— Klyos a Scalo Uno. Identificazione. Suonate l’allarme molo. Allarme molo. — La comunicazione era ancora ostacolata, pareva, dalla massa di Averno. — Nessun decollo. Ripeto: Klyos a Scalo Uno. Identificazione. Nessun decollo…
— Annullato — disse Scalo Uno con la voce stessa di Jase. Il direttore trattenne il respiro, poi lo lasciò uscire con furia e imprecò.
— Via.
La lancia acquistò velocità. Rimasero in silenzio, sentendo la voce del Mago.
— Permesso di lasciare Averno.
Ancora la voce del direttore di Averno.
— Parola d’ordine.
Silenzio. Poi un delicato brano di musica antica.
— Parola d’ordine.
Un altro fraseggio, breve, in chiave minore.
— Parola d’ordine.
Un terzo brano, dolce e completamente sconosciuto. La lancia del Mozzo superò la curva di Averno appena in tempo per scorgere la vasta cupola dello scalo che cominciava ad aprirsi, schiudendo le stelle.
— Pianto volante , avete il permesso di lasciare Averno.
L’ovale si incrinò.
Il Mago, avvertito da un commento musicale del Pianto volante , fissò sorpreso il puntino luminoso sull’analizzatore. Poi una lenta, silenziosa pioggia di immagini si riversò incessantemente dall’ovale in una nebbia viola, nella sua mente.
Erano configurazioni cristalline delicate e multiformi come fiocchi di neve. Di tanto in tanto il Mago riconobbe colori: cristallo rosso dentro un bozzolo di luce gialla, nero dentro verde, bianco dentro arancione. Si librarono come coriandoli nell’aria immota, quasi a caso, senza direzione precisa. Ma ognuna era un messaggio, e il Mago, non più cosciente delle azioni del suo stesso corpo, ne sentì la forza. Ogni messaggio era preciso e assoluto. Questo era la visione. Questo era vita. Questo era indispensabile come le ossa e l’aria. Se avesse potuto reagire a quei messaggi, forse avrebbe mutato la struttura delle cellule del proprio corpo, o la forma dei polmoni, perché il tono d’urgenza era assoluto. Ma che cos’erano? si chiese affascinato. Messaggi biologici o chimici? Un linguaggio alieno?
A quale creatura, sotto una stella remota e morente, erano realmente destinati quei messaggi?
Il Mago cominciò a vedere attraverso l’esile nebbiolina. La foschia si assottigliò; i cristalli divennero indistinti, un minuscolo, vivido sciame, poi svanirono. Il Mago inspirò, sentendosi perduto, come se, privato della visione, fosse giunto alla fine del tempo. Poi vide di nuovo il puntino luminoso sull’analizzatore, e ricordò che lui era Roger Restak, che fuggiva nello spazio, inseguito da un puntino luminoso, dopo essersi lasciato alle spalle Averno tramutato in un nido di Furie.
Fu costretto ad ammettere che, all’interno del suo schema temporale, quella situazione era incalzante quasi quanto la visione aliena.
Poi udì l’assoluto silenzio dentro il Pianto volante.
Ruotò la poltrona. Quasar, con le unghie parzialmente smaltate di verde, reggeva una sigaretta ancora intatta a un palmo dalle labbra. Gli occhi le brillavano sotto lo sguardo del Mago, ma a parte questo avrebbe potuto essere una statua. Il Professore era seduto contro il portello di prua, e respirava in fretta, troppo stupito per parlare. Nebraska, circondato dagli strumenti, era ancora abbrancato a due custodie di canne tenendole dritte per proteggerle dalle vibrazioni del decollo. Il suo viso era privo d’espressione; persino i baffi sembravano irrigiditi.
Alla vista della ragazza sul sediolo del navigatore il Mago sussultò; si rese conto che sul suo viso c’era un’espressione umana, al posto della solita vernice d’oro. — Magico Capo — disse lei, e anche la voce gli sembrò poco familiare. — Cos’hai combinato?
— Una cosa abbastanza semplice — rispose con calma, anche se cominciava a essere turbato per la fortuna sfacciata che continuava a favorirlo. — Ho ordinato secondo uno schema di scale tutte le frequenze musicali del computer di Averno, quelle usate per i cercapersone e le chiamate intercom, e poi le ho messe in codice. Ho suonato Bach con i numeri. Per 48 ore le parole d’ordine d’atterraggio saranno diverse. Se vorranno uscire, dovranno suonare Bach sulle loro spaziomobili.
Ancora nessuno si mosse. Il Professore mormorò: — Sant’Iddio! — D’un tratto il suo viso scuro luccicò di sudore. Nebraska emise un suono smorzato, come se tutta l’aria gli fosse uscita dai polmoni. Il Mago tornò a girarsi verso il pannello, preoccupato dal puntino luminoso.
— Allacciate le cinture. Stiamo per accelerare.
— Dove? — Per qualche motivo sembrava che tutti parlassero sottovoce.
— Come?
— Dove siamo diretti? — chiarì sottovoce il Professore.
— Ah. Non lo so. Signora dei Cuori, qual è la colonia più vicina sugli asteroidi? — Meditò sul puntino luminoso. — Deve trattarsi di una spaziomobile in arrivo, ma non ho udito… Signora dei Cuori, hanno modificato di nuovo la ricevente?
— Sì — rispose lei con un filo di voce.
— Be’, rimettila a posto, d’accordo? Voglio sapere se qualcuno ci segue.
— Magico Capo.
— Hai trovato…
— La colonia più vicina è Finisterre, Magico Capo! — Le mani le ricaddero inerti sui pulsanti di comando. Il Pianto volante emise un lamento stonato. Il Mago spostò lo sguardo dallo schermo e la fissò pieno di stupore. Rivide gli occhi di Terra, il viso di Terra. Toccò Michelle, per rassicurarla.
— Non è pazza. E io nemmeno. Hai calcolato la rotta?
Lei mosse le mani; continuò a guardarlo, Regina di Cuori senza parole. — Non…
— Non è pazza. Ma ci attende una corsa disperata. Pronti? — Azionò i reattori d’inseguimento della spaziomobile e tese l’orecchio ai messaggi musicali. La spinta potente lo schiacciò contro lo schienale. Udì il caos alle sue spalle e imprecò, ricordando solo allora gli astucci degli strumenti. Si girò e vide Nebraska a gambe levate in mezzo alle custodie.
— Tutto a posto?
Nebraska scostò alcuni scatoloni sforzandosi di mettersi a sedere. — Mi sanguina il naso.
— Ti avevo detto di allacciarti la cintura. Perché eri in piedi?
— Perché — gridò Nebraska senza smettere di toccarsi il naso — volevo venire a strapparti la testa! Che cosa vuoi combinare? Siamo musicisti! Un complesso in tournée! Ci hai messo l’intero Averno alle calcagna, e non facevamo nient’altro che caricare attrezzature! — Si tolse la camicia e la usò per tamponarsi il naso. — Me ne vado.
— Oh, andiamo, Nebraska, cerca di calmarti. Averno non ci insegue. Ti ho detto che l’ho chiuso per 48 ore.
— Hai chiuso Averno — disse cupamente Nebraska, seduto sulle ginocchia. — Ci bastava fare solo quel concerto a Helios. Tutti gli studi televisivi del mondo avrebbero supplicato per avere i Nova. Eravamo così vicini alla fama da poterne sentire l’alito sul collo. E ci sorrideva. Ci bastava ancora un concerto. Solo uno. Tutti questi anni a suonare nei club, e non dovevamo far altro che suonare ancora una volta. Adesso diventeremo famosi, d’accordo. Trasmetteranno le nostre foto al notiziario delle sei, e ci sarà gente pronta a offrirci una fortuna per la vera storia di come i Nova hanno ceduto una tournée spaziale in cambio di un tavolaccio e una gavetta nell’Anello Scuro e… — Sollevò la testa, alzando la voce. — E io non potrei nemmeno raccontarla, perché non la conosco!
— L’Anello Scuro — mormorò Quasar. — Magico Capo, cos’hai fatto? — Disse qualcosa nella lingua di una volta, poi concluse: — …un complesso di rinnegati, per cui dobbiamo combattere contro di loro, merde alors , non abbiamo armi.
— Aspettate un momento — disse gravemente il Professore, alzando le mani. — Aspettate. Stiamo calmi. Forse non siamo ancora nei guai. Forse non comprendiamo del tutto la situazione. Giusto, Magico Capo? Tutti noi siamo con te da anni. Non hai mai manifestato segni di pazzia delirante. Allora, dici di aver intrappolato su Averno tutte le spaziomobili della polizia, perché potessimo andarcene con qualche ora di anticipo? È così? Siamo in ritardo per l’appuntamento a Helios? Non avevi voglia di aspettare fin dopo colazione?
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