— Non posso. — La sua voce tremava in maniera incontrollabile, e il Mago si sentì accapponare la pelle, come per una sensazione di pericolo.
— Non dovresti essere qui — disse Michelle disperatamente. — Non dovresti esserci affatto. Non volevo che tu sapessi, prima che tutto fosse terminato. Te l’avrei detto, dopo, se tu avessi ancora desiderato sapere chi ero. Ma voglio solo… Mi hai dato la rosa. E allora voglio che tu sappia, se ancora t’importa… o se mai t’importerà… che le parole che ti dissi quando venisti a salutarmi… su di te, sui cubi, sulla musica del Mago…
— Basta! Non voglio sentirlo! Non voglio!
Lei sollevò la mano dalla spalla del Mago, si toccò le labbra. — Scusami. — I suoi occhi erano storditi, feriti. — Scusami…
Il Mago l’allontanò, si chinò sull’intercom. — Aaron.
— Che c’è? — Sembrava furioso, scosso, come se lo avessero privato della sua essenziale intimità.
— Per favore. Terra è…
— Magico Capo, quella pazza ha ucciso mia moglie!
— Oh! — mormorò. Per un attimo rimase senza fiato. — Dio mio! — L’intercom ammutolì. Il Mago si chiese se un fragile anello invisibile nella notte che li univa si fosse improvvisamente spezzato. Alzò bruscamente lo sguardo, perché Michelle era scomparsa. Ma era ancora accanto a lui. Non riusciva a sentirne il respiro. Pur fissandola, non riusciva a trovarla. C’era solo il suo viso, immobile, cereo, inespressivo: un’altra maschera. Gli occhi grigi sembravano prosciugati.
— Signor Restak — disse Klyos.
— Sì — rispose intontito.
— Siete pronto a tornare?
Barcollò, stordito dai fatti. Poi scorse la visione umana che il Professore gli aveva regalato, traendola da un tempo e uno spazio che non esistevano se non in un linguaggio trasmesso di millennio in millennio: il Musico che si fermava per girarsi indietro, girarsi disastrosamente indietro, e guardava la lunga strada percorsa dall’Averno per vedere se aveva davvero portato in salvo una cosa di valore.
— No.
Jase si asciugò il sudore dal viso e cercò di sgranchirsi, pur restando legato al sediolo. — Dove siamo? — brontolò. Avevano inseguito il Pianto volante per giorni interi, gli sembrava, per mesi, come un’ombra uscita dal futuro, che avesse attraversato la sua vita già prima del loro incontro. I pericoli e le tensioni, dentro la lancia, gli erano divenuti familiari come i coltelli di un giocoliere.
Aaron lesse le coordinate con voce spenta. Un preciso e delicato equilibrio di eventi aveva spinto il poliziotto in quella corsa senza scopo nella notte, all’inseguimento di persone amiche, mentre il suo incubo peggiore gli puntava un fucile alla schiena. Jase, ammirando l’artistica inventiva del destino, non avrebbe biasimato Aaron se a questo punto anche lui fosse impazzito e avesse gettato la lancia nell’oblio scatenando il laser di Terra. Ma Aaron anziché esplodere diventava più freddo.
— Mi spiace — disse infine Jase, inutilmente. Aaron scosse appena la testa, senza cambiare espressione, sbattendo le palpebre come se avesse della sabbia negli occhi.
— Sono cose che succedono.
— Dio ci aiuti tutti quanti — mormorò Jase — se è questo che si intende per “cose che succedono”. — Toccò l’intercom. — Klyos a Scalo Uno.
— Scalo Uno.
— Avete già rintracciato Sidney Halleck?
— Affermativo. Gli abbiamo suonato le parole d’ordine dal registro dello scalo principale. Adesso le sta analizzando, signore.
— Bene. — Jase sospirò. — Voglio parlare con lui. E voglio, che lui parli al Mago. Il Pianto volante ha un canale aperto sulla FA.
— Sì, signore, li abbiamo ascoltati. Però continuano a non risponderci.
— Predisponete un collegamento con Sidney Halleck quando richiamerà. Scommetto che a lui risponderanno.
— Sissignore.
— Chiudo. — Avvertì il dissenso inespresso e diede un’occhiata ad Aaron. — Qualcosa non va, signor Fisher?
— No. Solo, mi dispiace vedere Sidney coinvolto… Adorava la musica del Mago. Per questo ha mandato quassù i Nova. Se mai rivedrà il Mago, lo troverà in una cella, con i capelli rapati a zero, e nessuna musica da suonare. — Irrigidì il viso bruscamente. Sembrò che volesse infilare il pugno nell’analizzatore. Ma le mani rimasero immobili. Con voce abbastanza ferma aggiunse: — Non m’intendo molto di musica. Ma conosco Sidney. Sarà un brutto colpo, per lui. Lo spreco. L’assoluto, totale spreco… — Alzò lo sguardo, fissò intensamente il buio. — Quella lì riesce ancora a uccidere la gente…
Gente che ami, terminò in silenzio Jase. Si lanciò un’occhiata alle spalle, verso la figura immobile seduta per terra, con il fucile puntato contro lo schienale di Aaron. Appena sopra la cintura, immaginò Jase, se Aaron l’avesse fatta sobbalzare. Gli occhi della donna si mossero, incontrarono i suoi: non era lui quello che Terra voleva vedere. Klyos la lasciò alla sua misteriosa attesa.
Disse d’un tratto: — Non avete mai parlato al Mago di vostra moglie.
— No — rispose brevemente Aaron.
— Signor Fisher, vi è mai capitato di leggere un’antica poesia che parla di sei ciechi che tentano di descrivere un elefante basandosi sul tatto?
Aaron rimase in silenzio, fissando senza espressione la macchia della Via Lattea. Poi sospirò. — Scusatemi. Continuo a dimenticare che è successo sette anni fa…
— Siete restato in silenzio molto a lungo.
— Sono abituato a non parlare… Quando mi arrabbio, non riesco a parlare. Seppellisco le cose. Proprio ora, vorrei prendere i comandi della lancia e scagliarla contro il Pianto volante.
— Lo so.
— Ricordo quella poesia sull’elefante. Terza elementare.
— Ecco perché faccio domande. Ho continuato a definire quest’elefante come un serpente con un ciuffo di peli a un’estremità e un foro puzzolente all’altra. Michelle Viridian ha convinto il Mago a liberare Terra dall’Anello Scuro, e tutto sembra molto semplice. Giusto?
— Semplice — fu d’accordo Aaron.
— Anche probabile?
Aaron spostò lo sguardo dalle stelle a Jase. — No, se conoscete il Pianto volante. Il Mago può guidare quel vascello con la musica. Dice che è la sua anima. Non lo metterebbe mai in pericolo. E poi semplicemente ha troppo buon senso. O lo aveva.
Jase annuì. — È questo che non capisco. Che una montagna mobile sia attaccata al serpente…
— Continuo a sforzarmi di trovare una parola — disse Aaron. Indurì di nuovo il viso, ma continuò ostinatamente: — Ha ucciso mia moglie. Adesso, sette anni dopo, siamo qui, lei e io, nella stessa spaziolancia, quando invece lei dovrebbe essere rinchiusa nell’Anello Scuro e io sulla Terra, e questa volta lei ha il fucile puntato su di me.
— Ironia.
— È questa la parola? Mi sembra troppo insignificante… Non faccio altro che pensarci e ripensarci. Come abbiamo fatto a cacciarci tutti in questa situazione.
— Quello che voglio sapere io, è il perché.
Aaron borbottò qualcosa in tono piatto. — Ho cercato i perché per sette anni. Ed ecco cosa ne ho ricavato.
— Be’ — sospirò Jase — ne avete certamente ricavato una grossa delusione.
— Direttore Klyos — disse Scalo Uno. — Qui Scalo Uno.
— Eccomi.
— La flotta d’inseguimento chiede l’ultima posizione del Pianto volante.
Aaron trasmise le coordinate, controllando che il Pianto volante non virasse appena intercettata la comunicazione. Non accadde nulla: la spaziomobile era silenziosa come una tomba e puntava diritta su una vicina galassia.
— Direttore Klyos — disse un’altra voce. — Qui Nilson.
— Nils! Sei nel Mozzo?
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