Un gruppo di prostitute, più giovani di Guyer e con lo sguardo più ingordo, lo squadrarono dal loro rifugio su un cavo. Lo inquadrarono subito come un tipo poco redditizio e tornarono alle loro chiacchiere.
— La tenda del Comandante. — Il vecchio guerriero indicò il cuore dell’accampamento. — Il Generale vuole vederti.
— Il Generale…
— Questi sono i miei ordini. — Il guerriero si arrampicò come una scimmia su delle liane e proseguì il suo cammino senza voltarsi indietro.
Axxter, a fatica, si fece strada tra le liane e finalmente riuscì a raggiungere l’uomo. — Il Generale chi?
Un grugnito stupito di fronte alla stupidità di quel civile: — Il Generale Cripplemaker.
Axxter non riconobbe quel nome. Lo sforzo che stava facendo per muoversi gli prosciugava tutto l’ossigeno del cervello; non riusciva a decidere se il fatto che quel nome gli era sconosciuto fosse un buon segno o no. Sulle insegne della Folla era rappresentato un buon numero di comandanti con tanto di resoconto delle loro imprese militari. Questo avrebbe potuto essere una nullità, un fallito non piazzato nella corsa, di cui non valeva la pena fare alcuna pubblicità. Oppure — e si augurò che non fosse l’ipotesi giusta — poteva trattarsi di qualcuno tanto orribile e assetato di sangue che la Folla Devastante non aveva affatto bisogno di pubblicizzarlo con le solite mini-serie che il Sindacato delle Comunicazioni trasmetteva gratuitamente sui canali specializzati in programmi per ragazzi. Qualcuno che avrebbero giocato come arma segreta, senza alcun preavviso, e tutti si sarebbero accorti immediatamente della sua crudeltà. Axxter combatté l’impulso di fermarsi, chiamare la Chiedi Ricevi e avere tutte le informazioni possibili su questo Cripplemaker… ma a quel punto a cosa sarebbe servito? Era ormai troppo coinvolto in quell’affare.
Arrivarono al centro del campo. Una tenda più grande di tutte le altre: era come un polo centrale che si alzava dal muro dell’edificio e il suo pennacchio si muoveva come un serpente al di sopra di tutti gli altri tetti colorati. Due guardie, che sembravano i fratelli minori dell’uomo che stava accompagnando Axxter, si trovavano ai lati dell’entrata della tenda; una era mezza addormentata nella sua cintura di sicurezza, mentre l’altra stava pulendosi le unghie con la punta di un coltello. Nessun tatuaggio antico; Axxter notò solo i minuscoli segmenti di biofoglio che avevano inserito nelle guance e sulle sopracciglia: erano inattivi, ma aspettavano solo i segnali per mostrare le loro immagini. Un cenno di saluto al vecchio guerriero e uno sguardo indagatore verso lo straniero fu tutto quello che concessero loro; mani ruvide aprirono le tende.
Ad Axxter ci volle un attimo per adattare i suoi occhi al buio. Poi si guardò intorno e si accorse di essersi aspettato qualcosa di più. Più di un semplice spazio diviso solo da corde e reti. Il colore e i disegni sui tappeti appesi erano sbiaditi dal tempo e quando Axxter si appoggiò a uno di essi per mantenere l’equilibrio venne coperto da una nuvola di polvere. Al centro della tenda pendeva una mappa su grande scala della superficie del Cilindro, o perlomeno della zona del giorno.
Il vecchio guerriero lasciò Axxter in piedi su una traballante passerella. Da un punto più vicino al muro, attraverso la mappa, filtrava una debole luce. Poteva sentire la voce del vecchio e quella di un paio d’altri, ma era troppo lontano per capire cosa dicessero.
Axxter guardò la mappa che aveva di fianco. Vi erano parti bianche segnate con la frase MURA INCOGNITA; vi erano anche piccole macchie che partivano dalla cima dell’edificio e s’ingrandivano verso il basso, fino ad immergersi nel grande spazio sconosciuto sotto alla barriera di nuvole. Qualcuno aveva disegnato piccole figure infantili, con corna e forconi, che danzavano ai margini della mappa. Le estremità di destra e sinistra erano delineate dalle Fiere Equatoriali, indicate con il simbolo dei dollari. La zona rossa, quella che indicava le alte sfere, era piena di oscenità. Le alleanze dell’Atroce Amalgama erano indicate con strisce rosse. Più in basso, un blu acceso indicava la posizione della Folla Devastante e dei loro alleati; poi vi era un’altra selezione di colori per tutte le piccole tribù non allineate che si muovevano nei territori più bassi della superficie esterna dell’edificio.
La mappa era tremendamente superata. Non ci volle molta abilità politica da parte di Axxter per capirlo. Alcune delle zone colorate portavano i nomi di tribù che si erano sciolte anni prima, volontariamente o per cause esterne. Altre tribù, nate da poco, non comparivano affatto sulla mappa. Dov’erano le Crudeli Guardie Televisive? Avevano messo a ferro e fuoco con ottime strategie la zona che sulla mappa si trovava tra il settore rosso e quello blu e avevano anche ricevuto ottime offerte di reclutamento da entrambe le parti. Ecco cosa si riusciva a fare con un atteggiamento duro e deciso. Quel cretino di Brevis avrebbe dovuto legarmi a quella tribù; anch’io sarei stato in grado di capire che erano davvero in gamba. Il libero professionista che si era occupato dei loro lavori grafici, un punk che si trova sul verticale da meno tempo di me, aveva avuto alcune delle loro azioni praticamente per niente. Quel pensiero gli fece venire un nodo di invidia allo stomaco.
Il ritorno della sua guida interruppe l’osservazione della mappa. — Di qui. — E indicò la zona più lontana della tenda.
— Questo è lui? — Un uomo alzò lo sguardo da un mucchio di carte sparse sulla scrivania; aveva gli occhi umidi, circondati da antichi occhiali rotondi e sbatté le palpebre. File di armadietti e cassetti semiaperti, straripanti di fogli, formavano una specie di confine a “L” sulla piccola piattaforma. — Tu sei Axxter? — Gli chiese puntandogli contro una biro.
Il vecchio guerriero lo spinse avanti. Qualcuno con un’uniforme nera rifinita in metallo e cuoio gli lanciò uno sguardo da uno dei cassetti. Il viso sottile dell’uomo osservava impassibile la scena che aveva di fronte.
— Uhm… già. Sì, esatto. — Egli riconquistò il suo eqilibrio e annuì. — Sono venuto… il più presto possibile. — Notò che stava agitando nervosamente una mano: l’afferrò con l’altra e le nascose entrambe dietro la schiena. — Quando ho ricevuto la vostra chiamata dal mio agente, come sapete, ero molto lontano da…
— Siediti. — La penna indicò una sedia vicino alla scrivania. — Mi spiace farti aspettare, ma le cose sono nel loro solito stato di caos qui intorno. — Un sorriso, o qualcosa di molto simile, mentre le mani dell’uomo tornavano a rovistare nel mucchio di documenti.
Da dove si trovava Axxter, quelle carte sembravano conti da pagare, lunghe liste di voci, spese e ricevute, il resoconto di un grosso giro di affari. Il piccolo uomo dietro alla scrivania — poteva vedere la sua testa dall’alto, piegata sulle carte — doveva essere un tipo molto concreto, incapace di pensare senza avere davanti qualcosa di solido. — Quando incontrerò il Generale?
Quello sguardo umido si alzò ancora verso di lui. — Io sono il Generale.
Senza guardarsi intorno, sentì il sorriso dell’uomo che indossava l’uniforme. E fu una sensazione spiacevole; il suo volto era abbastanza sgradevole da essergli rimasto impresso.
— Oh, mi dispiace.
— Aspetta solo un altro po’, poi ci occuperemo di affari. D’accordo?
— Certo. Nessun problema. — Si tolse la borsa dalla spalla e la mise per terra. — Fate con calma. — Taci, si ordinò.
L’Uniforme Nera chiuse una fila di cassetti. Axxter udì i passi dei suoi stivali alle sue spalle e la sua voce bassa, interrotta dalla risata goffa del vecchio guerriero, che si allontanava lungo una passerella. Allora, il silenzio della tenda fu rotto solo dal rumore della penna del Generale.
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