Jase si sentì gelare il sangue, sbalordito. Una nave, pensò confusamente. Una nave vivente? Atlanti stellari nel cervello, ali come vele solari… — Dio… — mormorò quasi con rispetto. Accanto a lui Aaron era di nuovo immobile; fissava dallo schermo stellare il bagliore rosso che era il Pianto volante , e gli ardenti mondi più lontani.
— Il bisogno è volare — disse Terra. Non vedeva niente di quello che aveva attorno; i suoi occhi erano pieni della grande creatura dalle ali delicate concepita nella sabbia di cristallo, nata da fuoco e acqua, che raccoglieva nelle sue ali la luce di un sole alieno. Una lacrima le scivolò lungo la guancia. “Ha già atteso tanto questo momento”, pensò Jase. “Finirà qui? O volerà via insieme a quella creatura, dentro quel cervello alieno, a scorrazzare per l’universo? È lei che immagina tutto e trasmette la storia al Mago? In questo caso, il racconto continuerà a lungo, perché qui non c’è niente che la spinga a tornare. Ha inventato questa creatura e fa in modo che sia reale anche per noi, e rimarrà con lei fino alla morte. È il suo solo modo di evadere dall’Anello Scuro.”
— Signore — protestò Ero. - Cosa sta succedendo?
— Limitatevi ad attendere — disse piano Jase. — Eseguite i vostri ordini.
Le ali si distesero completamente e si irrigidirono. L’enorme, unico occhio mise alla prova le proprie capacità: infrarosso, raggi X, ultravioletto, luce visibile. Un intenso calore rese liquida la sabbia, sfregiò la parete screpolata della scogliera. L’acqua si intorbidò di vapore. Le ali, all’ultimo istante, si ripiegarono, si serrarono. Ci fu una sbavatura di luce.
Silenzio…
Molto lontano nelle tenebre fra i mondi la creatura riaprì le ali, si librò nei venti solari, delicata, immensamente potente e per il momento totalmente libera.
Jase si rese conto a poco a poco dei rumori circostanti: scambio di frasi fra Averno e la flotta d’inseguimento, uno scricchiolio del sediolo di Aaron, un debole segnale sonoro che indicava l’esaurirsi del carburante. Allungò la mano verso l’intercom, interruppe il gesto, fissandosi la mano, chiedendosi per un istante di chi fosse e a cosa servisse. Che creazione meravigliosa, pensò. Ti nutre, è utile nel fare l’amore, ripara una tubazione che perde, suona la musica… Il Mago. Batté le palpebre, risvegliandosi, e incontrò lo sguardo di Aaron.
Il viso del poliziotto era bianco come ossa calcinate; gli occhi, per qualche bizzarro miscuglio di emozioni e di riflessi circostanti, avevano lo stesso colore di quelli di Terra.
Terra.
Si girarono tutt’e due. Adesso la donna riusciva di nuovo a vedere; li osservava, respirando lentamente e a fatica dalla bocca. Quando loro la guardarono, inclinò la testa all’indietro, appoggiandola alla parete della cabina, quasi fosse troppo pesante per tenerla eretta. Chiuse gli occhi, per un attimo smise di respirare. Quando li riaprì, sembrava totalmente estranea.
Jase deglutì a vuoto, immobile sul sediolo. Una donna era salita a bordo della lancia; una persona del tutto estranea ne aveva occupato il corpo. I suoi occhi, pensò. Ecco cos’è cambiato. I pensieri che aveva nella mente le avevano cambiato l’espressione degli occhi.
La donna lanciò un’occhiata circolare alla cabina, poi fissò Aaron. Aveva gli occhi velati di stanchezza, ma non li teneva più concentrati con la terribile intensità di prima su eventi privati, invisibili. Sembrava sollevata da un’enorme tensione, cosciente del luogo in cui si trovava, attenta ma non spaventata. Sembrava…
Normale, pensò Jase, con la sensazione che la pelle gli si stirasse sul viso. Dio mio, era solo rinsavita.
— È finita — disse Terra. Aveva sempre la stessa voce, fragile e stanca. Poi guardò Aaron.
Lasciò quasi cadere il fucile, nel raccoglierlo; Jase vide che le braccia le tremavano. Lei attraversò la cabina lentamente, come se si muovesse sott’acqua o contro un oscuro vento impetuoso. La testa le ondeggiava; il viso, sotto le luci della cabina, era tanto pallido da sembrare livido. Aaron pareva ammaliato dal suo sguardo: non compì nessun gesto per fermarla, nemmeno quando fu abbastanza vicina da sfiorarlo. Lei gli lasciò scivolare il fucile fra le braccia.
— Perdonami.
A Jase sembrò che la donna cadesse per un tempo lunghissimo, prima che lui riuscisse ad afferrarla. Allungò la mano verso l’intercom. Aaron, finalmente in grado di muoversi, premette per primo il pulsante. — Michelle — disse. La sua voce diventò rauca, insistente, continuò a inviare quel nome nel vuoto come il battito del cuore. — Michelle. Michelle. Michelle…
Il ritorno su Averno fu, pensò Jase, il viaggio spaziale più tranquillo di tutta la sua vita. Il Mago aveva invertito la rotta senza una parola; il Pianto volante , circondato dalla flotta d’inseguimento, seguì lentamente la lancia in un silenzio da funerale. Aaron smise di tentare di parlare con Michelle. Comunicò con Scalo Uno a monosillabi; si rivolse a Jase una volta sola.
— Adesso cosa farete…
— Dopo — rispose concisamente Jase, e Aaron lasciò perdere.
Si spostarono a fianco dello scalo principale per guardare il Pianto volante che entrava di nuovo in Averno. Le parole d’ordine suonate dal Mago si diffusero sulla FA piene di delicata e misteriosa bellezza. Lo scalo principale si spalancò, inghiottì il Pianto volante. La flotta d’inseguimento ritornò alla Luna, e Aaron riportò con manovra impeccabile la lancia nel molo del Mozzo.
Ad aspettarli c’erano guardie, dottori, personale dell’obitorio. Jase uscì con movimenti rigidi, senza un’occhiata al corpo che giaceva sul pavimento della cabina. Il dottor Fiori lo prese per un braccio.
— Cos’è successo? Le avete sparato? — Arrossì, vedendo l’espressione di Jase. — Scusate. Avrei dovuto dire: siete stato costretto a spararle?
— Non ero armato — rispose Jase con tono glaciale. — E nemmeno il signor Fisher. È morta, tutto qui.
— Di cosa?
— Siete voi il dottore. — Mosse un passo verso la scaletta, poi si fermò. — Datele un’occhiata. Quando avrete terminato, venite nel mio ufficio. Aaron…
— Vorrei parlarvi — disse Aaron.
— Non ora. Andate a parlare a Michelle.
Aaron non si mosse, pallido in viso. Deglutì. — Non so se…
— Avete passato sette anni a cercarla! Se non altro potrete spiegarle cos’è successo a sua sorella.
Aaron lo fissò, e finalmente sulle guance gli tornò un po’ di colore. Rimase senza parole per qualche istante. Jase attese. — Ditemelo voi — disse infine Aaron con rabbia. — Cos’è successo?
Jase rimase in silenzio, raccogliendo la sfida inespressa. “Cinquantasei anni”, pensò stancamente. “Per nove anni direttore di Averno. Una carriera oscura ma rispettabile, secondo le regole, senza ambiguità. Ed ecco cosa mi tocca adesso.”
— Andate — disse piano, senza possibilità di discussione. Aaron ubbidì.
Jase riuscì finalmente a raggiungere il suo ufficio. Nils gli diede una birra gelata. Jase ne bevve tre quarti prima di parlare. Si appoggiò allo schienale della poltrona ad aria inclinato al massimo e sospirò.
— Viaggio piacevole? — chiese Nils cordialmente.
Jase fissò il tappeto. — È azzurro.
— Il magazzino era a corto di grigio. Allora, com’è morta Terra Viridian?
— Ha smesso di respirare. — Rimase qualche attimo in silenzio, grattando via l’etichetta della bottiglia di birra. Nils si sedette sul bordo della scrivania.
— Tutto qui? Musicisti in visita favoriscono evasione di detenuta, direttore cattura detenuta e malfattori senza sparare un colpo, detenuta muore, tutti gli altri vanno in galera. Fine?
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