Patricia McKillip - Voci dal nulla

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Rinchiusa nell’Avemo, il più impenetrabile carcere orbitale di massima sicurezza dell’intera galassia, Terra Viridian sconta la sua condanna senza poter sfuggire alla visione che le ha fatto massacrare senza motivo apparente più di millecinquecento persone. Una visione apocalittica, che lei stessa non comprende e all’esistenza della quale nessuno crede, ma la cui voce può significare un contatto totalmente nuovo per il genere umano. La scena cambia quando intorno a Terra iniziano ad agire strani personaggi: il Mago, capace di suonare Bach per ore e ore immerso in una profonda trance, Aaron, il poliziotto alla ricerca della gemella di Terra -Viridian misteriosamente scomparsa, e la Regina di Cuori, la musicista mascherata in grado di plasmare sonorità sempre nuove. Solo quando tutti questi destini si incroceranno nell’Averno, guidati da una voce a loro sconosciuta, arriverà il momento di giocare l’ultima partita.

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— Abbiamo a bordo un ospite non autorizzato — disse il Mago a sorpresa. — Pensavo che l’aveste vista.

— Vista — ripeté il Professore in tono assente. Poi spostò lo sguardo dal Mago alla Regina di Cuori e lo riportò indietro, socchiudendo gli occhi, incredulo. — Lei. — Adesso respirava in fretta e aveva il viso lucido, come se fosse stato colto dal mal di spazio. — Cosa hai… — All’improvviso si mise a gridare, facendo sobbalzare il Mago, che non l’aveva mai udito alzare la voce. — Hai fatto evadere quella pazza dall’Anello Scuro?

— Scusatemi — sospirò il Mago. Il taglio sopra l’occhio cominciava a pulsare. — Ma eravate già tutti a bordo. Dovevo andarmene in fretta.

— Magico Capo — disse furibondo il Professore — farai meglio a continuare ad accelerare fino alla fine, perché appena posso stare in piedi ti trasformo in un detrito spaziale!

— Mi lasci spiegare?

— Prova. Cerca solo di riuscirci.

— Terra — disse Quasar, senza pregiudizi. — La sorella pazza della Regina di Cuori, quella che ha una visione.

— Perché dici che non è pazza? — chiese stupita la Regina di Cuori.

— O siamo pazzi tutt’e due, o nessuno. Sono pazzo, io?

— Sì — brontolò Nebraska.

— Abbiamo liberato Terra? — chiese Quasar.

— Sì.

— Oh, Dio mio! — gemette il Professore.

— L’abbiamo liberata da quei cochons di Averno che facevano esperimenti con il suo cervello?

— Sì.

Quel beau geste! - Gli mandò un bacio sulla punta delle unghie smaltate di verde. La Regina di Cuori chiuse per un attimo gli occhi e li riaprì.

— Magico Capo — disse con voce rotta — accantonando per un attimo la questione della tua pazzia, sulla quale non vorrei prendere decisioni affrettate proprio ora, potresti anche dirmi dov’è mia sorella.

Il Mago aprì bocca, senza parole. Guardò il Professore. — Non l’hai vista nella stiva?

Il Professore scosse la testa. — Non c’era. A meno che non si sia nascosta dentro il piano.

— Be’, era proprio dietro di me — disse il Mago, perplesso. La Regina di Cuori lo fissò con occhi pieni d’orrore. — O davanti a me, non ne sono sicuro…

Quasar scoppiò in un’improvvisa risata cattiva. — Te la sei dimenticata? — Dietro di lei, Nebraska produsse dei suoni soffocati dalla camicia.

— Da qualche parte deve pur essere. Ha quasi distrutto il Mozzo, per uscire. Sapeva quel che faceva.

La voce del Professore si affievolì di nuovo. — Ha distrutto…

— L’ho vista per l’ultima volta quando ho legato il direttore Klyos con un pezzo di neurocavo. Il tono azzurro. Aveva un fucile. — Guardò accigliato il puntino luminoso. — Dev’essere nella stiva da qualche parte. Regina di Cuori, i reattori d’inseguimento fra poco si spegneranno. Appena riesci a muoverti, sistema la ricevente. Voglio sapere chi è sulle nostre…

— Ecco! Ecco! — La furia del Professore infranse la concentrazione del Mago come un rombo di tuono, facendolo sobbalzare. — Hai buttato via il nostro futuro come la spazzatura del giorno prima, hai stuzzicato Averno come un nido di vespe per liberare la pazza del secolo e poi, novello Lochinvar, dimentichi a terra la ragazza e ti porti dietro invece il nido di vespe! Hai passato il segno. Hai già sentito parlare dell’ammutinamento del Bounty ? Bene, eccolo qui, Capitan Mago. Appena spegni i reattori, prendo io il comando.

— Tu non sai guidare — disse cupo Nebraska.

— Non me ne frega niente!

Il Mago girò sul sediolo puntellandosi con le braccia contro la forza dell’accelerazione. — Proprio tu me l’hai detto — esclamò con improvvisa passione. — Non ci si deve mai guardare indietro. L’hai detto tu!

— Quella era una favola. Un mito!

— Il punto è proprio questo.

— Quale punto?

— Ricordi che durante il viaggio discutevamo di simboli?

— Simboli!

— Stammi a sentire — supplicò. La voce era tesa, tanto da non avere quasi timbro. — Ascolta. Cerca di ricordare quello che dicevamo. L’anello nuziale, la croce, l’occhio nel triangolo… Li vedi, e sai cosa sono. Si spiegano da soli, senza parole. Sono un linguaggio. Parole senza suono. Hanno un significato. Sono simboli. Messaggi. Di che cosa? Di speranza, di paura, di fede, di amore e odio… soprattutto di cambiamento. Trasformazione. Tu sai cosa significa un anello, d’oro. Il significato è antico. Culturale. Un cerchio d’oro si riferiva a tutto, dalle fantasticherie al denaro, dal rituale alla politica. Adesso è una curiosità storica. Un oggetto che si porta addosso per figura. Ma il simbolismo è ancora presente. Lo riconosci. Indica senza parole quello che era un tempo. A noi: a noi che siamo umani. Ma cosa vedrebbe un alieno in un cerchietto d’oro? Se tu vedessi un ovale piegato sulla sabbia viola, che significato ne trarresti? Tutto? Niente. Ma ha un significato, per qualcuno, per qualcosa, da qualche parte. E Terra lo vede. Io lo vedo. E quello parla… Cosa significherebbe per te una pioggia di cristalli che cade nella luce? Niente. Niente per me. Ma quando i cristalli caddero dentro la mia mente, parlarono. In essi ho sentito il messaggio, la forza, l’ordine di trasformarsi. Non li comprendo, non so cosa sono. Ma so la risposta che pretendono…

“Una volta i simboli che ora usiamo per i marchi commerciali risplendevano di significato come fiamma. Una volta erano una cosa per cui si poteva anche morire. Noi li abbiamo inventati, vi abbiamo racchiuso le nostre esigenze, e una volta ci erano indispensabili quanto la vita. Talvolta anche più della vita. Ciò che Terra ha visto in tutti questi anni, ciò che io vedo ora, appartiene a una visione. Visione aliena. Visione di metamorfosi. E nell’ambito della visione non c’è scelta. Le bizzarre immagini che lei vede, che noi vediamo, sono un linguaggio di assoluta necessità, e io lo desidero anche più della musica… Penso che si tratti di una reazione fisica. Non ne sono sicuro. Non capisco i messaggi, non sono destinati a me, ma posso vedere le immagini e sentire il bisogno… — Aveva la voce scossa, sentiva il sudore gocciolargli dalla crosta sull’occhio. — Non so per quale motivo sia lei sia io siamo stati catturati da questo bisogno. La visione di cambiamento. Ma non c’è modo d’uscirne… Siamo costretti ad assistere alla visione, al cambiamento. Non c’è scelta. Devo assistere. Voglio assistere. Sono intrappolato nella forza aliena del bisogno, della necessità, e la voglio più della musica…

“La trasformazione sta iniziando. Potrebbero bastare pochi minuti, secondo la nostra misurazione del tempo, o anni interi… Al momento è l’unico futuro che mi resta. Mi spiace di avervi coinvolti. Farò quello che posso per tirarvi fuori. Ma nella visione aliena non c’è l’Anello Scuro o quello Chiaro, non c’è vespaio, né legge umana. Ci sono solo i suoi imperativi. Le immagini che esigono risposta. Se mi riportate a forza su Averno, finirò dentro una bolla a straparlare proprio come Terra, perché finché la visione non è completa…”

… Una superficie dura e chiara come vetro si arrotolò a formare un cilindro. Una linea nera comparve attorno al cilindro all’altezza del centro. Una linea rossa suddivise le metà. Una linea color lavanda separò i quarti. Una linea verde… Fili di colore si tesero nel senso della lunghezza per tutto il cilindro, vi penetrarono, ne furono assorbiti, vene di vetro dentro vetro. Lentamente i colori cominciarono a diffondersi nel cilindro come gocce d’inchiostro nell’acqua, e divennero opachi, nebulosi… La luce della stella morente si mescolò ai colori, rendendoli imprecisi, incerti per la percezione umana…

Il Mago aveva le braccia che tremavano. Allentò la presa sul sediolo, sentì il cambiamento di accelerazione e si lasciò andare stancamente all’indietro. Girò il sediolo per dare un’occhiata al pannello comandi. Poi chiuse gli occhi, grato del silenzio a bordo del Pianto volante , e ancor più profondamente grato a qualcos’altro. Mentre parlava, o sognava, i reattori si erano spenti. Michelle era già occupata a sistemare la ricevente; Nebraska e il Professore e le ultime custodie degli strumenti erano nella stiva. Il Pianto volante seguiva ancora la sua rotta veloce e arbitraria in mezzo alle tenebre.

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