— Lo sono, ma non vedo… Che genere di rapporti aveva con Terra?
— Come diavolo faccio a saperlo?
— Me l’immaginavo.
— Sono gemelle, è tutto quello che…
— Gemelle! — esclamò in tono esplosivo il dottor Fiori. — Perché non c’era sulla scheda?
Jase si strinse nelle spalle. — C’è sulla nostra.
— Non avevo… Lei vuole vedere Terra?
— Non lo so. Ho intenzione di chiederglielo.
— Potrebbe strappare la mente di Terra dalla conchiglia.
— Conchiglia?
— Si è attaccata a un’unica immagine. Avete idea di quanto sia difficile pensare a un’unica cosa per più di…
— È pazza. D’accordo. Parlerò a Michelle e…
— A chi?
— A sua sorella. Michelle Viridian.
— Michelle! — gridò il dottor Fiori. — Non conchiglia! Non seashell ! Michelle! — Poi rimase per un momento in silenzio, pieno di stupore. — Terra sa che lei è qui!
Il Mago, seguendo Jeri Halpren lungo il corridoio che curvava allontanandosi dallo scalo, sbatté le palpebre all’improvviso velo di sudore che gli aveva inondato il viso appena posto piede su Averno. Stanchezza, pensò, ma sapeva che non era dovuta all’atmosfera e all’immutabile luce silenziosa che sembrava scintillare come se il livello dell’ossigeno fosse troppo alto, o alle ombre delle roboguardie che sembravano allungarsi, nere e rigide, come avvertimenti sotto i suoi piedi. Jeri Halpren, un tipo chiacchierone e noioso, stava spiegando le meraviglie del suo programma di riabilitazione. Per fortuna non pretendeva risposte, visto che nessuno sembrava disposto a parlare, nemmeno Quasar, che lo guardava con occhi stupefatti come se appartenesse a un sesso mai incontrato prima. Di tanto in tanto il Professore emetteva un monosillabo cortese, con la mente altrove. Nebraska era rimasto ad aiutare la squadra addetta allo scarico delle attrezzature. La Regina di Cuori era stranamente silenziosa, tanto che il Mago una volta si girò indietro per vedere se c’era ancora.
Jeri Halpren aprì finalmente una porta che dava su un appartamento piccolo e comodo.
— Locali per ospiti di riguardo — disse con orgoglio. — Un vecchio modello del 20° secolo, completo di maniglie e serrature. In fondo al corridoio c’è il refettorio aperto giorno e notte, e dall’altra parte la sala giochi. Vi si chiede di non andare in giro oltre questi limiti. Adesso farò in modo che il vostro tecnico del suono trovi la sala adatta. Ci sono domande? — Rivolse loro un altro balenio di denti candidi e si congedò.
— Dov’è lo scotch? — chiese il Mago, quando la porta si richiuse.
— Sei nervoso? — chiese sorpreso il Professore. — Magico Capo, credevo che i tuoi nervi fossero corde di pianoforte.
Il Mago si era accostato alla parete opposta e aveva aperto le tende, prima di fermarsi a riflettere. La stanza non aveva finestre, ma solo la raffigurazione di una nebulosa che creava stelle simili a schegge di zaffiro contro il nero dello spazio. Rimase a fissarla, sospirando in silenzio.
— Per niente — rispose in tono deciso, a beneficio di Quasar. — Ho solo voglia di bere.
— Nei bagagli.
— Il posto più stupido. — Finalmente si girò; Quasar, con un guizzo negli occhi, aveva captato la sua inquietudine. Andava su e giù lungo un piccolo ovale immaginario compreso fra due divani; la precisione di quel percorso affascinava il Mago, e lo sgomentava. La Regina di Cuori si era raggomitolata nell’angolo di un divano. Sembrava non pensare a niente, non vedere niente; il suo insolito. silenzio infastidiva il Mago almeno quanto l’andirivieni di Quasar, su e giù come in prigione. Solo il Professore, che aveva circondato con un braccio Quasar per farla smettere, sembrava immune al nuovo ambiente.
— Animo, gente! — disse il Professore. — Siamo su Averno. Terra di mostri con cento occhi e cani con tre teste, di musicisti, di poeti, e del fiume dell’oblio.
— Tu es fou - disse Quasar in tono scontroso. — Chi ha mai sentito parlare di un cane con tre teste?
— Cerbero, guardiano dell’Averno.
— Che bisogno c’era di un guardiano, all’inferno? Da chi doveva proteggerlo?
— Dai vivi.
— Fou. - Ma il braccio robusto e la fantasia del Professore sembrarono calmarla. Si guardò le unghie. — Verde, direi, per stasera… verde cedro.
Il Mago smise anche lui di passeggiare, cercando di mettere a fuoco un ricordo. — Non c’era una vecchia storia di un musicista che liberò qualcuno dall’Averno? Ricordi? C’era un tranello…
Il Professore abbandonò Quasar e si lasciò cadere sul divano vicino alla Regina di Cuori. Contemplò le stelle turbinanti. — Un greco pre-GLM… Orfeo. La donna che amava morì e lui la seguì fino all’Averno. Suonò per i morti con tanta bravura che alla moglie fu permesso di seguirlo nel ritorno. Ma lui doveva aver fede. Se avesse perso la fede e si fosse guardato indietro per vedere se lei lo seguiva, avrebbe perso la possibilità di riportarla con sé. Il tranello era: non guardarti indietro.
— Be’ — disse la Regina di Cuori dopo qualche istante — cosa successe? — La sua voce suonò fragile e inattesa come quella di una bambina nell’Averno. — Riuscirono a fuggire?
— Certo che no — disse allegramente il Professore. — Lui era così felice, la sua donna era così bella, che si guardò indietro. In quale altro modo poteva finire? Nessuno torna indietro dall’Averno.
Il Mago non parve convinto. — Ne sei sicuro? — chiese, perplesso. — Finisce proprio così?
La Regina di Cuori emise una breve risata, insolita quanto lo era stata la sua voce. — Io ci credo — disse. Il Mago, cercando di ritrovare nelle sue parole tutte le vaghe cadenze e le modulazioni alle quali era abituato, rimase immobile, puntandole lo sguardo addosso. Lei guardava in alto, come se riuscisse a scorgere oltre il soffitto del piccolo appartamento l’enorme labirinto tutto curve degli anelli. — Questo posto è così grande — mormorò. — E c’è solo una via per entrarci.
Il Mago ricordò allora un’immagine riposta con noncuranza in un angolo della mente, come un sogno bizzarro, durante le ultime, intense settimane: la visione che aveva avuto nel club di Sidney Halleck, la premonizione che un giorno Averno si sarebbe rivelato il punto focale di tutti i suoi pensieri, e quel giorno, da qualsiasi parte guardasse, qualsiasi musica suonasse, Averno gli avrebbe riempito gli occhi, la mente; le sue tenebre avrebbero compiuto la loro rivoluzione non attorno alla Terra, ma attorno a lui stesso.
E ora lui si trovava lì.
Il suo corpo emise un improvviso lampo livido di terrore.
Il Professore sbatté rumorosamente i piedi contro il pavimento, alzandosi. Qualcuno bussò alla porta; il Professore, in silenzio, con il respiro affannoso, riusciva solo a fissare il Mago. Il colpo alla porta risuonò di nuovo.
— Sarà lo scotch — disse debolmente il Mago. Visto che nessun altro sembrava capace di muoversi, si girò notando nello stesso tempo che la stanza sembrava sollevarsi gentilmente e sedimentarsi attorno a lui come se entrasse aria da una porta aperta. Il bagaglio non si vedeva da nessuna parte.
Sulla soglia c’era un uomo. Aveva i capelli neri spettinati, le maniche rimboccate. Era di statura normale, leggermente grasso, e avrebbe potuto essere chiunque — un uomo dell’equipaggio, l’addetto alla manutenzione — se non fosse stato per gli occhi. Quegli occhi sembrarono assimilare il passato del Mago insieme al suo taglio di capelli e alle vecchie macchie sulla tuta di volo.
— Sono Jason Klyos, direttore di Averno. — Gli occhi si mossero sui visi immobili alle spalle del Mago. Trovarono quello che cercavano, e l’uomo parlò ancora, diretto, impassibile. — Michelle Viridian?
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