Patricia McKillip - Voci dal nulla

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Rinchiusa nell’Avemo, il più impenetrabile carcere orbitale di massima sicurezza dell’intera galassia, Terra Viridian sconta la sua condanna senza poter sfuggire alla visione che le ha fatto massacrare senza motivo apparente più di millecinquecento persone. Una visione apocalittica, che lei stessa non comprende e all’esistenza della quale nessuno crede, ma la cui voce può significare un contatto totalmente nuovo per il genere umano. La scena cambia quando intorno a Terra iniziano ad agire strani personaggi: il Mago, capace di suonare Bach per ore e ore immerso in una profonda trance, Aaron, il poliziotto alla ricerca della gemella di Terra -Viridian misteriosamente scomparsa, e la Regina di Cuori, la musicista mascherata in grado di plasmare sonorità sempre nuove. Solo quando tutti questi destini si incroceranno nell’Averno, guidati da una voce a loro sconosciuta, arriverà il momento di giocare l’ultima partita.

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Il Mago le mise la mano sulla spalla, strinse forte sentendo il lungo sospiro convulso. — Era sensitiva in altri modi? Oltre che in sogno?

Lei si raddrizzò, allungò la mano verso il bicchiere. — Sapeva sempre cosa avrei indossato al mattino, prima ancora che decidessi. Poteva dire chi aveva chiamato solo guardando la spia luminosa dei messaggi. Dava un’occhiata alla spia e diceva: «Era per te… ha chiamato Will». Fece così, il giorno in cui la arruolarono. Guardò la spia luminosa quando entrammo. Solo che quel messaggio provocò in lei una reazione bizzarra. Perché disse: «Credo che sia per me». Come se sapesse che era il punto d’inizio della sua metamorfosi…

“Così il mattino dopo andò al Centro di Reclutamento. E sei settimane dopo era nel Settore Corrente del Golfo, per l’addestramento. E poi due mesi più tardi era all’aeroporto, e io le dicevo addio proprio prima che salisse sulla navetta trasporto truppe.

“Ecco quando l’ho vista.” Rimase seduta in silenzio per qualche momento, il viso di nuovo immobile, la spalla abbandonata sotto la mano del Mago.

— Voglio dire, quando ho visto cos’era diventata. Non sembrava più… quello che era sempre stata. Paziente, allegra, distante. Era bellissima, come la pubblicità per l’arruolamento, come il tipo di donna che ha una vita interessante. Allora compresi cosa si era lasciata alle spalle nella colonia lunare. Seppi che tutto ciò che aveva sempre desiderato le era stato già dato, e strappato via. In lei non era rimasta una sola scintilla per riaccendere l’interesse nella vita.

“Disse… disse: «Si tratta solo di una faccenda tecnica del GLM. Lavorerò in un ufficio per un anno, poi tornerò a casa. Abbi cura di te. Scrivimi. Mi mancherai». Mi salutò con un bacio e si girò. Dalla spalla le pendeva un fucile laser.

“Ho guardato il processo. — La voce era quasi scomparsa, roca, priva di forza. — Ero tornata a sud, per cercare di vederla dopo che la catturarono, ma dissero che era troppo pericolosa. I giornalisti, gli avvocati, si precipitarono tutti su di me quando tornai. Volevano che raccontassi loro il segreto di Terra, la sua bizzarra seconda vita, che dicessi loro che odiava nostra madre, che odiava nostro padre, che era stata lei a sabotare la navetta merci in cui erano morti, che odiava gli uomini, che maltrattava i bambini, che… Volevano un motivo. Volevano che dicessi loro qualsiasi cosa, tranne che un normale essere umano come lei poteva improvvisamente impazzire senza preavviso e trovarsi impegolato in un processo per strage.

“Non potevo dir loro queste cose. Volevano che assistessi al processo, ma io scappai di nuovo al nord. Ormai non la conoscevo più. Guardai il processo, da sola, nella stanza che avevo affittato… Non processavano Terra. Ma una donna magra e pallida che parlava di visioni, che diceva che, sì, aveva ucciso, ma non era importante. «La visione è tutto». Non era Terra.

“Però aveva il mio viso.”

Il Mago era silenzioso, e ricordava un bar grande come una scatola da scarpe nel nord del Settore Costadoro… una sera di sette anni prima, quando una ragazza con il viso d’oro e le forcine a cuore di Terra nei capelli, aveva attraversato la sua visione personale, strappando la sua attenzione dalla musica che creava…

— Quella sera ti incontrai…

Lei alzò lo sguardo stanco, istupidito dal dolore. — Magico Capo, avevo appena ventun anni. Di tutte le persone che amavo davvero, due erano morte e una era impazzita. Avevo… avevo deciso che non sarei vissuta a lungo. Ma volevo suonare un’ultima volta. Indossai il costume e andai in cerca dell’ultimo complesso. Sentii la tua musica. — Le sue labbra si mossero in silenzio; il viso era di nuovo impietrito, cereo. — Tu mi desti il nome, Magico Capo — disse piano. — E mi desti un motivo per restare e superare l’alba.

Il Mago le tolse lentamente la mano dalla spalla. Si alzò, rigido, attraversò la stanza finché la parete non lo bloccò. Rimase a fissare la ragnatela di stelle, fino a quando gli sembrò che si accendesse e scintillasse sotto i suoi occhi. Disse: — Sei venuta con noi per portare Terra fuori di qui.

— Sì. Tu avevi la spaziolancia, io ho aperto la frequenza di Averno per imparare le procedure d’atterraggio.

— Dove intendevi portarla?

— Non lo so. Magico Capo, quando ho visto questo posto, ho capito subito che non potevo farne uscire Terra. Come non potevo fare un salto fino al Sole”. Il Professore ha ragione. Non si torna indietro da Averno. E poi… e poi ho visto Terra. Per anni ho pensato che mi avrebbe dato una risposta, se solo le avessi chiesto perché. Credevo che si fosse limitata a indossare un travestimento, come me; che da qualche parte dentro di lei continuasse a esistere la Terra che conoscevo. Fa sempre parte di me stessa, Magico Capo. Anche se adesso so che non esiste più una parte di lei che io capisca ancora. È semplicemente impazzita. Questa è la separazione finale.

Il Mago aprì la bocca e la richiuse. Allungò la mano, sfiorando una stella morente. — Michelle. — La sua voce suonò bizzarra; e così il nome di lei. — Non ho visto affatto lo schermo del computer quand’eravamo con lei. Ha trasferito la sua visione nella mia mente.

Alle sue spalle il silenzio fu così profondo che si girò chiedendosi se lei non fosse scomparsa, come una particella inosservata. Era ancora lì, e lo fissava. — Magico Capo — mormorò.

— Le cose che doveva dire, il sole rosso, la sabbia viola, l’ovale distorto… non erano cose esprimibili a voce. Non a parole, comunque. Me le ha date senza parole.

— È entrata… — Il Mago vide che rabbrividiva; il bicchiere che aveva in mano si rovesciò. — È entrata nella tua mente.

— C’era qualcosa che aveva bisogno di dire. Per caso io ero in grado di ascoltare.

— Cosa? — Si era alzata in piedi, stupita, incredula. — Cosa poteva volerti dire? L’assassinio di tutte quelle persone…

— Il sole era scuro.

— In mezzo al deserto in un caldo giorno d’estate!

— La visione era luce.

— Magico Capo, solo una pazza poteva stare sotto il sole ardente e pensare che fosse scuro! — Allora gli si accostò; e il Mago avvertì il terrore che le ispirava, il terrore della speranza. Michelle gli afferrò i polsi con la forte stretta del cubista. — Magico Capo, cosa pensa? Riuscivi a capire? Per favore. Per favore. Riuscivi a capirla?

— Oh, Dio — mormorò lui. — Dio m’aiuti, la capivo. Hai visto anche tu quello che mi ha detto. Sullo schermo del computer. Ma il computer non poteva afferrarlo.

— Afferrare cosa?

— L’ardente desiderio. L’assoluto, ossessivo bisogno.

— Di cosa?

— Di cambiare. Di completare la visione.

— Quale visione? — Cominciò a scuoterlo, piangendo di nuovo. — Quale visione?

— La sua visione. La visione di qualcun altro. A chiunque appartenga, deve essere completata. — Parlava ora con voce calmissima, spassionata; a giudicare dall’espressione del viso, degli occhi, avrebbe potuto essere lì ad ascoltare musica antica. — Non esiste il tempo, nella visione. Il tempo non è ancora cominciato… C’è un unico imperativo, e rappresenta un bisogno assoluto come il respiro: completare il cambiamento. Tutto il resto non conta. Tutto il resto non esiste. Esiste solo quest’impulso verso il tempo. Verso la vita.

— Magico Capo. — Le lacrime le scorrevano di nuovo sul viso. Si teneva stretta a lui come se uno dei due stesse per annegare. — Parli come Terra.

5

Nel suo ufficio, Jase batté ancora una richiesta di trasferimento. Il Settore Tundra, aveva sentito dire, era un luogo tranquillo, se non si badava al freddo. Più rapide delle sue dita sui tasti, più vivide dei suoi sogni di libertà, le immagini che aveva visto sulla Macchina dei Sogni si frapposero fra lui e le righe. Alla fine rinunciò, appoggiò la fronte alla mano. Il silenzio del Mozzo lo avviluppò come nebbia. Di solito era lieto del silenzio. Ma ora, al declinare del giorno, tutti i folli pensieri di Terra gli ossessionavano la mente, e il silenzio lo turbava. Fissò lo schermo della consolle, vide il proprio riflesso nebuloso, poi la sabbia ametista.

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