— Hai suonato il PRM? — chiese incredulo il Mago. Aaron, affascinato dal delicato turbinio di parole, si chiese se la ragazza avesse sniffato qualcosa. No, si disse poi. Pareva che il Mago ci fosse abituato.
— Be’, volevo suonare ogni tipo di musica.
— Il PRM non è…
— Magico Capo, possiamo discuterne più tardi, davanti a un barile di birra. Oppure bevi ancora scotch? Comunque, se vuoi, puoi venire a sentirmi suonare prima di dire sì o no, e non mi offenderò se… dopo tutto, quanti anni sono? Cinque anni, da quando suonavo con te? E poi…
— Sì o no a che cosa? — chiese il Mago, completamente sbalordito.
— A me. Ho incontrato il Giocatore l’altra sera allo Starshot, dove ho suonato quest’ultima settimana. Si era attaccato al bar come se fosse sua madre, e sembrava uno spaventapasseri terrorizzato. Lo sai che aspetto ha. Non sopporta l’alcool, deve avere qualcosa a che fare con il suo senso dell’equilibrio. Comunque, mi ha detto della tua tournée su Averno, e allora gli ho detto che se prendeva il mio posto allo Starshot avrei partecipato io. Alla tournée spaziale. — Si toccò una forcina a cuore. — Su Averno.
Per un istante il Mago rimase talmente immobile che Aaron si chiese se non gli fosse venuto un colpo. Poi l’aria tutt’intorno si tinse improvvisamente di rosso, come se il cuore del Mago l’avesse spruzzata di sangue. Il corpo di Aaron si tese, mentre una parola gli nasceva e gli moriva in gola. Prima che potesse muoversi, l’aura era sparita. La ragazza, anche lei di colpo senza parole, tastò l’aria dietro il Mago.
— Magico Capo, non hai staccato i neurocavi?
Il Mago, dimentico, alzò le mani e la abbracciò, sollevandola con delicatezza, come se lei potesse tramutarsi in fumo all’improvviso. — Tu? Vieni tu?
Lei rimase in silenzio. Un lieve sorriso affettuoso le cambiò ancora gli occhi. — Se mi vuoi, Magico Capo. Mi piacerebbe suonare di nuovo con te. La tua musica mi manca.
— Se voglio. Dio santo — disse reverentemente — ho minacciato di morte il Giocatore, se non avesse trovato un sostituto. Non avrei mai pensato che trovasse te. — Le diede un rapido bacio sulla guancia. — Grazie. — Si accorse di Aaron, che sorrideva dietro la ragazza. La posò a terra, la guidò sulla rampa, e Aaron scese con un salto dal palco.
— Ti presento Aaron Fisher, un mio caro amico. Aaron, questa è la migliore cubista del 14° Settore: la Regina di Cuori.
Lei tese una mano sottile, dalle dita lunghe; aveva la stretta robusta del cubista. I suoi occhi, rivolti al viso di Aaron, sorridevano, nuovamente opachi. — Non ho orecchio per la musica — disse Aaron. — Riconosco appena gli accordi dell’ascensore. Ma ho già sentito il vostro nome.
— Be’, sono stata in tanti di quei complessi, in tanti di quei posti… ma mai — aggiunse in tono serio — in ascensore. No. Sono sicura. Il Mago vi offriva un concerto? È per questo che ve ne stavate sulla rampa?
Aaron sorrise. — Sono solo entrato a vedere chi aveva lasciato la porta aperta. — Il trucco del viso, anche visto da vicino, era senza pecche; resistette ancora al desiderio di toccarla. Si scoprì a dire oziosamente: — È un complimento eccezionale, Magico Capo, quello che ti fa la miglior cubista del 14° Settore: lasciar perdere tutto per venire a suonare con te.
Lei scosse la testa; forcine a cuore scivolarono e si impigliarono; un colletto di crinolina nera cadde dalla sacca. Lei lo raccolse distrattamente e se lo infilò al braccio come una giarrettiera. — Ho suonato dappertutto, certo, sugli asteroidi, negli alberghi galleggianti, in club così minuscoli che era difficile muovere le bacchette dei cubi senza far cadere i faretti dal palco. Ho compiuto tre giri completi del Settore, ognuno con un complesso diverso. Forse crederete che nessuno vuole più avere a che fare con me, perché finisco sempre con l’andarmene. Però li lascio migliori di come erano, e la gente dice che mi porto dietro la fortuna. La Regina di Cuori, la Signora Fortuna. — Rise piano, senza traccia d’amarezza. — Non so se sia vero. Però sono stata dappertutto, ho suonato ogni cosa. E niente mi è mai rimasto in mente come la musica del Mago. Così sono ritornata. — Si interruppe; gli altri due attesero, in un silenzio incantato. — Qui. — Inaspettatamente i suoi occhi cambiarono, si spalancarono, brillando lievemente. Si chinò rapidamente a raccogliere la bacchetta per i cubi. — Qui.
Una scarpa le cadde dalla sacca. Aaron si chinò a raccoglierla; quando si rialzò, lei si era nuovamente barricata dietro quel suo sorriso. Rigirò mollemente la scarpa fra indice e pollice; le pagliuzze di strass mandarono lampi di luce.
— Suoni ancora Bach, Magico Capo?
— Oh, certamente.
— E il Pianto volante ? — Le pagliuzze improvvisamente restarono immobili; il suo viso, dietro il sorriso, era immobile. — Ce l’hai ancora?
— Lo useremo per la tournée — disse il Mago, e le luci rotearono ancora nella mano di lei. — Proveremo qui dopo l’orario tutte le sere delle prossime due settimane. Ce la fai?
— Certo.
— Di’ a Nebraska dove sono i tuoi cubi e lui ti aiuterà a trasportarli. Domani chiamerò l’agenzia per farti avere un passaporto spaziale… No, non posso chiamare finché non avrò aggiustato quella maledetta ricevente…
— Al passaporto ci penso io — disse lei in fretta. — Magico Capo, ti serve aiuto per la riparazione? Da piccola rabberciavo la navetta spaziale di papà. Darò un’occhiata alla ricevente. Oh, sono anche capace di tenere la rotta, nello spazio. L’ho imparato in uno dei miei giri. Mi pare con i Cygnus. — Rise all’espressione del Mago. — Be’, mi annoiavo.
— Signora dei Cuori, sei un dono del cielo.
— Forse. Forse però il dono sei tu… — Infilò di nuovo la scarpa nella sacca, con il viso nascosto dai lunghi capelli spettinati, scarlatti.
— Dove siete nata? — chiese Aaron, piuttosto incuriosito.
Lei si tirò indietro i capelli con uno scatto della testa e lo guardò. Alzò la mano a sistemare una forcina. Disse lentamente: — Adesso mi ricordo di voi. Il Mago e Sidney Halleck giocavano a poker. Voi guardavate le carte di Sidney.
Lui annuì. — Sidney aveva anche la carta che vi raffigura.
Con le dita che tormentavano ancora la forcina, lei sembrò all’improvviso accorgersi di lui; la sua statura e il suo peso, il timbro della voce, le rughe del viso che testimoniavano la sua scelta di vita, l’ombra della barba del mattino sulla mascella. Aaron vide che agli occhi della ragazza era diventato qualcosa di più che un oggetto di scena nell’universo del Mago. Lei aprì bocca per dire qualcosa, si arrestò. Poi pronunciò la frase, in tono esitante, sorpreso: — Verrete a sentirmi suonare?
Aaron sorrise. Si sentì stanco, poi piacevolmente stanco, e seppe che, per motivi ancora insondabili, quel giorno avrebbe dormito senza sognare.
— Ne sarò felice — rispose.
Tornò la sera dopo, e quella dopo ancora, e tutte le sere seguenti, sottraendo tempo ai suoi turni di pattuglia per scivolare dentro la porta del Constellation Club alle due, alle tre, alle quattro del mattino, per guardare lei. A volte aveva l’occasione di parlarle, a volte no. Le sere in cui era fuori servizio rimaneva ad ascoltare le prove dall’inizio alla fine, seduto al bar accanto a Sidney Halleck, mentre la squadra delle pulizie girava senza far rumore per il vasto locale, aspirando, lustrando. Anche se non era in grado di distinguere un cubista dall’altro, a volte i potenti ritmi controllati delle sue bacchette lo scuotevano come se sentisse l’irrequietezza, le parole di un essere nascosto sotto di loro nelle profondità della terra. Circondata dai cubi caldi e splendenti, con il viso concentrato e assente, bagnata dalla luce d’oro e dai fuochi interiori dei cubi, la ragazza riuscì a evocare dalla mente di Aaron una parola che lui non sapeva nemmeno di conoscere.
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