— D’accordo. — E tirò il fiato con la schiena appoggiata alla cintura di sicurezza. — Mi hai convinto; lanciamoci. Dimmi solo dove devo andare. — Con una veloce occhiata, inserì la trascrizione del messaggio, giusto per essere certo di avere tutte le istruzioni che il suo agente gli comunicasse. Il suo cervello era ancora troppo confuso per poter essere sicuro che si sarebbe ricordato ogni cosa.
— Sapevo di poter contare su di te, Ny. Credimi, non te ne pentirai — Brevis sorrise e gli fece l’occhiolino. — Stai a sentire. La Folla Devastante vuol vedere cosa sai fare su loro commissione, per esser certi di aver fatto la scelta giusta prima di affidarti tutto il lavoro. Siccome il lavoro è tanto corposo , e implica il totale rinnovamento delle insegne per tutta la tribù e gli alleati, dovranno probabilmente assumere altri professionisti e formare una squadra. Ma tu sarai il responsabile di tutto. Ti piace l’idea?
Axxter annuì, lasciando che la voce dell’agente scivolasse al di là della sua coscienza. Finché Brevis non scomparve con un sorriso radioso e il video tornò a essere bianco. Axxter guardò in quella direzione per qualche altro minuto prima di cambiare posizione.
La Norton si era fermata vicino alla cintura del bivacco; dopo il suo raccolto notturno, ora la conversione della vegetazione in carburante faceva strani gorgoglii meccanici. Le corde che ancoravano la cintura scricchiolarono quando Axxter si alzò per caricare la sua roba nel sidecar.
Addio a tutto questo; grazie a Dio. Dopo aver sistemato ogni cosa, si mise a cavalcioni sul sellino, appoggiandosi al manubrio per alzarsi ogni tanto e guardarsi intorno. Non avrebbe più dovuto scorrazzare per quei settori devastati in cerca di affari: e non ne avrebbe certo sentito la mancanza. Anche se quell’ultima spedizione era stata una specie di “stagione delle meraviglie”, sia spiacevoli, che stupende. La zona devastata, il, metallo lacerato e accartocciato del muro divelto, il terribile odore di bruciato che c’era all’interno, tutti quei ricordi scivolarono via, senza sforzi da parte sua. Ma Axxter aveva in mente un’altra cosa bruciata… ed era più piacevole pensare a lei. Se si doveva affrontare tutto quello per incontrare un angelo, forse ne valeva la pena. Almeno per un po’ di tempo.
Guardò il cielo e vide di nuovo quel minuscolo puntino. Più grande questa volta; poteva quasi riconoscerlo. Prese la telecamera e zumò sull’oggetto.
L’angelo Lahft si muoveva nel cielo. Sapeva che era lei anche prima di metterla a fuoco e vedere il suo viso; il biofoglio con cui le aveva riparato la membrana brillava attraverso la lente, ancora più splendente della sua pelle luminosa.
Rimise via la telecamera e diede gas al motore della Norton, facendole disegnare un ampio cerchio, con le corde che si agganciavano e sganciavano dal muro, puntando verso nord. E sforzandosi di non guardare da nessun’altra parte, se non verso la sua destinazione.
— Che cazzo hanno ’ste dannate ruote?
— Ruote? — Axxter guardò con aria perplessa la faccia dell’altro, come cercando qualcosa di nascosto tra la ragnatela di cicatrici.
— Questi poppanti! — Il guerriero della Folla Devastante si avvicinò e colpì una delle corde che dalla cintura di Axxter andavano al suolo. Risuonò una nota alta che vibrò vicino al muro dove la corda era agganciata e nei denti stretti di Axxter.
— Oh… quelle. — Si strinse nelle spalle e sorrise, pentendosene subito — Sai… le vecchie abitudini sono dure a morire.
Il guerriero grugnì e scosse la testa, con le trecce coperte di brillantina che gli si muovevano sulle spalle. Senza altri ancoraggi se non quelli degli stivali, l’uomo si diresse camminando perpendicolarmente al terreno verso l’accampamento di tende e stendardi. Axxter prese la sua borsa dal sidecar e si affrettò a seguirlo, anche se era rallentato dalle sue corde.
Gli ci erano voluti due giorni buoni di viaggio — compresa una notte in cui era stato mezzo sveglio, fissato al sellino della Norton, mentre le ruote seguivano un cavo di transito verticale — per raggiungere il campo. Le direzioni che gli aveva dato Brevis non lo avevano portato al quartier generale della Folla Devastante; ci sarebbero voluti molti altri giorni di viaggio. E avrebbe dovuto attraversare più di una città, accampamenti, basi militari e centri politici all’interno dei confini controllati dalla terribile Amalgama. Era passato per il quartier generale della Folla Devastante una volta e ci aveva guadagnato un colpo di avvertimento, un proiettile nella ruota frontale della Norton. L’eco della risata sguaiata e roca l’aveva seguito per chilometri.
Quel campo era più piccolo, ma comunque impressionante. Una divisione militare della Folla, circa duemila guerrieri — Axxter era ormai diventato abile nel valutare la grandezza di una tribù, sia dal punto di vista militare sia da quello economico — con tutto il materiale di supporto necessario, impresari, prostitute e altri tirapiedi, per un totale di diecimila uomini. Le tende sgargianti, ornate di pennacchi, erano state montate a caso, creando un caos di sentieri, passerelle, scale di corda e reti che s’intersecavano. La divisione doveva aver stazionato in quel luogo abbastanza a lungo, infatti, oltre al primo strato di tende e piattaforme, ne erano stati montati un secondo e un terzo, simili a protuberanze sovrapposte che sporgevano dal muro dell’edificio.
Un’ondata di rumore colpì Axxter, mentre seguiva il suo guerriero guida. Un cerchio di trofei segnava i confini originali dell’accampamento, piegati dal peso delle armature vinte ai nemici; alcuni scudi ed elmetti, ovviamente quelli conquistati più recentemente, scintillavano ancora grazie agli innesti luminosi. I trofei più spaventosi si muovevano al vento e nessuno si era preoccupato di togliere e conservare la pelle. Alcune mosche sembravano dare vita a quei tessuti; al di sotto, il biofoglio innestato era ormai grigio e morto, oppure vi pulsavano ancora i resti di alcuni grafici. Axxter immaginò che i suoi precedenti clienti, la Squadra dei Ragazzi Arrabbiati, doveva trovarsi da qualche parte in bella mostra. Senza dubbio, almeno una parte di loro era lì. Un viso vuoto, a cui era attaccato uno scalpo sanguinante, gli rivolse un sorriso senza labbra mentre passava. Rabbrividì e si affrettò a raggiungere la sua guida.
Il rumore proveniva dall’officina meccanica del campo e alcune voci cercavano di sovrastare il chiasso del metallo contro il metallo. Figure accucciate che indossavano maschere da saldatore lanciavano scintille lungo la parte annerita dell’edificio, accanto ai resti bruciacchiati di tende che erano state montate troppo vicino alle torce dell’officina. Lame affilate e scudi dentati prendevano forma sotto forti colpi di martello; sotto strati di grasso, i visi di quegli uomini guardarono Axxter per tornare poi al lavoro che avevano sotto le mani e gli strumenti.
— Ehi… — Gli stretti sentieri del campo avevano rallentato il passo del guerriero e Axxter era riuscito a raggiungerlo. Gli urlò in un orecchio: — Dove stiamo andando esattamente?
Il guerriero l’aveva aspettato nello spazio vicino al perimetro del campo. Accosciato, con gli occhi socchiusi per vedere qualunque cosa si muovesse lungo i cavi di transito. Si vedevano la cenere di un piccolo fuoco acceso nel muro e alcune ossa rosicchiate, a testimonianza del fatto che l’uomo era rimasto in attesa per un po’ di tempo, per ordine dei suoi superiori, aspettando il grafico che avevano convocato. I suoi occhi guardarono Axxter come lame di rasoio. Era un vecchio veterano con le trecce simili a corde grigie; il volto sembrava quello di una maschera da tigre tatuata — si trattava di inchiostro intrecciato nella sua pelle — segnata dalle rughe. Axxter pensò che quel tipo avrebbe dovuto trovarsi in un museo. Anche se era abbastanza grosso e torvo da far venire un brivido lungo la schiena a qualunque persona normale.
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