Adesso il Mago le dedicava tutta l’attenzione; metà allarmato, metà ridendo, con le mani alzate a palme aperte in segno di pace, la supplicò senza parlare. Lo sguardo bruciante di Quasar mandò un lampo folle. La Regina di Cuori sollevò languidamente la mano e le sottrasse abilmente il tubetto di smalto.
— Che cos’è? Ma è meraviglioso! Non ho mai visto niente di simile. È nuovo? Hai altre tinte? Non hai un colore che si intoni ai miei capelli?
— Non hai un colore che si intoni al mio fulmine? — chiese umilmente il Professore. Quasar, divertita, rabbonita, lo guardò in cagnesco, poi scaricò la sua irrequietezza sulla Regina di Cuori.
— Ho un colore che si intona alla tua maschera.
La Regina di Cuori si sfiorò la guancia con aria incerta. — La mia vernice per il viso?
— La tua maschera. So quel che dico. Non te la togli mai, davvero. Nemmeno per fare l’amore.
— Quasar — disse il Mago, anche se nello stesso tempo la sua mente si soffermava a esplorare quella possibilità.
— Vedete la vernice — disse Quasar, testarda. — Ma non vedete i suoi occhi.
— Certo che li vedo — disse il Professore. — Sono spalancati davanti a me, e sorridono. Non è altro che il suo viso da palcoscenico. Il viso di uno dei migliori cubisti del mondo. La gente lo riconosce dappertutto. È un simbolo.
— Cos’è un simbolo?
— Il suo viso d’oro. Qualcosa che significa qualcos’altro. Qualcosa a cui reagisci senza pensare. Come un istinto, ma culturale, anziché biologico.
— Comment?
— Un oggetto fisico o un disegno che rappresenta un’emozione, una credenza, un rituale, un’esperienza culturale…
— Che lingua parli? — chiese gelidamente Quasar. Il Professore sospirò.
— Magico Capo…
Il Mago aprì una tasca nel bracciolo del seggiolino del comandante. Sul palmo della mano galleggiava oro. Lui alzò l’oggetto fra indice e pollice: un piccolo cerchio perfetto. Il Professore glielo prese, sorridendo.
— Un anello nuziale. Dove l’hai trovato?
— Apparteneva alla mia bis-bisnonna. Una volta l’ho portato davvero. Ora è solo carburante di riserva, se mai mi trovo bloccato da qualche parte senza crediti. — Aggiunse, rivolto a Quasar: — È un simbolo: un uomo e una donna si scambiano un anello d’oro come promessa di amarsi e fare l’amore solo fra loro per tutta la vita.
Quasar sollevò le sopracciglia, disgustata. — Tu non l’hai mai fatto, Magico Capo. Vero? — Il Mago storse la bocca. Ripose l’anello. Nebraska fluttuò su di lui come un angelo. — Fatto cosa? — chiese interessato.
— Sto cercando di spiegare a Quasar cos’è un simbolo — disse il Professore.
— Perché?
— Lasciamo perdere.
— È facile — disse Nebraska, lisciandosi un baffo fuori posto. — È come un ferro di cavallo. Inchioda un ferro di cavallo sulla porta, e ti porterà fortuna.
— Questa è superstizione, non un simbolo.
— D’accordo, l’arcobaleno, allora. È un simbolo di buona fortuna. Oppure un quadrifoglio.
— Cercavo un esempio un pochino più profondo.
Nebraska si diede un’ultima tirata di baffi e infilò la mano nella scollatura della tuta. Un filo d’argento si contorse per aria. Lui se lo tirò sopra la testa e lo spinse giù verso il quadro comandi. Una sottile catenella d’argento con un portafortuna a forma di triangolo fluttuò oltre il viso della Regina di Cuori. Lei alzò la mano, le sue dita si impigliarono nell’argento, e il triangolo si girò lentamente a trafiggerla con il suo occhio.
— Che cos’è? — Il tono brusco della voce li stupì tutti. Il Mago prese la catenella dalle sue mani e aggrottò le sopracciglia.
— L’ho visto in una banconota americana pre-GLM — disse Nebraska in tono di scusa. — L’occhio dentro il triangolo. Mi è piaciuto, così l’ho fuso in argento. Non so esattamente cosa sia.
— È l’occhio di Dio — disse il Mago, come se riconoscesse una persona conosciuta casualmente. Il Professore allungò la mano per prenderlo; il Mago guardò la Regina di Cuori, inarcando le sopracciglia con aria interrogativa. La ragazza rideva di nuovo, e le sue dita scavavano solchi fra i capelli, tirandoseli sul viso fino a nasconderlo quasi completamente, e il Mago vide un unico occhio grigio.
— Naturalmente l’ho già visto — disse lei. — Naturalmente. Però non ricordo dove.
— Nemmeno io — disse il Professore. — È buffo. L’abbiamo visto, non sappiamo da dove viene, eppure lo riconosciamo tutti, e significa qualcosa. Qualcosa di inesprimibile, qualcosa che viene dal passato.
— Come una croce — disse Nebraska.
— O una stella. La Stella di Davide, il pentacolo di…
— Una volta ho incontrato un tale che credeva a queste storie — intervenne Quasar. — Voleva convincermi dell’esistenza di un luogo chiamato paradiso. Poi mi ha detto che sarei andata all’inferno. Non mi ricordo cos’ho combinato per farlo arrabbiare. Qualcosa. Non mi piace il passato.
— La luce delle stelle è sempre nel passato — mormorò il Mago. La spaziolancia parlò di nuovo, un breve arpeggio d’arpicordo; e intanto nell’intercom si accese un pulsante luminoso. Il Mago lo premette e l’aria fu subito piena di scariche elettrostatiche.
— Identificarsi — disse una raschiante voce femminile. — Imperativo. Identificarsi…
Il Mago trasalì al rumore. — Spaziolancia ID960PCS, il Pianto volante. Provenienza Settore Cost…
— Nome.
— Con chi parlo? — chiese lui urbanamente. Le unghie di Quasar gli si conficcarono nel braccio.
— Polizia.
Il Mago batté le palpebre, diventando di colpo inespressivo, e spostò uno schermo angolare sopra il finestrino. Tutti videro il lungo oggetto massiccio che si frapponeva tra la loro lancia e Averno, le vivide luci della spaziomobile. Il Mago sussurrò in fretta: — Maledizione, Quasar, se hai portato a bordo qualcosa di illegale…
— No, Magico Capo, ti giuro…
— Qui la spaziomobile di pattuglia GM11F proveniente da Averno. Trasmettete i codici di navigazione per tutti i porti oltre la Terra.
Il Mago mormorò qualcosa e lanciò uno sguardo alla Regina di Cuori. La ragazza si teneva eretta, ma aveva le mani contratte sui comandi. — Signora dei Cuori. — Lei distolse gli occhi dalla spaziomobile, fissò il Mago senza vederlo. — Vogliono il nostro itinerario.
— Oh. — Di colpo le sue mani si rilassarono; cominciò a trasmettere. — Scusami, Magico Capo, scusami…
— Sta’ calma. — Si sentirono scambi di frasi sotto le scariche elettrostatiche; il Mago decifrò le parole, incredulo. «Riesci a intercettare qualcosa?»
— Dichiarate lo scopo della vostra visita su Averno.
— Siamo in tournée — disse il Mago, sconcertato. — Il complesso Nova. Averno, Helios, Rimrock, Moonshadow. Abbiamo prenotato tramite l’agenzia della Costadoro, abbiamo ottenuto permessi, passaporti, orari e codici d’atterraggio…
— Restate in collegamento.
Il Mago rimase in attesa, stringendo le labbra. Si girò verso Quasar, la fissò negli occhi.
— Quasar — disse piano Nebraska — possono perquisirci all’atterraggio, e se hai nascosto qualcosa nella stiva devi solo farmi vedere…
— No! Non ho niente!
— Proprio quello che ho sempre desiderato — disse il Professore. — Una stanzetta tutta per me su Averno.
— Magico Capo, stavolta non sono io! Io…
— Calma, calma. Stiamo trasmettendo qualche segnale che loro hanno intercettato, ma non capisco come sia successo. Signora dei Cuori, non hai notato qualcosa di insolito quando hai…
La voce del poliziotto lo interruppe, con un tono appena meno brusco di prima. — Permesso e codice d’entrata per il Pianto volante registrati. Come mai la vostra ricevente è aperta alla frequenza di Averno?
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