Aaron restò in silenzio. Jase gli lanciò un’occhiata. Vide che aveva il viso contratto, arrossato fino alla radice dei capelli. La battaglia che si svolgeva dentro di lui, fra il furore, le radicate riserve d’orgoglio e d’angoscia, e il bisogno di sapere, sembrava esplosiva. Jase cambiò posizione, a disagio in quel turbine, ma quando alla fine Aaron parlò, aveva già sepolto ogni sensazione sotto una patina di calma professionale.
— Non perdere tempo a farmi favori. Cerca solo di tornare su Averno, e non salterai in aria.
— Aaron…
— Quanto pensi di poter tirare la corda? Adesso lei mi punta il fucile alla schiena, per causa tua.
— Lo so. Però, Aaron, lei è solo…
La calma si spezzò. — Difendila, Magico Capo, e attraverserò a piedi il vuoto dello spazio per trasformarti in luce con le mie mani!
Jase si girò, avvertendo il movimento alle sue spalle prima ancora di vederlo. Il fucile attraversò rapidamente il suo campo visivo. Udì il Mago gridare.
— Terra! No!
Ci fu silenzio di tomba. Jase batté le palpebre per il sudore improvviso, vide il fucile puntato fra le scapole di Aaron abbassarsi lentamente. L’attimo dopo Terra indietreggiò, tornò a sedersi sul pavimento. La sua espressione fra un movimento e l’altro era rimasta uguale. “Non ha sparato”, pensò Jase. “Non l’ha fatto neppure adesso.”
Parlò nell’intercom, sentendosi stanchissimo. — Come facevate a saperlo, signor Restak?
— Lo sapevo. Cos’ha fatto?
— Nessun danno per ora. Ha chiarito come la pensa. Non le piace che vi minaccino.
— Aaron?
Jase guardò il poliziotto. Respirava a scatti, ma in silenzio, aveva il viso esangue. Dalla sua fragile immobilità Jase giudicò che fosse sul punto di tremare di rabbia.
— Non è ferito. Signor Restak, la situazione è insopportabile.
— Lo so, perdio. Aaron?
— Credo che il signor Fisher sia troppo furibondo per parlare. Sta cercando di non farsi sparare addosso. In nome dell’amicizia, come diavolo lo giustificate, signor Restak? Rischiate di farlo uccidere.
— Non mi ha mai detto niente — disse il Mago. Jase lo udì trarre un respiro profondo. — Lo conoscevo da anni. Mi disse che sua moglie era morta. Me lo disse un’unica volta. Non parlava mai di lei. Questo non me lo sarei mai aspettato — concluse.
“Mi sarei aspettato piuttosto di essere sbranato da coccodrilli sulla Luna”, pensò cupamente Jase. Mantenne ferma la voce, cercando a tentoni qualche brandello di buonsenso, persino nel Mago. Disse, rischiando che il suo compagno esplodesse un’altra volta: — Il signor Fisher mi sembra un uomo molto riservato. Vi ha mai detto che negli ultimi sette anni ha continuato a cercare in segreto Michelle Viridian, per vedere se da lei poteva capire le ragioni che avevano spinto Terra ad ammazzargli la moglie? Anche sfruttando i nostri più completi e sofisticati sistemi di schedatura, non è riuscito a trovarla, tanto bene si era nascosta.
— L’ha trovata — mormorò il Mago.
— L’ho fatto venire quassù per questo motivo. Lei ha usato il suo computer per chiedere informazioni riservate su Averno. È stata lei a trovare lui, signor Restak. Se lei non l’avesse fatto, lui non sarebbe seduto qui con Terra alle spalle.
— Lei…
— Michelle Viridian è passibile di imputazioni molto gravi. Davvero non avete mai saputo il suo nome?
— Non me l’ha mai detto. Non l’ha mai detto a nessuno. Ne era terrorizzata. — Dopo una pausa aggiunse: — Su Averno mi disse che sette anni fa, dopo la condanna di Terra, Michelle Viridian si era dipinta il viso per poter suonare un’ultima volta senza essere riconosciuta. Poi avrebbe… si sarebbe tolta la vita. Quella notte. Per la disperazione. Non è la criminale incallita che dipingete voi, direttore Klyos. Non aveva nessuno, non aveva famiglia, a parte Terra. E Terra era in viaggio per l’Anello Scuro.
— Quella notte — disse Jase interessato — lei non si uccise. Cosa la spinse a cambiare idea?
— Trovò… trovò un ultimo complesso con cui suonare. Il mio.
Aaron sollevò involontariamente la testa. Deglutì, abbassò di nuovo lo sguardo, tenne gli occhi fissi, nascosti.
Jase si agitò sul sediolo. La minuscola cabina della lancia sembrò ancora più stretta, affollata da eventi che si sovrapponevano, da troppi particolari che si raggruppavano in un complicato poliedro.
— La Regina di Cuori — disse con voce piatta.
— La poesiola infantile — disse il Mago, sorprendendolo. Jase si infuriò, provando la sensazione che gli avesse letto nella mente.
— Come fate a…
— Ero in ascolto, quando eravate in comunicazione con Sidney.
— Il signor Halleck… Da quanto tempo conosceva la Regina di Cuori?
— La incontrò sette anni fa, più o meno quando lei cominciò a suonare con me.
Jase restò in silenzio. — Signor Restak — disse stancamente. — Ogni volta che provo a ricavare un senso da questa storia, mi ritrovo sempre più invischiato. La flotta d’inseguimento vi è quasi alle calcagna. Un po’ di tempo fa, dopo che mi avete legato e avete scatenato l’inferno e Bach contro le mie spaziomobili, non mi importava minimamente in quanti pezzetti vi avrebbero ridotto. Ma adesso, prima che vi distruggano, mi piacerebbe proprio sapere cosa sta succedendo. Se avete qualcosa da spiegare, vi ascolterò. Se volete che Terra parli, l’ascolterò. Cercherò di evitare che il signor Fisher si faccia uccidere. Ditemi solo, in nome di Dio, come una filastrocca ha potuto cacciarci in un vespaio del genere.
— Non è cominciato con una filastrocca. È cominciato…
— Quando?
— Quel giorno — disse il Mago misurando le parole. — Nel Settore Deserto. So perché Terra ha massacrato tutta quella gente.
— Sapete…
— È una conseguenza delle visioni che sono dentro di lei. La trasformazione. Posso vederla.
— Signor Restak, ogni volta che cominciate a parlare in questo modo mi fate sentire a disagio. Mi viene voglia di farmi la doccia al cervello.
— Per favore. Ascoltate. — Si interruppe di nuovo. Jase lo sentì scegliere le parole. E poi udì la profonda stanchezza che c’era sotto: il Mago che faceva giochi di prestigio con tavolini, sciarpe e tazzine da caffè, e un coltello di troppo. — Quando ho accompagnato voi e Michelle a vedere Terra: ricordate?
— Sì.
— C’era il computer, che mostrava immagini della sua mente. Noi siamo entrati; abbiamo guardato Terra, perché era la prima cosa che si notava, la pazza rapata a zero dentro la bolla. Poi voi avete guardato lo schermo. E lei ha guardato me. E io ho visto nella mia mente tutte le immagini che lei continuava a vedere. Ed è… era irresistibile. Era… direttore Klyos, qual è la cosa che desiderate di più dalla vita?
— Un trasferimento.
Il Mago rimase un attimo in silenzio. — D’accordo — disse con pazienza disumana. — Allora qual è la cosa che vi tocca più profondamente?
Jase rimase muto, colpito dalla domanda inaspettata. — Cosa cercate di dire, signor Restak?
— Che quello che lei… che tutt’e due vediamo, ha la stessa enorme importanza. È egualmente vitale. Non per noi. Non a livello umano. A livello…
— Oh Cristo, non comincerete a parlare di alieni!
— Le avete viste anche voi, quelle immagini.
Di colpo Jase vide ancora le immagini, la loro estraneità, sempre dal lato sbagliato degli ampi confini della sua personale esperienza. Sagome che scrosciavano giù come pioggia, che si allontanavano in fretta su una spiaggia ametista. L’ovale piegato, sereno come una luna caduta sulla sabbia. Il sole rosso… “I colori sono tutti sbagliati”, pensò. Ma lei aveva insistito su quei colori.
— Ha ucciso a causa di quelle immagini. Perché secondo me chiunque le generi ha provato un irresistibile stimolo di luce. Lo stimolo era probabilmente biologico, istintivo. Come quello di animali o rettili nati sulla terraferma, che sono spinti verso l’acqua perché altrimenti muoiono. Sono spinti. Cosa sia successo all’alieno, non lo so. Forse si collega in qualche modo al sole morente. Terra era nel deserto in pieno giorno. Ma l’immagine nella sua mente era buia. Lei vide le tenebre. Sentì le tenebre. Provocò la luce.
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