Patricia McKillip - Voci dal nulla

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Rinchiusa nell’Avemo, il più impenetrabile carcere orbitale di massima sicurezza dell’intera galassia, Terra Viridian sconta la sua condanna senza poter sfuggire alla visione che le ha fatto massacrare senza motivo apparente più di millecinquecento persone. Una visione apocalittica, che lei stessa non comprende e all’esistenza della quale nessuno crede, ma la cui voce può significare un contatto totalmente nuovo per il genere umano. La scena cambia quando intorno a Terra iniziano ad agire strani personaggi: il Mago, capace di suonare Bach per ore e ore immerso in una profonda trance, Aaron, il poliziotto alla ricerca della gemella di Terra -Viridian misteriosamente scomparsa, e la Regina di Cuori, la musicista mascherata in grado di plasmare sonorità sempre nuove. Solo quando tutti questi destini si incroceranno nell’Averno, guidati da una voce a loro sconosciuta, arriverà il momento di giocare l’ultima partita.

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— Non puoi creare nessuna luce che penetri in un sogno… Non puoi creare nessuna luce che penetri attraverso una simile distesa di tenebra… Puoi solo morire. Questa volta morirai. E morirò anch’io, perché distruggerai il mio viso, il mio cuore.

— Michelle — mormorò. E allora lo sentì: il terribile, impellente desiderio di calore, di luce, di vita.

Strinse le mani sul fucile. Scagliò una luce nel buio…

Non c’era abbastanza calore nella sabbia del deserto. La luce che la inzuppava, che bruciava la pelle, non era sufficiente. Il cielo assolato, così luminoso da ferire gli occhi, non era sufficiente. Il Mago desiderò il calore, lo desiderò con tutte le sue forze, volle avvolgere se stesso nella fiamma, catturare il sole come un pesce nella rete e tirarlo a terra fino a fondere la sabbia sotto i piedi, finché il fuoco giallo non si fosse esteso da orizzonte a orizzonte.

Sollevò il fucile laser.

Udì le urla, come grida d’uccelli marini in lontananza. Non significavano nulla. Il bisogno era la luce. Pietre gli esplosero attorno, pareti e macchinari si deformarono. Il fuoco si accavallò fra terra e sole, diede al deserto una sfumatura rossastra. Il sole rosso non era caldo abbastanza, il bisogno era maggiore. Lui creò un mondo di fuoco, dipinse di luce tutto ciò che vedeva. Finché non rimase altro che il fuoco…

Si ritrovò in una notte rossa. Non c’erano rumori, a parte il fuoco che lambiva ancora gli scheletri delle caserme. Aveva le mani saldate al fucile. Alla fine le staccò, lasciò cadere il fucile. Provocò un rumore lieve nel vuoto circostante. Per un istante si chiese in quale sogno, nel sogno di chi, si trovasse. Poi cominciò a vedere le sagome sparpagliate sul terreno, bagnate di luce rossa. La luce del sole rosso. Sagome da incubo, carbonizzate, fuse, dilaniate. Un attacco, pensò. Sono l’unico sopravvissuto.

E poi, con il corpo sudato e tremante, le mani doloranti, vide cosa aveva fatto.

Emise un gemito. Si inginocchiò, sbattendo le palpebre per togliersi il sudore dagli occhi. Grigio. Pavimento grigio che si incurvava a formare il pannello di comando. Uno sciame di luci. Sotto le luci, una tastiera.

Emise un respiro che non era tenebra, che non era fuoco. Il Pianto volante era silenzioso come lo era stata la visione. Vide stivali, neri, marrone consunto, una lucente, squamosa pelle arancione che feriva gli occhi. Di colpo sul suo viso il sudore divenne di ghiaccio.

— Dio mio — mormorò. Poi udì nell’intercom la voce di lei.

— Mago.

— Terra — mormorò, timoroso di muoversi. Stivali grigi entrarono nel suo campo visivo; una mano scura si allungò verso di lui. Alzò gli occhi, vide un viso vivo.

— Magico Capo? — disse il Professore, esitante. — Stai bene?

Lui annuì, si lasciò tirare in piedi, si diresse barcollando all’intercom.

— Aaron?

— Sono qui. — La voce era poco più di un sussurro.

— Direttore Klyos? Siete… non vi ha…

— Non ha sparato — disse Jase. Sembrò al Mago che pronunciasse le parole con circospezione, come se fosse stupito di avere ancora la voce. — Non ha sparato.

— Sapete…

— Ha parlato. Le avete detto di parlare, e ha parlato. Voi no.

— Ero… ero… Il bisogno era la luce.

— Lo so.

— Lei ha creato la luce.

— Non nella lancia. Grazie a Dio.

— No — disse il Mago. Si accorse di tremare ancora, e si sedette. — Nella mia mente. L’unico luogo dove potesse farlo senza far male a Michelle. Ci ha salvati — disse, ancora incredulo, rivolgendosi sia alla lancia sia al Pianto volante. - Ci ha permesso di vivere.

La voce di Jase tornò. — È lì che eravate?

— Nel Settore Deserto. A creare la luce.

— Signor Restak… — Sembrava scosso.

— Non c’era abbastanza luce. Lo sentivo. Non c’era abbastanza luce, in tutto il Settore Deserto, in tutto il mondo… non per una creatura sotto un sole morente, che aveva bisogno di luce per nascere.

— Ora?

Immagini si formarono al limitare della coscienza del Mago, attirando la sua attenzione… Una scogliera a strapiombo nera come lo spazio profondo. Un confuso cielo rossastro sullo sfondo. Un ovale ripiegato su se stesso, di tutti i colori e di nessun colore, disteso su sabbia ametista. Una sfocata visione di una stella rossa. La scogliera. L’ovale. Il sole rosso. La voce di Terra.

— La visione.

Rivolse le parole alla minuscola stella di luce che era l’intercom della lancia. Reggeva ancora il fucile, ma ormai non se ne rendeva più conto. Gli uomini avevano distolto il viso da lei, fissavano il fuoco e il buio oltre lo schermo stellare come se le sue parole e i suoi pensieri tingessero la loro mente, creassero visioni fra le stelle.

— La sabbia viola s’increspa. Qualcosa si muove sotto la superficie… La scogliera nera. Il bisogno è raggiungere la scogliera nera. Il bisogno è…

La voce del Mago attraversò il buio, lottando con il linguaggio del sogno: — Calore. Il bisogno è… cambiare. Trasformare. Ma il bisogno non è nel sole. La scogliera nera…

— “La scogliera è una porta, un ingresso…

— “Un passaggio verso il fuoco.

— “La visione è fuoco.”

Le increspature continuarono, metodiche ondulazioni di granelli ametista, una vibrazione contro la scogliera. La scogliera stessa cominciò a vibrare.

— Non è facile stimare — disse con calma il Mago — la prospettiva all’interno della visione. La scogliera è alta un chilometro? Oppure è alta un palmo? La vibrazione è sufficiente a smuovere una pietra grossa come un pugno? O sufficiente a devastare una superficie di mille chilometri?

— La porta dev’essere spalancata.

Onde d’urto si ripercossero sulla sabbia. Il mare calmo cominciò a fremere, l’acqua si alzò sulla spiaggia come da un vaso in ebollizione.

— La porta è immensa — disse il Mago. La voce era soffocata. — Forse ogni seme della Terra ha la stessa intensa reazione esplosiva quando finalmente si divide in due, spinto verso la luce; ma sarebbe in grado di percepirne la sorgente? Il sole della visione è come quello che vedremmo noi, sul nostro orizzonte, anche se è gigantesco e offuscato… Sull’orizzonte sotto il sole morente la scogliera stessa è enorme. E anche l’essere sotto la sabbia, che si spinge verso il calore, disturba il mare…

— Fuoco e acqua.

— È un rischioso inizio di vita… un equilibrio di fuoco e di acqua, di calore e di gelo. La scogliera nera racchiude la forgia. Il crogiolo.

— Il bisogno — sussurrò Terra. — Il bisogno…

Il centro si spalancò: una grotta di denti colorati o una bocca piena di gioielli. Inghiottì i propri detriti; inghiottì l’ultimo frenetico impulso sotto la sabbia. I riflessi di fuoco dentro la grotta percossero come ali le pareti ingemmate.

— Fuoco…

Un milione di messaggi, tutti provocati dal fuoco interiore del pianeta. Giunture sigillate, superfici levigate, energia zigzagante lungo eleganti disegni di strutture. Una testa bianca esplose dalla scogliera in una pioggia di stelle. Poi l’onda di marea colpì.

— Acqua.

— La guarigione — disse Terra. La parola sgorgò come un lieve respiro.

Jase la guardò. Era seduta sul pavimento, tenendo una mano posata sul fucile al suo fianco, anche se pareva aver dimenticato l’arma, la lancia, ogni cosa o persona a bordo. I suoi occhi erano persi nel vuoto, inermi, risplendenti di visioni.

Jase tornò a girarsi verso lo schermo esterno, sentendosi stordito, spiazzato, con la testa piena della soggettiva e approssimata raffigurazione dei sogni. Le due voci si sostenevano e si sovrapponevano a vicenda. Il linguaggio non era mai del tutto preciso, danzava sempre sulla superficie della visione stessa, come luce su acqua, illuminava ma non determinava. Una trasformazione mediante fuoco e acqua… di che cosa?

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