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Patricia McKillip: Voci dal nulla

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Patricia McKillip Voci dal nulla

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Rinchiusa nell’Avemo, il più impenetrabile carcere orbitale di massima sicurezza dell’intera galassia, Terra Viridian sconta la sua condanna senza poter sfuggire alla visione che le ha fatto massacrare senza motivo apparente più di millecinquecento persone. Una visione apocalittica, che lei stessa non comprende e all’esistenza della quale nessuno crede, ma la cui voce può significare un contatto totalmente nuovo per il genere umano. La scena cambia quando intorno a Terra iniziano ad agire strani personaggi: il Mago, capace di suonare Bach per ore e ore immerso in una profonda trance, Aaron, il poliziotto alla ricerca della gemella di Terra -Viridian misteriosamente scomparsa, e la Regina di Cuori, la musicista mascherata in grado di plasmare sonorità sempre nuove. Solo quando tutti questi destini si incroceranno nell’Averno, guidati da una voce a loro sconosciuta, arriverà il momento di giocare l’ultima partita.

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— Cosa vediamo, mi chiedo — meditò il Mago. — O come? Tramite occhi alieni, la visione di una mente aliena? Oppure quest’essere osserva se stesso nel suo formarsi? Vediamo il suo stesso schema biologico, osserviamo il suo retaggio di messaggi genetici, la sua visione interiore di ordini ai quali bisogna rispondere? La scogliera, il sole, il mare, ricordi ereditari, un codice di trasformazione, per cui il sole che vediamo si trova nelle sue cellule, nel suo essere? Forse il vero sole è ancora cambiato da quando è stato ereditato il messaggio…

Un getto di vapore sgorgò dalla scogliera. Oscurò il mare, il sole, rimase sospeso come una densa nebbia tropicale sopra ogni cosa. Lunghe onde si arrotolarono come riccioli sulla sabbia, si srotolarono fino al limitare della grotta, si ritrassero lentamente, pesantemente, trascinando la sabbia con sé. Strato dopo strato di ametista, che colorava l’acqua di viola confuso…

— Un’onda — disse il Mago. — Un’altra onda… Un’altra…

Jase lanciò un’occhiata al cronometro, ma il tempo non gli si impresse in mente. Non aveva significato. “Ecco”, pensò. “Ecco la sensazione che provavo: il tempo è diverso. Tutte le mie abitudini riguardanti il tempo sono tenute in sospeso.” Si rese conto del silenzio di Aaron, accanto a sé. Concentrandosi, riuscì a sentirne il respiro, lento e quasi impercettibile, ritmato con il conteggio delle onde fatto dal Mago. Si chiese se doveva reagire, se doveva aprirsi a forza un varco nell’ipnosi generale. Poi pensò: “Al diavolo, ho chiesto io una spiegazione.”

Finalmente, dopo un numero imprecisato di onde, il Mago disse: — Ci sono dei contorni sotto la sabbia.

— Signore — si inserì la Ero.

— Qui Ero. La flotta ha raggiunto il Pianto volante e lo scorta. Richiesta di ordini.

— Limitatevi a scortarli — disse calmo Jase. — Mantenete il silenzio.

— Disegni sulla sabbia — disse Terra.

— Filigrana come ragnatela… Un merletto che ricopre la spiaggia… Qualunque cosa sia, è enorme.

Metamorfosi, pensò Jase, ricordando una delle inesplicabili allusioni di Terra. Solo che questa era una larva intelligente, e aveva un bozzolo di ametista, e si tuffava nel fuoco e nell’acqua mentre cambiava. Una larva consapevole della propria struttura, che aveva inviato uno schema della sua trasformazione attraverso chissà quanti anni luce.

— Signore. Ancora Ero - disse il comandante della flotta in tono irritato. — Stiamo intercettando conversazioni senza senso dal Pianto volante.

Jase sospirò silenziosamente. — Registratele sul giornale di bordo — suggerì. — Potrebbero essere una specie di codice. Continuate ad ascoltare.

— Signore — mormorò Aaron, destato dal suo stato di trance. — Che diavolo succede? Non riesco a smettere di vedere… di immaginare cose. Io che non ho mai avuto un briciolo d’immaginazione. Il Mago… mi fa vedere le cose che dice. E lei pure. Cosa… Come fanno?

— Non lo so. Aspettiamo.

— Ossa — mormorò Terra. — Ossa di cristallo.

Il fragile scheletro luccicante giacque immobile sulla sabbia, traendo di tanto in tanto barbagli di fuoco dal debole sole, quando la nebbia si attenuava. Il sole brillava come brace ardente fra il fumo rossastro. Un’altra onda scrosciò, si ritrasse. Un’altra.

— Il calore — disse il Mago — deve averne vetrificato la struttura. Era ancora tanto incandescente quando è strisciata fuori dalla fornace, che ha fuso la sabbia, i minerali, qualsiasi cosa ci fosse. Ha formato una membrana fra ogni… fra ogni osso. Non so di cosa sia fatta. Sembrano ali di cristallo piombato e vetro colorato. Ma non è possibile, se sono previste per volare.

— Buio — disse Terra, ma questa volta non c’era angoscia nella sua voce. — Il bisogno è vedere. Vedere il sole.

— La parte principale del corpo è ancora sepolta. Il cervello.

Jase si sorprese a cercare di immaginare un cervello alieno, poi rinunciò. Al suo fianco, Aaron si mosse leggermente, come turbato dall’identica immagine. Si girò brevemente per lanciare un’occhiata a Terra, e nei suoi occhi lo stupore lottava con l’ostilità.

— È reale?

— Dio, non lo so — disse Jase. — Aaron, cos’è più importante in questo momento? La legge? La pena? La nostra scorta di carburante? Non so cos’è reale. Ma so cos’ha attirato la mia attenzione.

— Il bisogno è vedere…

— Il sincronismo è sorprendente — disse il Mago. — I bisogni sono precisi, cruciali… un momento di fuoco, un momento di acqua, il sole… il pozzo di magma, il mare per raffreddare la creatura, l’azione delle onde sufficiente a disseppellirla, e il tutto alla luce del giorno, non di notte… Sette anni terrestri per preparare pochi istanti decisivi.

“Ma che cos’è?” pensò Jase affascinato. “Che cosa?”

— Cominciano ad apparire i contorni del corpo. Sembra… — Si interruppe con un mormorio di sorpresa. Tentò di parlare di nuovo, senza riuscirci. — Non riesco… — All’improvviso ansimava, a sprazzi. — Troppo… troppo rapido. Non posso… Non posso…

— Mago. — Terra alzò Ieggermente la voce. — Non è per te. La conoscenza. Non ascoltarla. Lascia perdere. La conoscenza non è per te. Solo la visione.

Ci fu un lungo silenzio; Jase fissò con aria assente la spia luminosa dell’intercom, come se potesse udire, sotto la statica e il debole brusio, la massa di dati che si precipitava nella mente del Mago.

— Mio Dio — disse il Mago con voce malferma. — Quella creatura è programmata come un… come un…

“Come un cosa?” gridò Jase silenziosamente.

Le onde liberavano il cilindro. La superficie nebulosa era suddivisa in uno spettro di colori. Le onde la ricoprivano, si ritraevano lungo le linee vitree, portando via lentamente, accuratamente, ogni granello di sabbia.

Il sole, visto attraverso una cortina d’acqua…

— Il sole — disse piano Terra. — Il sole rosso…

— Il sole è un rivelatore direzionale — disse a sorpresa il Mago. — Un punto di riferimento. Questo spiegherebbe tutti gli atlanti stellari che ha inghiottito. Il bisogno…

— Il bisogno è l’eternità — disse semplicemente Terra.

— Il sole rappresenta la casa. La famiglia. Il bisogno è più profondo dell’intelligenza. Il sole, anche fioco e morente, è… — Sembrò che per una volta gli mancassero le parole. — È un simbolo. Molto tempo fa dev’essere stato più di un simbolo. La stella giovane dev’essere stata la fonte di calore, il processo medesimo. Ma la stella è invecchiata; l’imperativo di trasformazione si è evoluto secondo uno schema differente. Anche così, il ricordo evolutivo persiste. L’istinto è indirizzato a quel sole.

Jase inspirò, espirò in silenzio. Quando avrebbe rivisto il sole giallo, si disse, gli sarebbe sembrato per un istante completamente estraneo.

— Si muove — disse Terra. — Le ali si muovono.

Le ali si alzarono verso il vapore, cose d’aria e di luce, quasi invisibili. Molto lentamente si ripiegarono, serrate contro il corpo, poi si spiegarono e si distesero, lunghe e splendenti, su gran parte della spiaggia. Si piegarono ancora, si aprirono gentilmente, quasi sensualmente, nell’aria calda e umida.

— È bellissima — mormorò il Mago. — Enorme, magnifica, intelligente, e…

— Cosa? — disse Jase, anche se sapeva che il Mago non lo avrebbe udito.

— Sensibile. Fa parte del suo schema d’apprendimento. È stupita di essere in vita, è contenta del vapore, è sola, è cosciente di sé, è sgomenta del sole ma ne ha bisogno, come un bambino; è capace di amare e di essere illusa… — La sua voce si spezzò di colpo, arrochita dalla tensione e dalle sue stesse emozioni. — C’è forse un’unica cosa che non è: non è affamata. — Emise una debole risata, metà di timore reverenziale, metà d’ironia. — Si è sfamata in quel fuoco… si è rifornita ed è pronta a volare.

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