Patricia McKillip - Voci dal nulla

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Rinchiusa nell’Avemo, il più impenetrabile carcere orbitale di massima sicurezza dell’intera galassia, Terra Viridian sconta la sua condanna senza poter sfuggire alla visione che le ha fatto massacrare senza motivo apparente più di millecinquecento persone. Una visione apocalittica, che lei stessa non comprende e all’esistenza della quale nessuno crede, ma la cui voce può significare un contatto totalmente nuovo per il genere umano. La scena cambia quando intorno a Terra iniziano ad agire strani personaggi: il Mago, capace di suonare Bach per ore e ore immerso in una profonda trance, Aaron, il poliziotto alla ricerca della gemella di Terra -Viridian misteriosamente scomparsa, e la Regina di Cuori, la musicista mascherata in grado di plasmare sonorità sempre nuove. Solo quando tutti questi destini si incroceranno nell’Averno, guidati da una voce a loro sconosciuta, arriverà il momento di giocare l’ultima partita.

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“Non c’è niente. C’è una donna in un complesso, c’è una vecchia spaziomobile che non è mai stata modificata adeguatamente, c’è un bravo e onesto poliziotto che ha girato la schiena al proprio computer nel momento sbagliato.”

Non c’era niente.

Oppure qualcosa c’era. E qualsiasi cosa fosse, girava attorno a Terra Viridian, il detenuto più pericoloso di tutto Averno.

Congedò le due guardie che avevano accompagnato Aaron Fisher e per qualche istante esaminò l’uomo, in silenzio. Era più alto di quanto Jase si aspettava. Indossava una uniforme impeccabile. Il viso, magro e segnato, era rasato di fresco. Affrontò lo sguardo di Jase senza dimostrare timore né sfida, ma sembrava perplesso. Non aveva, decise Jase, la minima idea del perché era stato condotto sotto scorta alla presenza del direttore di Averno. Oppure era capace di motivi e azioni segrete che superavano completamente qualsiasi limite professionale.

— Sedetevi.

Aaron si sedette. Jase si appoggiò allo schienale della poltrona e attaccò senza preamboli. — Siete qui perché abbiamo fatto una ricerca di routine a proposito di una richiesta avanzata tramite la banca dati della biblioteca del vostro distretto, sul vostro computer, volta a ottenere un’informazione top secret riguardante Averno. Perché avete chiesto un’informazione del genere?

Aaron batté le palpebre. Per un momento il suo viso restò immobile, probabilmente per forza d’abitudine. Poi si rilassò e assunse semplicemente un’aria sorpresa. — Non l’ho fatto.

— Chi altri ha accesso al vostro computer?

— Nessuno, signore.

— Nessuno? Dove si trova, in una cella?

— No, si trova… — La voce gli mancò, a quel punto. Aaron guardò in silenzio Jase per qualche istante; e Jase pensò stancamente: “C’è qualcosa.” Quando rialzò la testa le linee attorno alla bocca si erano accentuate.

— Si trova in un vecchio rifugio antiatomico — disse. — Sulla costa.

— È lì che abitate?

— No, voglio dire, a casa possiedo un sistema più piccolo collegato però al computer principale. — Si interruppe ancora, Jase lo guardò.

— Volete costringermi a scoprirlo da solo?

Aaron trasse un respiro. Sul suo viso c’era una sfumatura di colore. Gli occhi erano cambiati; guardavano un vuoto interiore. Poi i suoi muscoli si rilassarono leggermente; i suoi occhi passarono in rassegna la minuscola stanza silenziosa. — No — sospirò. — Penso che sarebbe molto stupido.

— Lo credo anch’io.

— Solo… non ne ho mai parlato. A nessuno.

— Vi suggerisco di cominciare.

Il tono di voce di Jase strappò Aaron ai suoi ricordi. Il poliziotto fissò il direttore negli occhi. — Sono un agente. Un buon agente. L’ultima cosa al mondo che mi interessa sono informazioni segrete su Averno.

— Cosa vi interessa allora, signor Fisher? — brontolò Jase.

— Mi… — Strinse le mani a pugno, le riaprì. Parlò rapidamente, con voce priva di espressione. — Sette anni fa mia moglie fu assassinata. Era di leva nel Settore Deserto. Fu uccisa da Terra Viridian. Era… era incinta. Ho continuato a usare il computer nel rifugio per compiere una ricerca. Ammetto che si tratta di una cosa non del tutto legale. Ho tentato di trovare la sorella di Terra Viridian. Volevo… volevo sapere… — La voce gli tremò e lui deglutì, lasciando che Jase continuasse a fissare il suo viso rigido.

Dopo un istante Jase ritrovò la voce. — È per questo che stasera volevate assistere al concerto?

— Come? — Aveva un’espressione stupita, come se Jase avesse usato una lingua antica. Il suo viso era pallido; le emozioni represse gli affollavano gli occhi. Jase si raddrizzò, muovendosi appena, come se non volesse disturbare l’aria.

— Vendetta?

— No.

— Perché, allora?

— Lei… non aveva senso. Perché è stata uccisa. Volevo solo sapere il perché. Cercare di capire. Io… io l’amavo.

“Lascialo andare”, si disse Jase, colpito da un improvviso, pressante lampo di preveggenza. “Lascialo andar via senza che sappia. Non ce n’è bisogno. L’ha detto lui stesso.”

Però c’era ancora la faccenda delle procedure d’atterraggio. Disse con circospezione: — È un comportamento insolito per un agente, no? Dovete averci dedicato un mucchio di tempo.

— All’inizio ne avevo ricevuto l’incarico. La teoria della congiura, il paravento del GLM per il processo che l’ha mandata quassù.

Jase annuì. — Ricordo l’incarico.

— Ho detto alla gente… alla gente cui chiedevo di aiutarmi, che avevo ancora l’incarico.

— Capisco.

— Nessun altro…

— Ho capito. Non sto indagando sul vostro rimestare informazioni in teoria riservate, ma vi raccomando fortemente di strisciar fuori dal vostro rifugio antiatomico e cercarvi un’occupazione più salutare prima che qualcuno si metta davvero a fare indagini. Forse siete un agente di prima classe, signor Fisher. Lo dice il vostro stato di servizio, lo dicono i vostri superiori. Ma mi piacerebbe che rispondeste a questa domanda. Se non siete stato voi a chiedere informazioni sul sistema d’atterraggio, allora chi ha usato il vostro computer?

— Nessuno… — Si interruppe. Fissò lo spazio che li separava, e ancora una volta il colore sembrò svanirgli dal viso, e persino dagli occhi. Jase stese la mano sulla scrivania.

— Chi, signor Fisher?

— Solo un’altra… che io sappia, l’ha usato solo un’altra persona. — Aveva la voce roca. Deglutì, ma il dolore rimase. Aveva il viso segnato da una sofferenza nuova, e Jase si mosse sulla sedia, sospirando in silenzio.

— Chi, signor Fisher?

— Una donna. L’ho condotta nel rifugio. Aveva bisogno di dati per riparare una ricevente di spaziomobile che non funzionava a dovere…

Jase si sfiorò gli occhi. “Maledizione”, pensò, avvertendo che il tempo sembrava restarsene bizzarramente sospeso, come se avessero raggiunto il luogo in cui il suo ciclo terminava e ricominciava. — Maledizione! — mormorò, e si alzò. Aaron continuava a fissarlo. Sul suo viso ogni espressione era morta. Aveva l’aspetto, pensò Jase, di chi è appena divenuto l’uomo che temeva di diventare.

— Il concerto. — Adesso le parole gli venivano facilmente, spontaneamente. — Mi avete chiesto del concerto. Lei è nel complesso.

Jase si sedette di nuovo, sentendo la stanchezza nelle ossa. Tutto avvenne in un giorno d’estate…

Terra era lì davanti a lui.

6

Rimase ferma sulla soglia abbastanza a lungo da mutare con gli occhi Jase in pietra. Reggeva un fucile laser. Aaron si girò, accorgendosi dell’immobilità dell’altro. Gli occhi alieni, drogati dalla visione, si spostarono su di lui e lo costrinsero a immobilizzarsi, a trattenere il respiro. Terra lo lasciò libero, fondendosi con le ombre, silenziosamente com’era venuta.

Jase restò impietrito per un’altra frazione di secondo, e finalmente si mosse. Azionò l’allarme del Mozzo. — Fisher! — gridò rivolgendosi ad Aaron, che si dirigeva alla porta.

Aaron, rendendosi conto di avere il cinturone vuoto, abbassò lo sguardo, stupito. Jason gli lanciò uno storditore preso dalla scrivania. — State attento! — Il suo monitor mostrava una serie di sezioni diverse del Mozzo: uffici, sale computer, magazzini, alloggiamenti degli ufficiali; tutti tranquilli, tutti bui. — Dove diavolo sono tutti quanti? — L’allarme gli ronzava nelle orecchie. Uomini e donne cominciarono a uscire di corsa dal circolo ricreativo, dagli alloggiamenti. Lo schermo mostrò una porta, saldata alla parete dal laser. Poi la telecamera sopra la porta esplose.

— Cristo… — mormorò Jase. In lontananza udì colpi, grida. Ancora non compariva nessuno. Azionò l’intercom. — Passami Fiori. — Lo schermo dell’intercom diventò di colpo bizzarramente buio, ma la linea rimase aperta. — Dottor Fiori? Mi sentite?

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