Il disprezzo nella voce di Aaron ebbe su Jase l’effetto di una scossa elettrica. — Magico Capo, non ci credo! Mi rifili stronzate assurde e ti aspetti che perdoni e dimentichi…
— Signor Fisher! — intervenne aspramente Jase, scorgendo con la coda dell’occhio lampi di luce lungo la canna del fucile. La voce del Mago, esausta per la tensione, lo interruppe a sua volta, zittendo tutti.
— Allora, maledizione, spiegalo tu! Dimmi perché sei qui, perché continui a inseguire la donna che hai inseguito per sette anni, infuriato con lei, infuriato con me, con la voglia di uccidere una donna processata e condannata da anni… Sette anni, Aaron! Hai chiesto spiegazioni, mi sono fatto in quattro per cercare di darti risposte, e non vuoi nemmeno starmi ad ascoltare perché dopo sette anni di amarezza e di odio non sei capace di provare altro!
— Tu… — La parola sembrò uscire in un soffio impetuoso, come se Aaron avesse ricevuto un calcio nello stomaco. — Magico Capo…
— Signor Fisher, cercate di calmarvi!
— È lei quella che ha ucciso! Perché sono io sotto processo?
— Perché tutto questo è anche colpa tua, come di tutti gli altri!
— Mia! — disse incredulo. Il rigido autocontrollo era scomparso, ma era svanita anche la furia. Sembrava, pensò Jase, genuinamente ferito da un pensiero mai avuto. Terra aveva abbassato il fucile. Jase vide la mossa, e ci rifletté sopra, pieno di stupore. Lei aveva abbassato il fucile. Poi, con stupore ancora maggiore, pensò: “Anche lei sta ascoltando.”
— Mentre tu inseguivi Michelle Viridian per tutti questi anni, le hai dato qualcosa da cui nascondersi, da cui scappare con la stessa forza di adesso. Sei tu quello da cui lei si è nascosta in primo luogo: tu e tutto il tuo furore segreto. In questo mondo è pericoloso nascondere le cose. Se non le trasformi in linguaggio, si trasformano in qualcosa d’altro; riemergono quando pensi di averle sotterrate, le trovi dove meno te l’aspetti: la pazza con il fucile puntato alla tua schiena, la maschera sul viso della donna che amavi… hai trovato esattamente quello che cercavi, Aaron: le cose che odii.
Aaron mosse le labbra senza emettere suono. Fissò la spia luminosa dell’intercom, quasi si aspettasse di vederne uscire all’improvviso il Mago come un ologramma. Il suo viso era privo d’espressione, svanita insieme al colore.
— Sto cercando… Aaron, sto cercando di mostrarti un modo diverso di guardare quello che hai fissato con odio per sette anni. Non voglio ferirti. Cerco solo di mostrarti che non avresti mai potuto spiegare la strage di Terra, che Michelle non avrebbe mai potuto spiegarla… hai continuato a cercare la cosa sbagliata.
— Lo so — disse lui, con voce così bassa che il Mago la udì a stento. I suoi occhi catturarono bizzarramente la luce, velati da lacrime o ricordi. Tenne le mani abbandonate; tenne tutto il corpo abbandonato, come se accettasse il vuoto dell’aria. Jase si sentì d’un tratto pungere la gola. “Sette anni”, pensò. “Gli ci sono voluti sette anni per lasciar perdere. Dio santo, come riusciamo a sopravvivere, tutti noi, tra sofferenze e fuggevoli amori?”
— Mago — disse, accantonando con una scrollata di spalle quel problema, come un vecchio fardello familiare. — Avete ottenuto la nostra attenzione. Adesso potete spiegare meglio…
— Spaziomobile Ero a lancia — intervenne l’intercorri in tono aspro. — Flotta in avvicinamento alle ultime coordinate note del Pianto volante. Prego trasmettere nuove coordinate…
— A questo punto li abbiamo praticamente sotto il naso — disse Jase con irritazione. — Ora…
— Ordini per l’avvicinamento? Volete che apriamo il fuoco?
— Voglio che ve ne andiate… negativo. Raggiungeteli e scortateli.
— Signore — disse incredula Ero. - Codice cinque?
— Negativo Codice cinque. Sono disarmati.
— Signore, ne siete certo?
— Naturalmente. Sto trattando per una soluzione incruenta. Mantenete il silenzio; sgombrate i canali. Scortate e aspettate…
— Codice otto?
— Negativo — gridò Jase. — Negativo Codice otto. Niente azioni di forza. — Si interruppe perché il Mago in sottofondo aveva detto qualcosa di incoerente. — Signor Restak — disse all’improvviso, profondamente a disagio. — Mago. — Udì dietro di sé il respiro affannoso, irregolare di Terra. — Signor Restak! Rispondete! Maledizione, Ero , volete togliervi dai…
— Il bisogno — disse rigidamente Terra, congelando le corde vocali di Jase — è la luce.
Buio. Non il buio delle palpebre abbassate, con i suoi casuali barlumi colorati, non il buio della notte, con i suoi fuochi remoti, ma la muta, immota mezzanotte del vuoto… Lei era lì dentro. Vi era rinchiusa. Vi era sepolta. Stringeva il buio fra i denti, lo inspirava nei polmoni. Le sue ossa erano scolpite nella notte. I suoi occhi non contenevano luce. Avrebbe potuto trovarsi oltre il limite dell’universo, in un luogo in cui la luce ancora non era stata concepita.
— Questo buio — sussurrò al Mago perduto nella sua cecità personale, alle vaghe ombre umane, meno concrete di un ricordo, che tenevano lo sguardo inchiodato su di lei. — Questo buio… — Un verso di un’antica poesia le passò per la mente. «E buio su buio è buio…». È freddo, questo buio. Troppo ristretto, anche. Il buio è… una pelle che deve essere scartata…
Un occhio si aprì nel buio. Un puntino di luce.
— La stella gialla… Troppo distante. Troppo fredda. Non significa nulla. Non è messaggio. E… non reale. Non c’è fuoco, ma il ricordo del fuoco. Il bisogno… e il ricordo del bisogno. — Sentì la mente del Mago dibattersi come un piccolo insetto in una gigantesca ragnatela per liberarsi dalla sua visione, dalla sua voce. Il movimento frenetico cessò a poco a poco; la paura che il Mago avvertiva intorno a sé, dentro di sé, la paura e il ricordo della paura, si erano dileguati. Era stato davvero inghiottito dal buio, fuori dal tempo, sotto il gelido sguardo della stella gialla. Invece lei… una parte di lei legata al tempo… ricordava ancora la paura. Il cuore di qualcuno batté all’impazzata al ricordo; le mani di qualcuno, strette attorno a un fucile, erano scivolose per il sudore.
Il bisogno crebbe, la stella crebbe, come fiore profumato e pericoloso nel buio.
— Il bisogno è la luce.
La fredda stella intaccò il buio. Poiché non esisteva da nessuna parte, in nessun tempo, non provocò ombra e non diede calore. — È il ricordo di una stella — disse lei disperatamente. — Non dà nulla. — Le sue mani si mossero sull’oggetto metallico che stringeva. Qualcuno disse qualcosa: una parola acquistò esistenza in un altro mondo, un altro tempo. Un ricordo di luce le riempiva la mente, luce dal passato. — Nessun calore — mormorò. — Non nel ricordo. — Ma lei aveva con sé la luce.
Un movimento più avanti, interrotto. Assaporò la paura come una pillola di metallo. — Di nuovo — mormorò. — Di nuovo. — Ma sopra la testa non aveva il sole del deserto, e nemmeno si trovava sulla smorta sabbia prosciugata dal calore. Era in una minuscola bolla d’aria racchiusa contro un immenso buio. Davanti a lei due uomini respiravano silenziosamente, con il viso scostato dalle luci del pannello, in ombra. La guardavano. Erano talmente immobili che sembravano volerle nascondere il battito del loro cuore o i mormorii privi di senso della loro mente.
— Terra — disse il buio in tono gentile, supplichevole; e per un istante lei fu fuori della visione, e l’unica luce che vide fu la spia luminosa dell’intercom sul pannello fra i due uomini. Mosse le labbra senza emettere suono: Michelle.
— Terra.
— Il bisogno è la luce…
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