K.W. Jeter - L'addio orizzontale

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Nella letteratura gialla, si sa, c’è stato
di Raymond Chandier, e in fantascienza
di Leigh Brackett, che in Italia è stato tradotto, purtroppo, con un altro titolo. Sono metafore suggestive, un modo laconico per attirare la nostra attenzione su avventure disperate, forse ai confini del possibile, ma non per questo meno profondamente umane. È perciò che, giocando sulle parole, abbiamo deciso di tradurre letteralmente il titolo di questo romanzo di K.W. Jeter: una storia intensa che ci ricorda i maestri del cyberpunk e dove ogni azione, ogni personaggio sembra fare il doppio gioco, in un intrigo che si risolve solo alla fine. Jeter è più che una promessa della fantascienza, e non esitiamo a raccomandare L’addio orizzontale ai nostri lettori come una storia «diversa» , forte e insolita, ma credibile e senz’altro avvincente come un romanzo hard-boiled.

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— Questo è vero. Spero che non ti dispiaccia, ma ho ascoltato la chiamata del tuo agente. Mi sono introdotto sulla linea. Quell’affare del megassassino sarà un bel casino. Quei tipi sono costruiti per muoversi velocemente — Sai si grattò con uno degli uncini di gomma. — Ti sarà sotto il culo prima ancora che tu te ne accorga.

Questo pazzo sembra più utile del precedente. O almeno mi sembra più preoccupato. — Bene, sto cercando di procedere il più velocemente possibile… ma è davvero difficile.

— Questo avviene perché vi siete resi schiavi di quelle moto. Pensate che solo facendo rumore sia possibile muoversi — Sai sollevò una mano, illuminando la contrazione degli uncini. — Più le cose sono semplici e meglio è. Con questi si può essere davvero veloci. — Prese un altro paio di quegli aggeggi dallo zaino, che restò del tutto vuoto. Cinturini di cuoio e fibbie penzolavano dagli uncini. — Non potrò mostrarti bene come funzionano finché non ci sarà più luce. Possono essere un po’ complicati finché non ti abitui a usarli bene.

Axxter esaminò gli uncini; avevano dei piccoli sensori sulle punte, simili a quelli delle sue corde.

— Dormiamo un po’ — Sai estrasse delle corde dalla sua cintura, se le passò sul petto e le fissò al muro. — Ci metteremo in moto non appena ci sarà luce. — Incrociò le braccia e chiuse gli occhi.

— Non capisco — Axxter si legò gli uncini alla cintura. — Perché stai facendo tutto questo? Cosa ci guadagni?

L’uomo aprì un occhio e lo guardò. — Sei la cosa più interessante che sia capitata qui intorno da molto tempo. Non lo sai, ma tu sei qualcosa di… storico. — Richiuse l’occhio e abbassò il mento sul petto. — Vedrai.

Axxter infilò una mano nella tasca della giacca e staccò un pezzo di pane. Per un po’ continuò a masticare e a osservare la figura che dormiva accanto a lui.

— Forza, devi lasciarti trasportare da loro. Ondeggia un po’ mentre ti muovi — Sai, molti metri sopra di lui si era girato a guardarlo, aspettando che lo raggiungesse.

Gli uncini da viaggio — come li chiamava Sai — lo avevano spaventato inizialmente. Axxter si era aggrappato al muro, con le mani piatte sul metallo freddo, cercando di riprendere fiato. A metà mattinata, quando Sai gli aveva applicato per la prima volta quegli affari sulle braccia, aveva dovuto compiere un vero e proprio atto di fede nei suoi confronti, rinunciando a usare le corde della cintura e degli stivali. Le sue ancore di salvezza; gli tornarono la vecchia nausea e la paura che aveva provato appena arrivato sul verticale. Gli girava la testa e l’immobile edificio sembrava rullare e tremare tutte le volte che si guardava alle sue spalle, verso la barriera di nuvole. Poi quella sensazione era scomparsa, ma gli ci erano voluti ancora molti minuti prima che trovasse il coraggio di usare gli uncini come gli aveva mostrato Sai, ancorandosi con uno degli aggeggi mentre dondolava come una scimmia e si attorcigliava per riuscire a raggiungere un appiglio dopo l’altro.

Malgrado l’esitazione di Axxter, erano comunque veloci; quando il sole raggiunse la vetta dell’edificio, Axxter calcolò che lui e Sai avevano già percorso il doppio della distanza che egli aveva coperto nel suo spostamento precedente. Una volta che fossero riusciti a prendere il ritmo, con la particolare torsione degli uncini che si ancoravano e poi giravano intorno a se stessi… Le poche volte in cui Axxter aveva mancato la presa, gli era venuto un crampo allo stomaco al pensiero di cadere di nuovo a capofitto. Poi Sai ebbe pietà di lui e gli spiegò come funzionavano i congegni del sistema interdipendente: il primo uncino di ancoraggio si sganciava solo un microsecondo dopo che l’altro aveva trovato una nuova presa.

— Muoviti… — Lo chiamò Sai — Non hai tempo da perdere, amico.

Un’altra ora di viaggio; Axxter raggiunse il punto in cui Sai si era fissato comodamente al muro. Gli facevano male le braccia e le spalle; se le massaggiò, dopo avere agganciato tutte le corde di sicurezza.

— Ti abituerai in fretta — Sai indicò la mano di Axxter che stava massaggiandosi un bicipite. — Si tratta solo della novità del movimento, tutto qui. Sono gli uncini a fare lo sforzo maggiore. — Prese del pane e dell’acqua. — È ora della pausa.

Masticando, Sai indicò il cielo. — Ehi, ecco là il tuo piccolo amico.

Axxter girò la testa e vide la figura lontana dell’angelo. Lahft; quando questa si avvicinò un po’, la riconobbe immediatamente, con il suo sorriso felice.

Fluttuò nell’aria accanto a lui; era così vicina da poterla toccare. — Ciao! Ciao! Stai cadendo?

Axxter si spinse indietro e scosse il capo. — No. Almeno, non ancora.

Con piccoli movimenti, l’angelo si girò e si guardò la membrana sferica. — Fallo ancora. Fallo più bello.

I disegni che aveva programmato sul biofoglio che le aveva innestato erano ancora lì. Si è stancata di questo. Una delle peggiori caratteristiche del tempo: ogni cosa diventa vecchia alla fine. Non era sicuro di averle fatto davvero un favore, rivelandole il concetto di tempo e privandola di quell’ultima briciola di innocenza.

— Credo di potere… — Non aveva provato a trasmettere alcun segnale con la sua ricetrasmittente; visto che l’orbita della Piccola Luna non contemplava quella parte dell’edificio, gli era sembrato del tutto inutile. Ma ora aveva il destinatario proprio davanti a sé… — D’accordo. Cosa ne pensi di questo? — Dal suo archivio scelse una tigre che giocava con una farfalla, la codificò e la trasmise a meno di un metro di distanza. Appena l’immagine scomparve dal suo schermo, la vide apparire sulla membrana di Lahft.

— Carino! — L’angelo si girò per ammirarsi e poi lo guardò. — Sì, è carino. — Il sole che filtrava attraverso la membrana la rendeva radiosa, una delicata rosa incandescente. — È la miglior cosa che abbia mai avuto.

Accanto a lui, Sai annuiva. — È davvero un peccato che lavori così belli vengano sprecati per quel branco di animali.

Lahft non li stava ascoltando, lasciandosi trasportare dal vento. — Ehi! — Axxter la chiamò. — Torna a trovarci ogni tanto, tutte le volte che vuoi, e te ne farò un altro nuovo!

Lei considerò la proposta, mettendosi un dito sul mento. Poi tornò a sorridere. — Quando tu vuoi. Tu qui e io… — Allungò il braccio per indicare un punto distante nel cielo. — Tu fai tu… carino, ma su di me. Poi io vengo qui. Da te. — Si era già spostata di parecchi metri e aveva dovuto gridare le ultime parole. In un attimo se n’era andata, diventando un minuscolo puntino.

Sai sbadigliò, stiracchiandosi di fronte a lui. — Gli angeli sono in gamba. Sarebbe molto peggio se tu non avessi buoni rapporti con loro.

Si rese conto che Lahft non aveva mostrato la solita timidezza degli angeli nei confronti di Sai. Come se fosse abituata a lui o comunque non ne fosse affatto spaventata.

— Penso di sì. Però non vedo come possano aiutarmi.

Sai fece spallucce. — Vedi, è come quelle vecchie storie, le vecchie leggende, in cui i bambini salvano le formiche e gli uccelli. E poi vengono ricompensati, salvandosi la vita proprio all’ultima pagina grazie a quegli stessi animali. Non si sa mai.

Non era la prima volta in cui Axxter non aveva idea di cosa diavolo gli stessero parlando. — E cosa mi dici di quell’altra? Quella ragazza? — Egli suppose che Sai, avendolo spiato, avesse visto il loro incontro. — Credo che anche lei possa essere utile, allora.

— Quella viaggiatrice di circuiti? — Sai grugnì. — Faresti bene a stare alla larga da lei. Gente come quella può causarti un sacco di guai.

— Già, sembrava davvero demente. Parlava di muoversi, insinuandosi in corpi diversi. Come se ne avesse un guardaroba intero, o qualcosa del genere.

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