Il Mago allungò la mano a toccare il pulsante dell’intercom. Si sentiva raggelato. — La visione è davvero irresistibile — ammise, e parlò nell’intercom. — Direttore Klyos? — Rimase in attesa, fissando i vividi puntini luminosi sparpagliati sullo schermo stellare. Sembravano troppo lontani, incredibilmente remoti, come se all’uomo fossero toccate in eredità solo le tenebre infinite fra i soli, e il prepotente desiderio di raggiungerli. Il silenzio della lancia cominciò ad allarmarlo. — Terra?
— Sì — rispose la donna, e il Mago sospirò in silenzio.
— Siete tutti vivi?
— Io sono così stanca…
Sapeva a quale “io” si riferiva. L’“io” che aveva visioni, che ritrasmetteva messaggi accanto al lento mare tenebroso, provava solo bisogno. Anche lui sentiva l’identica stanchezza: la tensione costante provocata dal pericolo, dalla situazione, quando invece voleva solo lasciarsi assorbire dall’immagine.
— Stanno bene? Aaron e il direttore Klyos?
— Non parlano.
Si sentì impallidire. — Sono vivi?
— Sì — disse lei con indifferenza. Poi aggiunse, terrorizzandolo: — Ci sono momenti in cui non li vedo.
— Signor Restak? — intervenne cautamente Klyos.
— State bene?
— Cosa vuol dire con quella frase? Che non può vederci?
Il Mago imprecò fra sé. — Non ci conterei molto — disse infine, sforzandosi di tener calma la voce.
— Le visioni. Si tratta di questo? Quando ne ha una, non è cosciente dell’ambiente? Signor Restak?
— Io non sono cosciente di dove mi trovo — disse infine il Mago. — Ma non so cosa succede a lei.
— Ve l’ha appena detto.
Sentì il sudore solleticargli l’attaccatura dei capelli. — Quando comincerete a capire? — chiese bruscamente. — Lei mi legge la mente. Legge la mente di Aaron. Non ha intenzione di farvi del male. Lei e io stiamo captando i pensieri di un alieno. Vi sorprende? O per voi è normale?
— Signor Restak, non c’è più stato niente di normale da quando siete entrato nella mia vita. In questo momento mi sento come se avessi sulla schiena una bomba a orologeria. Se volete parlare di alieni, fate marcia indietro e tornate ad Averno. Vi ascolterò.
— Direttore Klyos, lei non vuole fare del male…
— Avete visto cos’ha fatto su Averno! È un’assassina.
Il Mago chiuse gli occhi. — Ha ucciso. Sì. Ma non cercate di uccidere lei mentre è immersa nelle visioni aliene. È sempre troppo pericolosa.
— Quali alieni? Di cosa parlate? Non siete nemmeno sulla stessa nave, come fate a sapere cosa pensa?
— Lo so — disse il Mago, alzando la voce senza volerlo — perché sono intrappolato nella stessa maledetta visione! Ho cercato di dirvi…
— Non capisco una parola di ciò che dite.
Il Mago inspirò e trattenne il fiato, sforzandosi di non perdere la pazienza. Vide che gli altri membri del complesso erano attorno a lui, seduti su cuccette e sedili, mentre lui era assorto nel suo bisogno, nient’affatto impaurito, perché fino a quel momento era stato troppo preso dalla meraviglia per lasciar posto alla paura.
Il suo silenzio si prolungò, si annebbiò…
Oh, Dio, no, pensò, terrorizzato per Terra, per Aaron. Non adesso.
— Signor Restak — udì confusamente. — Signor Restak.
Terra…
Una ragnatela di fili lattei, pulsante dall’interno… Si costruiva da sola angolo dopo angolo, in sezioni irregolari e nodi voluminosi, come delicate osse allungate. Lo schema sembrava casuale, ma era rigoroso, intuì il Mago, complesso come la matematica, e la scelta della lunghezza di ogni filo, di ogni posizione, era importante e impegnativa come la scelta di una serie di note musicali sotto le sue dita. Si sentì sedotto da sottili implicazioni, trascinato nello schema…
Le luci del quadro comandi sciamarono nella visione. Il Mago si sentì il corpo irrigidito, più vecchio di un giorno o di un minuto. Il silenzio attorno a lui era cambiato, come un’angolazione di luce. Erano state pronunciate parole che non aveva udito.
Poi sentì una mano sulla spalla, e il silenzio che era anch’esso parte della visione si infranse. Michelle era accanto a lui, e si passava la mano fra i capelli. Le ultime forcine a forma di cuore caddero ai piedi del Mago. Aveva gli occhi gonfi. La voce aspra, precisa, arrochita dall’angoscia, lo ipnotizzò.
— Aaron?
— Sì.
— Direttore Klyos? Siete in ascolto? Voglio sentire la vostra voce.
— Vi ascolto — rispose Jase, brusco.
— Se la toccate, il Mago lo saprà, e io urlerò così forte nell’intercom che mi sentiranno fino alla Stella Polare, e Terra Viridian con un fucile in mano è proprio l’argomento che va bene per i film dell’orrore. Mi sentite? Dite il vostro nome. Ditelo.
— Klyos.
— Aaron?
— Ti ascolto.
— Forse credete che non gliene importi niente di me dopo tutti questi anni, dopo sette anni dentro una cella dell’Anello Scuro, senza vedere niente tranne le visioni. Ma lei mi conosce. L’avete visto, direttore Klyos, nell’infermeria. Lei mi conosce. Sapeva che sarei venuta su Averno prima ancora del mio arrivo. Questo come lo spiegate, direttore Klyos?
— Non lo spiego.
— E tu, Aaron?
— Non lo so.
— Potreste chiedere, visto che non avete altro da fare che inseguire il Pianto volante. Potreste chiedere. Lei sapeva che sarei arrivata perché sono l’unica persona ancora in vita fra quelle che amava. Lei è la mia gemella, il mio viso, il mio cuore, e finché non impugnò quel fucile nel Settore Deserto non c’era al mondo persona che mi fosse più cara. Era tutta la mia famiglia, e io ero la sua. Potreste cercare i motivi che l’hanno spinta a uccidere, se siete ancora curiosi, se a qualcuno importa ancora dopo sette anni. Be’, io ho passato sette anni a cercare motivazioni, nella sua vita precedente, e sapete cos’ho trovato? Siete in ascolto? Aaron?
— Sì. — La sua voce suonò vuota, ossessionata.
— Ora vi dirò la verità. Direttore Klyos?
— Vi ascolto.
— Niente. Ecco cos’ho trovato! Ha ucciso per niente. Per nessun motivo. Per nessun motivo terreno. Per sette anni mi sono nascosta, per sette anni ho indossato un viso… il viso della Regina di Cuori, la cubista dal sorriso d’oro, che milioni di persone riconoscevano e nessuno ha mai conosciuto… perché quando mi guardavo allo specchio vedevo il viso di Terra, l’altro mio viso, e temevo che anch’io avrei potuto fare quello che aveva fatto lei… Ma adesso so che quel momento di sette anni fa nel Settore Deserto appartiene al suo passato, e il suo passato appartiene a lei, non a me, e non si ripeterà… Aaron…
— Non l’abbiamo toccata! È lei che ha il fucile!
— Di’ il mio nome. Dillo. Dillo.
— Michelle — mormorò lui. — Michelle Viridian.
— D’accordo. — Strinse la spalla del Mago con maggior forza, e lui si accorse che tremava. — Adesso lo sai. Ciò che non ti avevo detto. Ciò che ti avrei detto quando… se fossi tornata. Se tu avessi avuto voglia di ascoltare. Ma sei venuto qui.
— Sì — mormorò lui.
— Be’, adesso mi conosci, Aaron, riconosceresti il mio viso, adesso. — La voce si affievolì. Lei si spinse indietro i capelli con aria stanca. — Non mi nascondo più. Non avevi mai conosciuto Terra e quindi non mi avresti creduto se ti avessi detto che non era mai stata un mostro, solo un normale, intelligente essere umano con qualche talento e un viso grazioso. Per me era straordinaria, certo, perché ci volevamo bene, ma la persona più comune diventa sempre straordinaria quando le vuoi bene. Non avresti dato peso al fatto che mi teneva stretta la notte quando piangevo i nostri genitori, che c’era sempre un piatto di minestra ad attendermi quando tornavo a casa dai club alle tre del mattino, oppure che quando arrivammo sulla terra ed ero terrorizzata dai rumori, dai colori, lei si muoveva in quel mondo alieno come se nell’intero universo non ci fosse niente che poteva spaventarla. Io l’amavo. Ma se tutto questo ti lascia indifferente, allora spiegami perché il Mago rischia la vita per Terra e vede le visioni di Terra… Aaron?
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