Evidentemente parte del suo lavoro era stato notato: non avrebbe potuto restare nascosto a lungo, visto che doveva lavorare, anche per mantenersi in esercizio. Eppure si chiedeva ancora come aveva fatto a catturare l’attenzione della Folla; forse uno dei profondi subliminali che aveva fatto per la Squadra degli Arrabbiati, i denti neri nascosti nell’oscurità, le rotanti immagini a specchio in una gola che avrebbe potuto inghiottire chiunque l’avesse guardata troppo a lungo. Ma quello era materiale raffinato; quei ragazzi non avevano nemmeno capito che razza di lavoro fosse, stavano solo a brontolare sul tempo che ci impiegava — molto più di quello per cui era pagato. L’aveva fatto solo per verificarne l’effetto finale. Ma qualcuno della Folla l’aveva individuato, o forse aveva visto qualche altra sua creazióne, e aveva capito che meritava; quello significava che in alto doveva esserci qualcuno che se ne intendeva davvero di arte. Forse lo stesso Cripplemaker. Axxter ne dubitava; l’uomo era troppo pratico e interessato alla politica. Doveva trattarsi di qualcuno che stava dietro le quinte, uno che reggeva le fila di nascosto, il tipo che sapeva sempre tutto, tessendo la sua ragnatela, tanto sottile da non accorgersi nemmeno quando ci si rimaneva impigliati. Non che gli importasse di rimanere impigliato: l’aveva sperato per molto. Gli sarebbe solo piaciuto poter conoscere chi l’avesse catturato, in modo da potersi aggrappare alla ragnatela sempre più saldamente.
Si sfregò gli occhi, ancora stanco morto per le levatacce che aveva fatto lavorando giorno e notte all’icona di morte. Era distrutto, vero, ma ne era valsa la pena. Non aveva usato nessun espediente subliminale in quel lavoro; aveva voluto qualcosa che colpisse immediatamente Cripplemaker, che fosse subito percepibile. Effetti a piegatura che creavano l’idea di passaggio da macro a micro erano la cosa migliore; un trucchetto semplicissimo quando si volevano sottolineare bene i dettagli, ma che funzionava sempre con chi non era un esperto. Sembrava che tornassero bambini — se mai chi era nato in una tribù era stato bambino — quando guardavano quei dragoni. E quando questi si muovevano, grazie al codice predisposto che veniva inviato alla Piccola Luna, impazzivano di gioia. Vecchi assassini grinzosi che si contorcevano come marionette. Si poteva condurli dove si voleva.
Strane stelle gli pulsavano davanti agli occhi, mentre se li sfregava. Non era il momento di brontolare: bisognava sopportare ed essere pronti ad affrontare la vita. Si tolse le mani dagli occhi, asciugandosi una lacrima sulla guancia. Sbatté gli occhi e scrutò tra le nuvole. Non era là, almeno non questa volta. Forse si era finalmente stancata di restare sospesa come una luna fuori dalla sua orbita e probabilmente si era decisa a raggiungere gli altri angeli nelle loro peregrinazioni. Era scomparsa, e Axxter aveva provato una strana sensazione scoprendolo: da un lato una certa soddisfazione, dall’altro una strana tristezza. Ma… eccola comparire di nuovo, una sfera distante, una figura accanto al sole. Era piuttosto coraggiosa a ciondolare là fuori, vicina alle grinfie di qualche annoiato guerriero della Folla. A loro non piace sparare senza avere un bersaglio a disposizione.
Il suo stomaco stava meglio. Ci si poteva abituare a qualunque cosa purché si fosse pagati. Si sganciò dal cavo di transito e si diresse verso la tenda.
Ancora prima di entrare sentì che il guerriero stava russando profondamente. All’interno, in una luce soffusa, vide che le sue mani erano appoggiate sulla pancia e che con le unghie sporche stava grattandosi qualche prurito. Il viso coperto dalla barba sembrava quello di un bambino e il sorriso che vi era stampato rivelava i suoi sogni piacevoli. Axxter non voleva nemmeno sapere cosa gli passasse per la testa: era senz’altro qualcosa di disgustoso.
Un odore chimico, lo stesso dell’alito del guerriero, aveva invaso la tenda. Axxter urtò con un ginocchio una bottiglia che cominciò a girare rumorosamente. Un po’ di liquido rosa si mosse sul fondo quando la raccolse. Stava per buttarla fuori dalla tenda, quando si rese conto che c’era qualcuno alle sue spalle con la testa appoggiata alla trave portante.
— Che gran vecchio compagno! — Disse il Generale Cripplemaker osservando il guerriero che dormiva. S’accoccolò vicino ad Axxter appoggiando una mano al pavimento della tenda per mantenere l’equilibrio. Con le nocche dell’altra mano sfiorò la barba del guerriero, che emise strani suoni e sollevò un braccio, come per scacciare una mosca fastidiosa e invisibile.
Cripplemaker annuì. — Questo vecchio figlio di puttana… — e continuava a guardare l’uomo — …è stato uno dei miei primi istruttori. Mi ha spremuto come un limone… cazzo se l’ha fatto. Un’occhiata ad Axxter, quasi timida, imbarazzata nel rivelargli quel suo aspetto sentimentale. — Alla fine del corso ha violentato il dieci per cento della classe, i peggiori; e di questi ha violentato e mangiato il peggior un per cento. — Gli occhi del Generale si fissarono con fervore su Axxter. — Non puoi immaginare il desiderio di emergere che si prova!
— Be’… credo di sì. — La mano di Cripplemaker afferrò il polso di Axxter, stringendolo così forte da fargli scricchiolare le ossa. Egli si chiese impacciato cosa significasse quel gesto. In quel momento, notò che il Generale era tutto vestito di nero, un abbigliamento adatto a spie o assassini che si aggirano nel buio. Ogni volta che aveva visto il Generale in precedenza, questi indossava una doppia fila di medaglie sul petto.
— La tradizione… è importante, lo sai. — Il Generale guardò di nuovo la figura addormentata e aveva le narici così dilatate che pareva potesse inalarsi tutto il guerriero. — Non c’è nulla che potremmo fare senza la tradizione. Non saremmo nulla senza… non saremmo guerrieri, solo una folla portata dal vento che verrebbe presa a calci nel culo da qualunque mezza calzetta si trovasse sul muro. — La voce del Generale era diventata più calma e sicura, più vibrante. I suoi occhi tornarono a posarsi su Axxter, come scintille in due piccole fessure. — Ecco perché il lavoro che ti abbiamo affidato è così importante. Quest’uomo… — lasciò il polso di Axxter e sfiorò teneramente i capelli del guerriero — quest’uomo rappresenta la storia della tribù; lui è la nostra storia.
Axxter tenne la bocca chiusa. Aveva già sentito quel racconto quando Cripplemaker gli aveva affidato la commissione… non aveva proprio idea del perché gliela stesse ripetendo.
— Mi capisci?
— Be’… certo — Axxter scrollò le spalle. — Voglio dire… è per questo che ho passato tanto tempo a sentire le storie che mi ha raccontato. — Non ho intenzione di ascoltare ancora questa merda… pensò, sforzandosi di non dirlo ad alta voce. — Tutte le campagne, la grande marcia, le battaglie… insomma, tutto questo genere di roba. — Cristo, cosa cazzo d’altro gli aveva raccontato quel vecchio sadico? Prese il registratore che penzolava vicino alle loro teste. Lo appoggiò al petto e riawolse il nastro. — Sono grandi racconti… voglio dire, è un materiale eccezionale che posso sfruttare benissimo. Volete ascoltare qualcosa? — E porse il registratore al Generale.
— No, no; va bene così. — Il Generale sorrise e gli diede una pacca amichevole sul ginocchio. — Sono certo che hai lavorato sodo.
— Be’… lo faccio sempre quando devo fare un buon lavoro — Axxter sentì che il registratore stava diventando scivoloso: aveva le mani sudate. In qualche modo il Generale aveva inghiottito tutto lo spazio della tenda, tranne quel poco che c’era tra loro. E avrebbe potuto inghiottirsi anche quello in un sol boccone.
— Un buon lavoro… già… — La faccia di Cripplemaker si fece più tesa e la pelle sembrava roccia levigata. Gli occhi spiccavano tra le rughe causate dal sole. — Ma dev’essere più di questo. Un… un lavoro grandioso. Io so che sei in grado di farlo.
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