emozione. L’aveva letta e poi aveva continuato a sbrigare la corrispondenza ufficiale con il suo attendente. Ma quando quest’ultimo, dopo essere stato congedato, ritornò nella tenda all’improvviso lo trovò che piangeva.

Erano le quattro, l’una in California. Chiamai Broun al Westgate, poi al numero di Los Angeles, chiamai le informazioni per avere il numero di Sognilandia. Non ebbi risposta da nessuna parte.

Poco prima dell’alba Annie si alzò dal letto e indossò la vestaglia. Feci immediatamente il gesto di fermarla, temendo che stesse di nuovo camminando nel sonno. Ma lei si avvicinò alla finestra. — Hai trovato il significato del sogno? — chiese.

Allora le raccontai di Annie Lee. — Morì nel 1862 — dissi. — Appena prima di Fredericksburg.

— Willie Lincoln morì nel 1862. Era il figlio prediletto di Lincoln — disse lei, sfregandosi le braccia con le mani. — Di che cosa è morta?

— Non lo so esattamente. Una febbre.

— Pover’uomo — fece lei, e io mi chiesi di quale dei due stesse parlando, a chi realmente pensasse.

Passammo la mattinata tentando di dormire, non riuscendovi ci andammo a vedere ciò che rimaneva delle attrazioni turistiche cittadine, la bottega di farmacista di Hugh Mercer. Osservammo le pillole argentee e le bottigliette scure di laudano e le ricette scritte a mano per preparati contro le febbri.

Il resto della giornata lo trascorremmo in biblioteca, mentre Annie prendeva note su Lincoln, io cercavo di scoprire la causa della morte di Annie Lee. Nessuno sembrava saperlo. Però trovai la gallina. Si chiamava Little Hen. Era entrata un giorno, sbucando non si capì da dove, nella tenda di Lee e lui la tenne con sé per più di un anno. E ogni giorno lei deponeva un uovo sotto la branda di Lee e svolazzava, andando a sedersi sul posteriore di Traveller, la qual cosa divertiva molto i soldati.

Dopo pranzo ci guardammo intorno per cercare il gatto, ma non lo trovammo da nessuna parte. Il mucchietto di avanzi di pollo che Annie aveva lasciato la sera prima ai piedi della scala era ancora là. — È sicuramente acciambellato da qualche parte, al caldo — dissi — a prepararsi al freddo che pare debba assalirci domani. — Tornammo in camera e io barricai le porte, come se tentassi di chiudere fuori i sogni.

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