Patricia McKillip - Voci dal nulla

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Rinchiusa nell’Avemo, il più impenetrabile carcere orbitale di massima sicurezza dell’intera galassia, Terra Viridian sconta la sua condanna senza poter sfuggire alla visione che le ha fatto massacrare senza motivo apparente più di millecinquecento persone. Una visione apocalittica, che lei stessa non comprende e all’esistenza della quale nessuno crede, ma la cui voce può significare un contatto totalmente nuovo per il genere umano. La scena cambia quando intorno a Terra iniziano ad agire strani personaggi: il Mago, capace di suonare Bach per ore e ore immerso in una profonda trance, Aaron, il poliziotto alla ricerca della gemella di Terra -Viridian misteriosamente scomparsa, e la Regina di Cuori, la musicista mascherata in grado di plasmare sonorità sempre nuove. Solo quando tutti questi destini si incroceranno nell’Averno, guidati da una voce a loro sconosciuta, arriverà il momento di giocare l’ultima partita.

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— Niente immagini — disse uno dei due assistenti maschi del dottore. — L’abbiamo persa?

— Michelle — disse gentilmente il dottor Fiori. — Ditele qualcosa.

— Terra. — La voce si inceppò, stridente. — Terra. — Michelle tremava di nuovo. Il Mago sembrava aver messo radici dove si trovava quando gli occhi di Terra l’avevano sfiorato. Michelle era sola con Terra, completamente dimentica di tutto. Le lacrime le rigavano il viso, e lei di tanto in tanto se le asciugava senza rendersene conto. — Terra. Puoi parlarmi?

Dalla bolla provenne un sussurro. — Michelle?

— Sì, Terra.

— Io sono un vento solare, nato dal fuoco.

Il dottor Fiori mormorò qualcosa. Michelle disse, senza girarsi: — È il verso di una poesia. L’ha scritta quando aveva 12 anni. Terra. Sei così magra! Non mangi?

— Quale?

— Come, quale?

— Quale parte di me? Io mangio e io non mangio. Non in questo momento. Non prima della fine.

— Quale fine?

— La fine della visione.

Il Mago si sentì oscurare la vista da un tenue tramonto viola. Si girò, con occhi annebbiati, colto dal panico, e scorse la propria visione proiettata sullo schermo. Qualcuno disse, guardandolo: — Ancora la nebbia d’ametista… un significato ce l’ha di sicuro, ma quale?

Il Mago respirò con più calma, mentre la luce si affievoliva. Sentì uno sguardo su di lui, e scoprì che il direttore Klyos lo fissava dalla soglia. Si accorse di avere la bocca secca, le mani strette a pugno. Forse doveva cercare di parlare, ma Terra lo attirò di nuovo, catturò ancora tutta la sua attenzione.

La sua voce perse il tono di distacco. — Michelle.

— Sì?

— Ascoltami. Ascolta.

Una scogliera a strapiombo nera come spazio profondo. Un confuso cielo rossastro sullo sfondo. Un ovale ripiegato su se stesso, di tutti i colori o di nessun colore, disteso su sabbia ametista. Una sfocata visione di una stella rossa. La scogliera. L’ovale. Il sole rosso… Il bisogno, il primigenio, prepotente, schiacciante bisogno… La visione.

Il Mago cessò perfino di respirare. Si accorse di tenere gli occhi sbarrati. Il viso magro, gli occhi enormi, che scorgevano visioni, che vedevano nei suoi, che lo costringevano a vedere…

Michelle mormorò: — Ti ascolto. — Era una domanda. Lei attendeva ancora, capì il Mago, aspettava ancora di udire quello che era stato appena detto… E infine giunse di nuovo la voce di Terra, quasi persa dentro la bolla.

— Sono così stanca. Così stanca.

— Parlatele — mormorò il dottor Fiori.

— Lei…

— Parlatele. Fate in modo che ricordi.

— Terra. — Si interruppe, cercando a tentoni il passato. — Ti… ti ricordi quando arrivammo al Settore Costadoro? Vedemmo l’erba sotto il sole per la prima volta. E grandi giardini di fiori sbocciati senza bisogno di serre. Ti ricordi?

— Uccelli… zanzare…

— Sì.

— Ragnatele stagliate contro la luce del mattino.

— Alberi di limone. Non avevamo parole sufficienti per tutte le cose che vedevamo.

— Parole.

— Avevamo 16 anni. Appena giunte sulla Terra. Eravamo tristi, dapprima. Ma dopo un po’ cominciammo a ridere di nuovo.

— Tu suonavi musica. Sempre, sempre… la sognavi, l’amavi, ne eri ossessionata… Era la tua visione.

— E tu badavi a tutt’e due. Mi giustificavi a scuola, cucinavi, mi compravi persino i vestiti…

— Tu guidavi l’elicar. Tu riparavi le cose. Tu avevi il sogno.

— Tu avevi…

— Non avevo nessun futuro.

— Tu…

— Aspettavo. Un futuro inesistente. Un luogo dove mi avrebbero tagliato i capelli.

— Ricresceranno…

— Non qui. Mai, nell’Anello Scuro. E non me ne andrò mai.

Michelle fece per parlare. Poi si portò le mani alla bocca, ingobbita, travagliata da un’angoscia muta. Il Mago, mosso a compassione, le si avvicinò di un passo. Ma un’ombra fiorì nella sua mente e lo bloccò. La figura si appiattì come una goccia di pioggia sul selciato, poi si raccolse su se stessa e sgattaiolò via dalla spiaggia viola. Fu seguita da un’altra. Un’altra. Dentro di lui crebbe un suono. Chiuse gli occhi, ma le ombre continuarono a fiorire. “Terra”, supplicò. “Terra.” E, sorprendentemente, le ombre si arrestarono.

— Si sta smarrendo. Continuate a parlarle, Michelle. — La voce del dottor Fiori era bassa, insistente. — Michelle. Chiedetele del Settore Deserto.

— No. — Scosse la testa vivacemente. — No.

— Chiedeteglielo.

“Buon Dio, no,” pensò il Mago, terrorizzato.

— Chiedeteglielo. Con cautela.

Michelle si girò, stravolta, tormentata; il dottor Fiori disse ancora: — Con cautela. Senza turbarla.

— Come? — Sospirò con un brivido. — Come posso chiederglielo senza turbarla?

— La conoscete meglio di noi.

— Non la conosco! Non l’ho mai conosciuta!

— Sst. Fatelo con dolcezza. Tentate. Per amor suo.

Lei si voltò ancora verso Terra, e la sua voce si ridusse a un mormorio appena intelligibile. — Terra, mi senti?

— Michelle.

— Quasi non vedo il tuo viso. Non hai freddo, lì dentro?

— Freddo. Qui non c’è freddo.

— Ricordi… ti ricordi dell’ultima volta che ci vedemmo? Sette anni fa? — Dentro la bolla ci fu silenzio. Il Mago udì il proprio cuore martellare. “Posso uscire da qui”, pensò, “posso andare lontano.” Ma il suo corpo aveva le stesse reazioni di una pietra. E ora per lui non c’era nessun luogo dell’universo oltre agli occhi di Terra, la visione di Terra.

— Terra. Ti ricordi?

— Non c’è tempo. — Le parole erano un sussurro.

— Mi desti un bacio d’addio. Indossavi l’uniforme.

— No.

— Terra, tentai… tentai di vederti, dopo. Io… loro non mi permisero…

— Lo so.

Nella stanza nessuno fiatava.

— Come potevi sapere? Non mi permisero di vederti, dissero che eri pericolosa, dissero…

— Il tuo viso non era nella visione, ma lo sapevo. Il resto… — Un braccio sottile si mosse. — Il resto era niente. — Si accartocciò sul pavimento della bolla, stringendosi le ginocchia, scuotendo la testa avanti e indietro. — Facce. Voci. Domande. Rumori. La visione.

— Terra. Il Settore Deserto. Cosa accadde? — Silenzio. — Terra, mi dicesti addio e ti recasti in quel settore e io non… io mai… non tornasti mai indietro, tu…

Il sole era scuro, nella mente del Mago, sullo schermo della Macchina dei Sogni.

— Andasti nel deserto e…

La visione era luce.

Le labbra del Mago si aprirono. Soffocato, cieco nelle tenebre agognò la luce, sognò la luce, immaginò la luce. Creò la luce.

— Terra. Tu eri… — La voce si spezzò. Si coprì il viso. — Non posso — mormorò. — Non posso, non posso, non posso…

— La visione — disse il dottor Fiori. — Chiedetele cos’è la visione. Chiedeteglielo, Michelle.

— Terra, che cosa… che cos’è la visione? Cosa vedi?

Terra nascose ancora il viso contro le ginocchia. Emise un respiro stridente, esausto. Deglutì. — Parole. Domande. Parole senza suono — disse infine.

— Parole senza suono… — Michelle si girò finalmente a guardare con stupore la Macchina dei Sogni. Una macchia viscosa, vagamente giallastra, ribollì fra gli spruzzi nella mente del Mago. Si acquietò e svanì nel litorale crepuscolare, dove giaceva l’ovale piegato, di nessun colore o di tutti i colori, isolato e immutabile come una luna. Il Mago desiderò affidare il corpo immobile al tempo, annegare la mente nella fresca acqua viola.

— Una parola senza suonò — sussurrò Michelle. — Ma cosa significa?

— La visione.

Il Mago vide sabbia d’ametista, scabra, traslucida; si ritrovò nella sabbia; fu lui la sabbia. Non vide niente, non udì niente. Poi l’occhio di Dio, il sole rosso, squarciò le tenebre, e lui sentì un comando che lo trascinava come un’onda di marea sulla sabbia, che revocava il passato, trasformava i confini del mondo. Non riuscì a parlare, non percepì sensazioni. C’era solo la fame, inesorabile e assoluta; e con la fame, la visione.

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