Qualcosa lo fissava. Girò la testa e vide il messaggio luminoso. Allungò la mano oltre il letto e lo toccò, sbadigliando.
Mentre rispondeva alla chiamata del Mago, ricordò che il Pianto volante era in attesa del decollo.
— Magico Capo? — disse mentre lo schermo del Mago si illuminava. — Sei ancora qui?
— Aaron — disse il Mago con aria trasognata; e Aaron gli ricordò: — Mi hai chiamato tu.
— Ah. — Il Mago ridacchiò. — La tournée comincia a darmi alla testa. Ho chiamato un paio d’ore fa, cercando la mia cubista. È già qui.
— Davvero? — Si strofinò gli occhi, ancora assonnato, cercando di schiarirsi le idee, mentre il Mago aspettava pazientemente. — Siete in partenza?
— Stiamo aspettando di essere rimorchiati in posizione di lancio.
Aaron rimase di nuovo in silenzio, senza pensare, lasciando che i sentimenti arrivassero. Si presentarono con semplicità, come la rosa tirata fuori di tasca. — Voglio venirvi a salutare.
Arrivò allo scalo con l’elicar, trovò la Regina di Cuori seduta sulla scaletta del Pianto volante , con il mento posato sul palmo della mano. Il resto del gruppo era dentro; udì i motori che si scaldavano.
Lei si alzò senza una parola, gli mise le braccia attorno al collo. I suoi odori erano diversi — sapone, profumo, vernice da viso — ma l’oscuro calore non era scomparso. Lui alzò finalmente la testa, aprì gli occhi alla lucentezza dei suoi capelli. — Be’ — disse. — Addio. — La maschera di lei era perfetta: il viso di una carta da gioco, oro, rosso, grigio luminoso, la Regina di Cuori, la dama che passa da una mano vincente all’altra.
— Addio.
Nessuno dei due si mosse. Alla fine lei gli tolse le mani dal collo; lui sentì la riluttanza, vide il vuoto improvviso dei suoi occhi. Deglutì, respirando affannosamente, sapendo che stava per inoltrarsi in un turbine di nebbia che poteva nascondere un terreno solido o una lunga caduta nel nulla. A stento si rese conto di dire: — Sono troppo vigliacco. Voglio vederti ancora.
— Sì — mormorò lei, e allora lui vide il sorriso con cui era nata. Poi lei si tirò indietro, gli occhi scuri, sorpresi, il viso stilizzato, elegante che nascondeva un conflitto sconcertante.
— Ti chiamerò. — La sua voce era turbata. — Al ritorno. Se. Quando. Aaron…
— Se…
— Se mi vuoi ancora.
— Perché…
— Voglio solo che tu sappia una cosa, prima.
— Prima di che?
Lei sospirò, chiuse gli occhi, cercò di vedere nel buio. — Voglio che tu sappia che sarai nella mia mente. Come i cubi. Come la musica del Mago. Sempre. Dimmi addio.
— Addio — disse lui, completamente confuso. Lei lo baciò e si girò. E allora il ricordo lo colpì, pieno di forza e di terrore, mentre il portello si apriva e si richiudeva alle sue spalle. Voleva gridarle dietro, battere i pugni contro il portello. “Ho detto addio già una volta!” Rimase impietrito, con la bocca asciutta, separando in fretta il passato dal presente, pregando il cosmo che fosse possibile, mentre lei, con la sua tenebrosa visione negli occhi, prendeva posto vicino al Mago per guidare il loro cammino verso Averno.
Il computer di Averno aveva registrato come al solito la richiesta di informazioni sui suoi segreti più gelosamente custoditi, e ne aveva presentato quel mattino una copia agli occhi annebbiati di Jase. Il direttore la fissò, sorseggiando il caffè. “Ragazzini”, pensò. “Compiti di scuola.” Ma non l’affidò agli archivi; rimase seduto a fissarla finché Nils, sul punto di terminare il turno, venne a guardare da sopra la spalla.
— Ragazzini — disse. Jase emise un rumore ambiguo senza aprire bocca. Alzò lentamente la mano, batté leggermente le dita sullo schermo.
— Rintracciane l’origine, per favore.
— Perché? — chiese Nils sorpreso. — Non vale la pena…
— Per favore.
Nils si sedette nuovamente e cominciò a battere sulla tastiera, avvicinandosi come non mai a brontolare sottovoce. — Siete solo nervoso a causa di Terra Viridian — disse. — Qualcuno alla banca dati della Biblioteca, premendo tasti per gioco…
— Può darsi — disse Jase.
— Le vostre intuizioni fanno gli straordinari.
— Lo so, e tu pure. Vuoi fare una scommessa?
Nils smise di inseguire la richiesta attraverso una piramide di codici, per guardarlo fissamente. Riprese a muovere le dita. — Settore Costadoro, ha risposto alla domanda la banca dati della Biblioteca Pubblica 5. Quanto vorreste scommettere? — Abbassò la testa sul lavoro. — Terminale privato… Le scommesse sono chiuse… Codice di identità… — Una vampata di rossore gli inondò il viso fino alla radice dei capelli rossi. Jase si sporse in avanti. — È successo di nuovo — disse Nils, incredulo.
— Chi?
— Aaron Fisher. CI. n. 2146WOSS. Poliziotto di classe AIA del Settore Costadoro. — Guardò Jase, con le dita a mezz’aria. — E ora cosa facciamo? La consideriamo oziosa curiosità?
Jase scosse la testa. — Un poliziotto di quel livello sa già da anni tutto quello che c’è da sapere su Averno. — Le parole si formavano con difficoltà, per la rabbia, la frustrazione; sentiva che qualcosa stava per accadere, come se un tenebroso pianeta fosse sfuggito dalla propria orbita, ma il suo avvicinarsi era silenzioso, e più buio della notte che attraversava nella sua caduta. Nils lo fissava, perplesso, a disagio.
— Perché un poliziotto di prima classe dovrebbe stuzzicare Averno per scoprire le procedure di atterraggio?
— Trova il suo ruolino — disse Jase. — Chiama il suo superiore. E portami quassù questo poliziotto. Lo chiederemo a lui.
Migliaia di chilometri sopra la Terra il Pianto volante raggiunse l’orbita di Averno, segnalò il fatto con una sequenza musicale, spense i motori e cominciò la serena caduta libera per raggiungere il satellite. Il Mago, nient’affatto deliziato dall’assenza di peso, piantò gli stivali contro la grata del pavimento, si allacciò le cinture di sicurezza e sintonizzò lo schermo video sul notiziario. Nebraska sparì nella stiva per controllare che tutto fosse ben ancorato. Il Professore era steso su un fianco vicino al soffitto, con le braccia conserte, gli occhi chiusi, ascoltando un libro. Quasar si passava sulle unghie uno smalto color dell’uva nera, servendosi di un tubetto appositamente inventato per viaggiatori raffinati in caduta libera, e guardava da sopra la spalla del Mago. La Regina di Cuori abbassò lo schienale del sedile e schiacciò un pisolino.
— Non russa — commentò Quasar dopo mezz’ora, provocando la rapida rotazione del Mago.
— Come?
— La Regina di Cuori. Russate tutti. Ma lei non si tradisce mai, nemmeno quando dorme. Guardala. Comme le chat.
Suo malgrado il Mago lanciò un’occhiata alla Regina di Cuori. — Quasar…
— Merde - esclamò Quasar sorpresa. Il Mago si sentì sfiorare il viso da una minuscola gocciolina viola.
— Maledizione, Quasar!
Quasar se la prese con il tubetto di smalto, che tempestò delle sue antiche imprecazioni. — Une chose dérangée - concluse oscuramente. — Mi è costato una mano e un piede.
— Un occhio della testa.
— Ma perché?
— Quasar, vorrei guardare lo schermo.
— Tu non mi lasci fumare. Sono nervosa. Non mi piace lo spazio. È troppo grande, troppo vuoto. Il sole è troppo isolato, da qui. Voglio che domini il cielo, che esiga attenzione fra le nuvole. — Si soffiò sulle unghie. Il Mago sorrise, senza staccare gli occhi da un annunciatore del Settore Tramonto.
— Sei proprio una ragazza all’antica.
— C’era anche — disse Quasar, con un intervento inaspettatamente appropriato — una Coalizione Nazionale Regressista nel Settore Lumière. Ma a furia di litigare si sono smembrati. Parigi. Che razza di nome sarebbe?
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