Robert Heinlein - Guerra nell'infinito

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Guerra nell'infinito: краткое содержание, описание и аннотация

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Don Harvey è nato nello spazio, a bordo di un’astronave in caduta libera oltre l’orbita degli asteroidi, da padre terrestre e da madre di cittadinanza venusiana, si ritrova senza patria quando le colonie di Venere decidono di ribellarsi allo sfruttamento della Federazione Terrestre. È la storia della prima guerra cosmica, sullo sfondo di una grande trasformazione del sistema solare, in orbita intorno alla luna si sta costruendo il Cercatore di Orizzonti. La nave interstellare che porterà uomini e donne in un viaggio di centinaia d’anni, generazioni e generazioni su un mondo artificiale, verso altri sistemi stellari; su Marte e su Venere, gli indigeni intelligenti che i terrestri hanno trovato al loro arrivo sui pianeti gemelli ricordano epoche remotissime, nelle quali la Terra, Marte, Venere e i satelliti di Giove facevano parte di un grandioso Impero… Don Harvey, strappato al suoi studi, alla vita che conosceva, dallo scoppio della guerra, sfugge miracolosamente alla distruzione di Circum-Terra, la stazione spaziale che collega la Terra a Luna City e ai pianeti, e finisce su Venere, tra le paludi e le giungle del pianeta nebbioso, braccato da tutti i belligeranti perche, suo malgrado, egli è latore di un messaggio così importante che, da solo, potrebbe cambiare la storia del Sistema Solare.

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Improvvisamente, gli venne un’idea; era pazzesca, forse anche ridicola, ma esisteva una possibilità… vaga, remota, eppure valida… di trasformare l’onnipresente, eterna affettuosità dei bipedi in un vantaggio, invece che in una trappola mortale. Di una cosa era certo: quelle creature non l’avrebbero lasciato andare. Se avesse abbandonato il branco, alcuni lo avrebbero certamente seguito, belando e sbuffando e praticamente annunciando la sua presenza, come se lui fosse andato in giro per Venere preceduto da una banda musicale. D’altro canto…

A volte le idee più pazze sono le più geniali. In quel momento, Don se ne rese conto, sia pure confusamente. Rendersene conto e agire di conseguenza fu questione di un attimo.

Con passo deciso, penetrò nella radura, dirigendosi verso il centro, scostando a forza di gomiti la fiumana dei suoi nuovi amici, che volevano festeggiarlo calorosamente tutti insieme nello stesso momento. Si spinse nel bel mezzo del branco, e a questo punto sedette sul terreno umido.

Tre gregari più piccoli gli salirono immediatamente sulle ginocchia. Li lasciò stare dov’erano. Gli adulti, e i cuccioli, si assieparono intorno a lui, belando e ronfando e cercando di annusargli la testa. Li lasciò fare… ormai era circondato da una solida parete di carne. Così clamorosamente incoraggiati, i vieni-sopra tennero meravigliosamente fede al loro soprannome.

Di quando in quando, un adulto veniva scostato dagli altri, e tornava più indietro, ad aspettare il suo turno; ma c’erano sempre gregari a sufficienza per sbarrargli qualsiasi visione di ciò che lo circondava.

Dopo un periodo considerevole, udì levarsi una serie di belati ancor più eccitati dalle frange del branco che lo circondava. Per un momento, pensò che la sua guardia personale sarebbe stata distolta da lui, sedotta dalla nuova causa di eccitazione; ma gli occupanti del circolo interno preferirono conservare i loro posti privilegiati; la parete tenne.

Don udì di nuovo delle voci umane.

«Per l’amor del cielo… è un branco al completo di quelle stupide bestie!» E poi: «Ehi! Vai giù! Piantala di leccarmi la faccia!»

La voce di Curly replicò:

«Credo che si sia innamorato di te, Joe. Amore a prima vista. Senti… Rompi ha detto di arrestare tutto quello che cammina; che ne diresti di portargli questo?»

«Piantala!» Si udirono dei rumori accentuati, poi più acuti, e infine il belato di un vieni-sopra, sorpreso e ferito nei suoi migliori sentimenti.

«Forse faremmo meglio ad arrostirlo, e a portarlo via comunque, ma non a Rompi. Chissà,» era la voce di Curly. «Ho sentito dire che la carne di questi stupidi è squisita.»

«Prova a trasformare questa ricerca in una partita di caccia, e Rompi ti farà finire davanti al Vecchio. Andiamo… abbiamo da lavorare.»

Don poté seguire l’avanzata dei due uomini ai margini del branco. Riuscì perfino a capire, dai suoni, il momento in cui i due soldati riuscirono a respingere a calci i più persistenti dei gregari che li seguivano. Continuò a restare seduto al centro della radura per molto tempo, dopo che gli ultimi suoni prodotti dai due soldati furono scomparsi in lontananza. Rimase seduto a terra, accarezzando il mento di un cucciolo che gli si era addormentato sulle ginocchia, e riposandosi.

Passarono i minuti, e forse le ore, e finalmente cominciò a farsi buio. Il branco cominciò i preparativi per passare la notte. Quando fu completamente buio, tutti i gregari erano sdraiati a terra, a eccezione delle sentinelle lasciate intorno al bordo della radura. Essendo stanco morto, e mancando completamente di qualsiasi piano d’azione, Don si dispose a passare la notte con le affettuose creature, con la testa appoggiata a una soffice, vellutata schiena, e fungendo a sua volta da cuscino a una coppia di cuccioli.

Per qualche tempo rimase con gli occhi aperti, guardando in alto. Il cielo scuro di Venere era sopra di lui; non c’erano stelle, in quel cielo, non c’era luna. Solo oscurità densa. Guardando quella coltre che copriva eternamente il cielo, Don meditò sulla propria situazione, poi cominciò a preoccuparsi del cibo e, ancor più urgentemente, dell’acqua. Passò qualche minuto; e poi Don non pensò più a nulla.

Il branco si agitò, come pervaso da un fremito, e si svegliò. Ci furono belati e grugniti, mescolati ai pigolii lamentosi dei più piccoli, che non erano ancora del tutto svegli. Don aprì gli occhi, cercò di orientarsi, riconobbe l’ambiente nel quale si trovava, e sì alzò in piedi a sua volta; sapeva vagamente cosa doveva attendersi… il branco stava per migrare. Raramente i gregari occupavano la stessa isola per due giorni di fila. Essi dormivano per la prima parte della notte, poi partivano prima dell’alba, nel momento in cui i loro nemici naturali erano meno attivi. Vagabondavano da un’isola all’altra, servendosi di strade, attraverso la laguna, dove l’acqua era meno profonda, percorsi noti… probabilmente per istinto… ai capi del branco. Certamente, i gregari erano capaci di nuotare; ma raramente ricorrevano a questa arte, preferendo i più comodi guadi delle stagnanti, immobili acque del mondo degli acquitrini.

Don pensò: Bene, così mi libererò presto di loro. Erano molto affettuosi e gentili; ma quel che è troppo, è troppo. Poi rifletté sulla situazione… se i vieni-sopra si trasferivano in un’altra isola, certamente non si sarebbe trattato di Isola Centrale, e certamente si sarebbe trattato di un’isola ancor più lontana da Isola Centrale di quella sulla quale ora si trovavano. Che cosa aveva lui da perdere?

Si sentì un po’ imprudente, e la decisione era certamente avventata, ma la logica sulla quale la decisione si reggeva non pareva offrire delle falle notevoli; quando il branco cominciò a muoversi, si accodò. Il capo li guidò attraverso l’isola, per circa un quarto di miglio, e poi entrò sicuramente nell’acqua. Il buio era ancora così profondo, che Don non si accorse di quello che stava accadendo, fino a quando non si ritrovò a sua volta con i piedi nella liquida tenebra che circondava l’isola. L’acqua gli arrivava alle caviglie, e non salì più di molto. Don affrettò il passo, cercando di restare bene al centro del branco, per non correre il rischio di finire in acque più profonde, nelle tenebre fittissime. Sperò che quella non fosse una delle migrazioni nelle quali i gregari ricorrevano all’arte poco usata di nuotare.

Cominciò a farsi giorno; la luce si diffuse tra le nubi eterne del cielo, e l’aria si fece più chiara, dapprima un vago, soffuso barlume, poi qualcosa di più. Il branco accelerò l’andatura; Don faticò a non perdere il contatto. A un certo punto, il vecchio maschio che guidava la bizzarra carovana si fermò, grugnì, e fece una brusca svolta; Don non riuscì a immaginare il motivo per cui il capo avesse cambiato strada, perché la nebbia del mattino era fittissima, e un punto dell’acqua nera pareva esattamente uguale a quello vicino. Eppure, la strada scelta si rivelò in acque poco profonde. La seguirono per un altro chilometro almeno, girando e cambiando lievemente direzione, a volte, e poi, finalmente, il capo salì sulla terraferma di una nuova isola, seguito da vicino da Don.

Don si lasciò cadere al suolo, esausto. Il vecchio maschio si fermò, evidentemente sconcertato, mentre il branco saliva a riva e si radunava intorno a loro. Il capo grugnì, e parve disgustato, poi si voltò e proseguì nel suo dovere di condurre il suo popolo verso i buoni pascoli. Don respirò più forte, cercò di chiamare a raccolta le forze, e seguì gli altri.

Nel momento in cui stavano uscendo dagli alberi che fiancheggiavano la riva, Don vide una staccionata alla sua destra, più lontano. Si sentì così felice, da avere quasi voglia di cantare.

«Arrivederci, amici!» disse ai gregari. «Io scendo qui.»

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