Patricia McKillip - Voci dal nulla

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Rinchiusa nell’Avemo, il più impenetrabile carcere orbitale di massima sicurezza dell’intera galassia, Terra Viridian sconta la sua condanna senza poter sfuggire alla visione che le ha fatto massacrare senza motivo apparente più di millecinquecento persone. Una visione apocalittica, che lei stessa non comprende e all’esistenza della quale nessuno crede, ma la cui voce può significare un contatto totalmente nuovo per il genere umano. La scena cambia quando intorno a Terra iniziano ad agire strani personaggi: il Mago, capace di suonare Bach per ore e ore immerso in una profonda trance, Aaron, il poliziotto alla ricerca della gemella di Terra -Viridian misteriosamente scomparsa, e la Regina di Cuori, la musicista mascherata in grado di plasmare sonorità sempre nuove. Solo quando tutti questi destini si incroceranno nell’Averno, guidati da una voce a loro sconosciuta, arriverà il momento di giocare l’ultima partita.

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— Aaron — disse il Mago, ancora paziente, anche se per la prima volta Jase avvertì nella sua voce una traccia di tensione. — Lo so. Ma non è questo il punto…

— Certo che lo è! — gridò Aaron. — Finirai ucciso! — Si toccò con le dita gli occhi; la sua voce si abbassò, rauca, smorta. — Per favore. Torna indietro. Rifletti.

— Non ho fatto altro che riflettere — disse con fermezza il Mago. — Aaron, penso che forse avrai un problema. Perché Terra non è qui con me, e il Mozzo, l’ultimo luogo dove l’ho vista, non riesce a trovarla, e tu hai detto che siete usciti dal Mozzo, quindi è possibile che…

La sua voce sembrò svanire. Jase udì solo un silenzio che era l’arresto improvviso di tutti i suoi pensieri. Poi udì di nuove le scariche di statica: il Mago in attesa di risposta. Si sentì soffocare, gelare. Credette che anche il cervello gli si contraesse. Mosse cautamente la testa, incontrò lo sguardo di Aaron.

Nella minuscola stiva buia alle loro spalle, dove non avrebbe dovuto esserci movimento, qualcosa si muoveva.

3

Aaron si girò, molto lentamente: ancora una volta aveva la sensazione che il tempo si allungasse, si stirasse tanto da affilare le sue percezioni fino a un’intensa accuratezza onirica. La morte provoca quest’effetto, pensò, rendendosi conto che completare il movimento, l’atto di girarsi dal pannello pieno di luci per guardare dietro di sé, poteva significare la fine della sua visione personale: un raggio luminoso che gli penetrava negli occhi.

Lei era lì. Era rannicchiata nella stiva, immagine sfocata di un viso pallido nel debole riflesso luminoso della cabina. La luce imperlava la canna del fucile puntato contro di loro.

— Signor Restak — disse Jase nell’intercom a voce bassissima. — Signor Restak. — Non ci fu risposta. — Signor Restak.

Lei non aveva ancora aperto bocca; si era a malapena mossa.

Aaron continuava a fissarla, e aveva il viso di pietra, il corpo di pietra, tanto che lei avrebbe potuto estrarne la vita servendosi solo dei suoi occhi vacui e sognanti.

— Signor Restak: — Ancora nessuna risposta. Jase imprecò in silenzio, guardando Aaron con la coda dell’occhio. Gli vennero in mente due cobra che si fissassero negli occhi. Mormorò: — Signor Fisher, siate prudente…

Allora lei si mosse, si alzò in piedi molto lentamente. Jase udì la voce del Mago, greve, esausta. — Direttore Klyos?

— Lei è qui.

— Mi raccomando. Non fatele del male.

— Signor Restak — disse Jase con freddezza, resistendo all’impulso di gridare. — È lei che ha il fucile.

Terra uscì dalla stiva, silenziosa e smorta come una falena, gli occhi fissi sulla luce che racchiudeva la voce del Mago. Era attenta, non più sognante. L’odio di Aaron, che scaturiva come una scarica elettrica dal suo corpo immobile, le parlò, la mise in guardia. Terra spostò lo sguardo sul suo viso; e lui inghiottì a vuoto sotto quegli imprevisti occhi grigi penetranti. Vide gli occhi di Michelle.

Terra aggrottò lievemente le sopracciglia, confusa, e spostò il fucile, senza prendere di mira nessuno in particolare, ma restando abbastanza lontana da poterlo puntare rapidamente sull’uno o sull’altro. Aaron seguì con un guizzo d’occhi il movimento, calcolò la distanza: se si fosse mosso abbastanza in fretta, se si fosse allungato abbastanza… La bocca del fucile, come l’occhio della morte, lo fissava direttamente e gli leggeva i pensieri.

— La visione — disse lei, spiegando loro perché non dovessero fermarla prima del tempo. — La visione dev’essere completata.

— Terra? — disse il Mago, e gli occhi della donna guizzarono in direzione della spia luminosa.

Aaron si lanciò. Sentì sotto le dita la canna dell’arma, ma subito lei la tirò indietro con mossa brusca. Perdette l’equilibrio, cadde; udì lo schiocco della voce di Jase, la voce del Mago che si alzava di tono. Urtò il pavimento, con mani e ginocchia. Rimase in attesa, con la mente vuota a parte un breve ricordo.

“Mi ha dato il bacio d’addio e si è girata…”

Udì il proprio respiro. Qualche istante dopo alzò lentamente la testa. Terra si era ritirata nella stiva.

Non gli aveva sparato. Era ancora vivo. Si rimise insieme pezzo per pezzo, come uno stanco fantasma uscito dalla tomba, e si tirò di nuovo a sedere. La sua spina dorsale, la sua nuca, aspettavano ancora il raggio di fuoco.

— Aaron?

— Signor Fisher — disse Jase in tono aspro. — Non fatelo più.

— Non mi ha sparato — mormorò lui. — Perché non ha sparato? Io l’avrei uccisa. E lei lo sapeva.

— Oddio — disse l’intercom. — Aaron…

— Mago — disse Terra. La sua voce, sottile, remota, arrivava chiaramente dalla stiva.

— Terra. — La voce del Mago tremò, si riprese. — Non fargli del male. Se li uccidi, se danneggi la lancia, andrai alla deriva nello spazio e morirai.

— Non è… — Raccolse stancamente il fiato e lo lasciò andare. — La visione. La visione sta terminando.

— Lo so. Lo vedo.

— Tu sai — sussurrò lei, e Jase vide un’espressione quasi umana sfiorarle il viso. — Tu sai… — Poi, di nuovo indifferente, aggiunse: — Quello che voleva uccidermi ha Michelle nella mente. Mago, la visione è tutto. La visione. Diglielo.

Aaron chiuse gli occhi. Udì la voce del Mago come in sogno. — Ci proverò. — Poi, per un lungo istante, udì solo le scariche delle stelle.

La scogliera a strapiombo nera come lo spazio profondo. Ondeggiò, si strappò, si riversò come stoffa nera sopra la sabbia ametista. La luce confusa del sole nascente la sfiorò.

Sagome delicate, sbiadite, come scheletri di minuscole creature marine… non c’era orizzonte che permettesse di giudicarne la grandezza. Potevano essere grosse come una mano, grosse come un pianeta. Ricaddero, assorbite da qualcosa che pulsava.

Fili di luminescenza, di saliva o di vento vivente che soffiava in striature orizzontali…

Il bisogno… il bisogno d’integrità… il bisogno di completamento…

La visione si sfilacciò attorno a lui. Era seduto ai comandi del Pianto volante , e sentiva sempre il bisogno come una sete inestinguibile, un desiderio di rimodellare la struttura dei suoi occhi o il modo in cui le percezioni gli giungevano al cervello… Emise un suono, una protesta contro la sua incapacità di rispondere. Michelle sollevò lo sguardo dall’analizzatore.

Il viso di lei continuava a sembrargli poco familiare; pallido, sempre controllato, rivelava tutto il suo turbamento e il suo stupore. — Magico Capo — disse lei con gentilezza. — Sei tornato in te?

— Sì.

— Cosa… cosa vedi? Tu, e Terra? Magico Capo… — Si interruppe. Lui scosse leggermente la testa, leggendole negli occhi.

— Non è lei. Lei non è responsabile.

— Ha ucciso tutte quelle persone. L’ha fatto lei. Per che cosa? Che cosa l’ha costretta a farlo? E cosa avrebbe potuto… come avrebbe potuto… qualunque cosa vedi, come posso perdonarglielo? Nessuno potrebbe. È un fatto che resta, qualunque sia il sogno che tutt’e due sognate.

— Non è un sogno. Almeno non nel senso che dopo ci si sveglia, e si sa di aver sognato. È… una visione — disse disperatamente. E lei sorrise, ridiventando per un attimo quella che lui conosceva.

— Una visione — ripeté piano. — Voi due adoperate persino le medesime parole.

— Non significano molto, in questo contesto. Ma è l’unico linguaggio che possiedo.

Di colpo gli occhi di lei si riempirono di lacrime, si abbassarono a fissare le luci del pannello. Il Mago le sfiorò la spalla. — Perché — sussurrò lei — non poteva avere una visione quando era tranquillamente seduta a casa a far colazione, anziché in quel maledetto deserto, con un fucile fra le mani? Tu non hai ancora ucciso nessuno, Magico Capo. Stai per cominciare anche tu? — Lo guardò, perché era rimasto in silenzio. — È l’unica differenza fra voi due, per il momento. E lei ha di nuovo un fucile.

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