— Sembra una fata…
Sidney, che sorseggiava birra accanto a lui, sorrise. — Forse lo è davvero. È comparsa dal nulla e ha esaudito il desiderio del Mago. Hai controllato in archivio se c’è qualcosa su di lei?
— No — disse Aaron, sorpreso. — Perché avrei dovuto?
— Lo fai sempre.
Aaron restò in silenzio. Si chiese se il mistero stava proprio lì, in una delle schede del GLM. Tutta la sua ossessione si riduceva a un’unica, arida frase: moglie… deceduta. Una frase che non diceva nulla. La fuggevole visione di un compagno di viaggio nel triste deserto gelido che conosceva così bene poteva essere spiegata in modo altrettanto conciso da una o due parole negli archivi del GLM, ammesso che riuscisse a riconoscerle. Oppure, secondo gli standard del GLM, forse non meritava neppure una parola.
— Questa volta — disse piano, distogliendo il viso da Sidney — preferisco chiedere.
La ragazza sembrava attirata da lui, e durante gli intervalli gli si avvicinava chiacchierando amichevolmente, come una barca che sfuggisse la tempesta in un porto tranquillo. Gli disse molte cose. Aveva percorso strade a lui familiari, aveva visto gli stessi bar rumorosi e pieni di fumo, gli stessi club sfarzosi e inebrianti, aveva udito gli stessi brandelli di musica uscire da porte aperte quando la foschia dell’estate non tornava al mare e la luna piena era appesa nel cielo come un’arancia insanguinata. E tuttavia non gli disse niente.
— Perché non rispondi mai a una domanda diretta? — le chiese Aaron una notte, mettendo da parte la prudenza. Lei si limitò a ridere.
— Per esempio?
— Come ti chiami? Dove sei nata? Ti togli mai il trucco di scena dal viso?
— No — disse lei. E poi: — Be’, a volte. Ma mai e poi mai in presenza di qualcuno. Sai come si chiama il Mago?
— Sì, ma ho giurato di mantenere il segreto.
— Be’, io no. Non gliel’ho mai chiesto. Non è importante. Come per Nebraska. Una volta gli chiesi dove si trovava il Nebraska, quando aveva ancora questo nome, e lui mi disse che era da qualche parte nel Settore Costa Orientale. Viene da pensare che sia nato lì, in quello che era il Nebraska pre-GLM, non è vero? Ma per i lunghi baffi e la pronuncia strascicata si è ispirato a qualche antico telefilm, e il luogo che lui riteneva il Nebraska era invece la Virginia Occidentale. Però qualcosa va perso, se si conosce tutta la storia, non credi? Qualcosa di piccolissimo, ma importante. A modo suo.
— Tu dove sei nata?
— Sulla Luna.
— Ah… — Sidney alzò una spalla, coperta da un velo di sudore che di colpo fece svanire ogni pensiero coerente dalla mente di Aaron. — Mi hai rivolto una domanda. Ti ho risposto.
Nel suo subconscio la cercava, come cercava guai nella città irrequieta; ogni pulsazione di cubi che udiva sembrava provenire da lei. In qualsiasi cosa fosse impegnato — servizio di aeropattuglia, dispacci, rapporti, risse per le strade o inseguimenti all’impazzata — finiva inevitabilmente per entrare nel Constellation Club nelle ore in cui c’erano i Nova. Sono come drogato, pensò disperatamente. Intossicato da una cubista con il viso d’oro. Lei non pretendeva nulla: abitava nella sua mente ma non interferiva con il suo lavoro. Si limitava a essere presente nei suoi pensieri, perché lui lo voleva, fino al momento in cui entrava nel club e scorgeva i suoi occhi esplorare le luci e le ombre finché non lo trovava e smetteva di cercare.
Aaron saltò l’ultima seduta di prove. Incidenti e rapporti da redigere con cura lo tennero lontano finché, quasi all’alba, entrò stancamente nel club. Sidney c’era ancora, in quell’ora perduta, non reclamata né dalla notte né dal mattino. Aaron si unì a lui. Sul palco il Mago, colorandosi di verde, scosse la tastiera in un ultimo accordo. Un fiotto di luce schizzò dall’arpa a canne. La Regina di Cuori incorniciò il proprio viso con le bacchette e le calò con uno schianto. Il palco si oscurò. Ci fu un attimo di silenzio. Poi dal buio provenne un unico, dolce fraseggio di Bach.
Aaron e Sidney applaudirono. Nebraska riaccese le luci del palco. Quasar si lasciò cadere sulla rampa, scosse selvaggiamente i capelli riempiendo l’aria di bagliori.
— Merde - disse raucamente. — Che ore sono?
La risposta di Nebraska si mutò in uno sbadiglio. Il Mago lanciò un’occhiata al polso, ma la sua mente sembrava ancora avvolta dai colori e non registrò niente. Sidney disse: — Le quattro e mezzo. Buon giorno, Aaron. Chi ti ha strappato le tasche?
— Merde - ripeté Quasar. Si girò, rivolse un ghigno maniacale pieno di riflessi argentei alla Regina di Cuori. — Hai suonato magnificamente.
La Regina di Cuori fece per appoggiarsi alla parete, poi si ricordò che non c’era nessuna parete. I suoi occhi avevano trovato Aaron, oltre la luce. Lui inspirò silenziosamente perché, come quando l’aveva vista per la prima volta, si sentiva pietosamente in balia e del passato e del futuro. Ecco l’assuefazione, pensò, la liberazione dai ricordi, da se stessi. Ecco che lei lo riportava con forza al limitare del territorio nascosto dietro i suoi occhi. Lei non sorrise; i suoi occhi, sopra i cubi luminosi che si raffreddavano lentamente, acquistarono una sfumatura più cupa.
Il Mago si avvicinò al banco del bar. — Com’è andata? — chiese a Sidney. — Siamo all’altezza di Averno?
— Probabilmente provocherete una disgregazione permanente delle sue onde sonore.
— Non è quello che vogliono? — Allungò la mano oltre Aaron per prendere una salvietta. — Cos’è successo ai tuoi calzoni?
— Non sono stato abbastanza veloce — disse distrattamente Aaron, guardando la Regina di Cuori che scendeva dal palco. Il Mago gli lanciò uno sguardo incuriosito. Nascose dietro la salvietta il sorriso improvviso che gli saliva alle labbra. Sidney, amabile stregone del suo stesso reame, andò dietro il banco a versare birra.
La Regina di Cuori si unì a loro. Non guardò Aaron, ma gli si fermò vicino, e lui capì con un sussulto quanto poco mancava alla partenza. La domanda di lei, genericamente indirizzata all’universo, era rivolta a lui: — Ti è piaciuto? — Finalmente lo guardò. Nelle ombre fumose e ingemmate i suoi occhi erano color dell’aria.
— Immensamente — disse Aaron.
Lei sorrise. — Ma tu non c’eri!
— C’ero io — disse Sidney. — Sei stata fantastica.
Il Professore si drappeggiò sopra il banco. — Sono morto e sulla strada dell’Averno. Signora dei Cuori, ci hai trascinati a tal punto che temevo che la mia arpa si schiantasse.
— Siete stati voi a trascinare me — disse lei. Si alzò i capelli sulla nuca, se li raccolse sulla testa. — In occasioni come questa santificherei chi ha inventato la vernice per il viso a prova di sudore.
— L’agenzia si è messa in contatto con te? — chiese Sidney al Mago.
Il Mago scosse la testa da sopra il boccale di birra. — Perché?
— Oggi mi hanno detto che il tuo concerto a Helios sarà registrato via satellite e trasmesso sulla rete NSBC.
Nebraska restò a bocca aperta. — Scherzi! Noi? — Batté un colpo sulla schiena del Mago. — Andiamo in onda!
Il Mago si scosse dalle dita gocce di birra. — I Nova sono un complesso da club. Come diavolo hai ottenuto che i mass-media ci prendessero in considerazione?
— Interesse umano. Il primo complesso che suona su Averno, l’effetto sui detenuti nello spazio, eccetera. Imbastiranno una storia sul programma di riabilitazione, ma non sono riusciti a ottenere il permesso di portare una troupe su Averno, per cui vi filmeranno a Helios.
— Sidney, sei un genio.
— Lo so — disse Sidney, imperturbabile. Aaron si girò verso la Regina di Cuori, con il desiderio di guardare ancora i suoi occhi. Ma lei non era più al suo fianco. Si guardò attorno stupito e la ritrovò sul palco, intenta a vagare senza scopo intorno ai cubi. Si stupì del suo insolito silenzio, del distacco che aveva improvvisamente messo fra sé e gli altri. Fece per muoversi verso di lei, si fermò accanto al banco, poi comprese quanto era grande il vuoto che si lasciavano dietro le parole non dette, le azioni solo contemplate. Avvertì l’attenzione del Mago come un faro puntato addosso. Il vecchio impulso familiare di proteggere le proprie azioni, di nascondere la propria vita, lo trattenne ancora un istante al banco, a sorseggiare birra, senza ammettere niente.
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