K.W. Jeter - L'addio orizzontale

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Nella letteratura gialla, si sa, c’è stato
di Raymond Chandier, e in fantascienza
di Leigh Brackett, che in Italia è stato tradotto, purtroppo, con un altro titolo. Sono metafore suggestive, un modo laconico per attirare la nostra attenzione su avventure disperate, forse ai confini del possibile, ma non per questo meno profondamente umane. È perciò che, giocando sulle parole, abbiamo deciso di tradurre letteralmente il titolo di questo romanzo di K.W. Jeter: una storia intensa che ci ricorda i maestri del cyberpunk e dove ogni azione, ogni personaggio sembra fare il doppio gioco, in un intrigo che si risolve solo alla fine. Jeter è più che una promessa della fantascienza, e non esitiamo a raccomandare L’addio orizzontale ai nostri lettori come una storia «diversa» , forte e insolita, ma credibile e senz’altro avvincente come un romanzo hard-boiled.

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— Accidenti… grandioso! Non vedo l’ora di mettermi al lavoro! — Si rese conto di essersi alzato dalla sedia. Guardò verso il basso e vide una mano grinzosa afferrargli il gomito. Il vecchio guerriero era tornato con l’ordine di riaccompagnarlo indietro. L’udienza con il Generale era terminata.

— Questo è il biglietto. — Cripplemaker si dondolò sulla sedia, incrociando le mani dietro alla testa. — Ci vedremo ancora. Ci saranno altri lavori per te. Questa è una promessa.

Gli diedero un lasciapassare per andare e venire tranquillamente dal campo. Il livello di rumore fuori dalla tenda del generalissimo era assordante; nell’officina meccanica il baccano dei motori e dei martelli era un continuo crescendo. I guerrieri fuori servizio si divertivano con rumorose bisbocce. Dirigendosi verso l’uscita dell’accampamento, Axxter passò vicino a un gruppetto che fingeva di combattere: sagome sudate e piene di cicatrici si colpivano sulla testa con aste di alluminio, ridendo con allegria demenziale. Una delle prostitute dell’accampamento che stava guardandoli, appoggiò una mano sulla coscia di Axxter e lo avvicinò alla cintura su cui era seduta, facendogli una proposta che si perse nel caos generale. La donna gli mimò la sua offerta; allibito, Axxter si allontanò velocemente fino ad arrivare in un punto dove poté fissare nuovamente le sue corde di sicurezza all’edificio. Il tumulto, unito al liquore che aveva bevuto dal Generale, gli faceva pulsare la testa in sincronia con i battiti cardiaci.

Le guardie all’uscita lo guardarono annoiati mentre passava, poi gli fecero un cenno. — Hai intenzione di tornare più tardi? — Il sole aveva già superato la cima dell’edificio, lasciandolo nell’ombra.

Scosse la testa, trasalendo immediatamente e rimpiangendo di aver dato quella risposta. — No… ho qualcosa da fare. Sarò indietro domani mattina. — In realtà aveva bisogno di un posto in cui ascoltare i propri pensieri. — Va bene?

Una scrollata di spalle, mentre grandi mani richiudevano le sbarre dei cancelli. — Se va bene a te.

Trovò la Norton che stava rifornendosi a mezzo chilometro di distanza da dove l’aveva lasciata. Salì sul sidecar, bagnò uno straccio con dell’acqua e se lo mise sulla fronte. Che branco di fottuti animali. Era la sensazione che provava ogni volta che abbandonava le sue peregrinazioni sui settori più desolati del Cilindro per occuparsi di qualche affare… ma abbandonava anche il rischio di morire di fame, doveva ammetterlo. Forse dopo quel lavoro i suoi giorni di peregrinaggi e fame sarebbero terminati. In un certo senso era un pensiero deprimente.

Appoggiò la testa sul bordo del sidecar e guardò verso il cielo. Il puntolino che aveva già visto era ancora là, fluttuante nell’aria.

— Ah! Cristo! — Sapeva chi era; non aveva bisogno dello zoom. Ormai, qualche legame invisibile li univa, il filo di un aquilone all’altro capo del quale egli sentiva la presenza dell’angelo. Lei mi sta seguendo. Quello stupido essere. Quello non era il territorio degli angeli… soprattutto non era adatto a un angelo che fosse già stato colpito da qualcuno. O qualcosa.

Si alzò in piedi nel sidecar, aggrappandosi al paravento per non perdere l’equilibrio. — Vattene da qui! — Il suo grido si perse nel vento; sapeva che lei non poteva sentirlo. Ma urlò di nuovo, sbracciandosi. — Va’ via!

L’angelo, quel piccolo punto, era sospeso nell’aria, piccolissimo e lontanissimo. Ma non se ne andò.

7

— Così noi avevamo questi ragazzi, ci sei, tutti intorno a noi ed eravamo piuttosto agitati a causa della battaglia, capisci? Ed eravamo seduti, pensando, be’, sai com’è, cosa potevamo fare con loro? Cosa potevamo fare di divertente , voglio dire. Così abbiamo chiesto agli ingegneri di portare questa bobina di cavi: è materiale davvero pesante, sai, e noi…

— Scusami. — Axxter alzò una mano nel tentativo di porre fine al monologo del vecchio guerriero. — Ehi, devo uscire solo per un minuto… — Dovette muovere le dita davanti agli occhi giallastri dell’uomo per attirare la sua attenzione. — D’accordo?

— …e noi l’abbiamo messo al collo del primo ragazzo, ma non ha funzionato, capisci, perché si è sciolto quando l’abbiamo sollevato, allora… — Lo sguardo del vecchio guerriero mise a fuoco la mano di Axxter e riuscì ad abbandonare i suoi ricordi. — Dove stai andando?

— Io… be’, devo respirare un po’ d’aria fresca — Axxter indicò l’uscita della tenda. — Siamo stati qui dentro per più di due ore e ho bisogno di schiarirmi le idee. D’accordo? — Non gli piaceva il modo in cui il guerriero lo guardava.

— Non vuoi sentire il resto?

Il guerriero fece una smorfia tale per cui riuscì a toccarsi i baffi con i denti e socchiuse gli occhi sotto le scure sopracciglia, tanto che s’intravvedevano solo due bagliori rossi.

Axxter diede un colpetto al registratore che pendeva da una delle corde. — Non c’è problema. Sto registrando tutto. — La piccola scatola ondeggiava nella sua custodia. — È una storia forte, davvero forte. — Sentì ancora lo stomaco arrivargli in gola: gli faceva sempre quello scherzo quando sentiva raccapriccianti storie di guerra. — Continua a parlare. Ascolterò tutto più tardi. — Si girò e uscì dalla tenda prima che l’altro avesse il tempo di ribattere.

Fuori, si arrampicò sul più vicino cavo di transito, ancorandovi la cintura che aveva alla vita. Guardò verso il basso per assicurarsi che non ci fosse nessuno sotto, nel caso si fosse sentito male veramente; anche sé in quel momento gli avrebbe fatto molto piacere vomitare su qualcuna delle sentinelle della Folla Devastante che controllava i confini. Malgrado fosse diventato l’artigiano prediletto dal Generale Cripplemaker, quei bastardi erano tutti suscettibili come l’inferno. Per un affronto al loro onore erano capaci di trivellarti, senza curarsi affatto di quale punizione avrebbero potuto subire. Trivellarti oppure qualcosa di peggio… sulla falsariga di quello che stava raccontando quel vecchio bastardo nella tenda. Axxter scosse il capo mentre si rilassava contro il cavo, come se potesse scrollare via le parole del veterano. A giudicare dai suoi aneddoti, quello doveva aver scalato la gerarchia della Folla non tanto per le sue imprese militari, quanto per le sue fantasiosissime torture agli sfortunati prigionieri di guerra. Che brutto figlio di puttana… Axxter guardò verso il basso, verso le nuvole; si rincorrevano al margine dell’atmosfera creando strane forme. Chiuse gli occhi per un attimo, ma continuava a vedere il vecchio guerriero e a sentirne la voce orgogliosa che raccontava antichi ricordi di violenza.

Eppure quel lavoro era redditizio per lui e quel pensiero gli sciolse il nodo allo stomaco, rilassandolo. Sputò per liberarsi del sapore acido che aveva in bocca; lo sputo colpì il metallo e sparì. Un lavoro redditizio, ma non solo: il secondo che quella gente gli affidava. Il che significava che era fatta.

Ce l’ho fatta. Con una delle tribù più importanti. Con la più importante, se si escludeva l’Amalgama che era ai vertici del potere da tanto tempo da poter essere paragonata all’aria o al muro verticale che aveva alle spalle: insomma era parte della natura delle cose. Ma lavorare per la Folla… avendo eluso la DeathPix… ce l’aveva fatta , perché era in gamba e il suo materiale era dannatamente buono… Quello significava che i suoi giorni duri erano finiti. Valeva la pena ascoltare quelle tremende storie di battaglie, anche un’infinità di quelle storie.

La prima commissione che gli aveva ordinato il Generale — la nuova icona di morte per il megassassino — l’aveva messo in luce. E aveva ingrassato il suo portafoglio; per anni aveva elaborato nuove idee, per tutto il tempo che aveva trascorso sul muro aspettando che gli procurassero un buon lavoro. Materiale che non si poteva sprecare per qualche piccola banda di teppisti, il tipo di gentaglia che aveva frequentato prima che gli capitasse quel colpo.

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