I draghi erano di enorme utilità per i partigiani impegnati nella lunga, logorante guerra di resistenza; benché essi non fossero belligeranti, le loro simpatie erano tutte per i coloniali… o, per essere più esatti, essi disprezzavano profondamente i soldati della Federazione. I coloniali erano riusciti a fare di Venere la loro patria, perché erano riusciti ad andare d’accordo con i draghi… un’illuminata politica di tornaconto personale, istituita dallo stesso Cyrus Buchanan. Per un essere umano nato su Venere non c’era neppure un’ombra di dubbio sul fatto che esistesse un’altra razza… quella dei draghi… intelligente, ricca e civile almeno quanto la propria. Ma per la stragrande maggioranza dei soldati della Federazione, nuovi per il pianeta, i draghi erano semplicemente degli animali orribili, infidi e rozzi, incapaci di parlare e che si davano un sacco d’arie, arrogandosi dei privilegi che nessun animale aveva il diritto di reclamare.
Questo orientamento non era a livello conscio; si trattava principalmente di uno stato d’animo, di un atteggiamento che affondava le sue radici nell’inconscio… e per questo invincibile, profondo, inevitabile. Nessun ordine emanato dall’Alto Comando alle truppe della Federazione, nessuna misura disciplinare, per quanto rigorosa, nessuna punizione, anche fisica, per le violazioni, poteva affrontare il problema fondamentale con qualche speranza di successo. Si trattava di qualcosa di più forte e di meno ragionato di qualsiasi problema razziale analogo mai esistito sulla Terra… bianchi contro negri, gentili contro ebrei, romani contro barbari, o qualsiasi altro esempio di cui la storia offrisse il ricordo.
Perfino gli ufficiali che emanavano gli ordini non potevano percepire nella maniera corretta la questione; perché neppure loro erano nati su Venere. Perfino il più alto consigliere politico del governatore, lo scaltro e abile Stanley Bankfield, poteva realmente afferrare il concetto secondo il quale non ci si ingraziava un drago semplicemente (per usare una parafrasi) accarezzando il drago in questione sulla testa, e parlandogli dall’alto in basso (naturalmente questo in senso pratico sarebbe stato impossibile; ma si trattava in senso figurato, dell’atteggiamento tipico perfino nei più intelligenti e preparati dei terrestri).
Due gravi incidenti avevano dato l’avvio alla situazione, due incidenti avvenuti nello stesso giorno del primo attacco federale; a Nuova Londra, un drago… lo stesso che Don aveva visto di fronte all’edificio del Times , intento a leggere i bollettini… era stato, non ucciso, ma gravemente danneggiato da un lanciafiamme; quel drago era stato il socio occulto della banca locale, e un azionista di quasi tutti i più importanti depositi di torio. Ancora peggio, a CuiCui un drago era stato ucciso… da un razzo; per pura sfortuna, quel drago aveva avuto la bocca aperta, e il proiettile vi era entrato. E quel drago sfortunato era stato un parente collaterale dei discendenti del Grande Uovo. Non è prudente, né utile, assumere un atteggiamento antagonistico nei confronti di creature altamente intelligenti, ciascuna delle quali equivale fisicamente a, diciamo, tre rinoceronti di medie dimensioni. Malgrado ciò, i draghi non erano entrati direttamente nel conflitto, poiché la nostra idea convenzionale di guerra non fa parte della loro civiltà. Essi raggiungono i loro scopi operando attraverso mezzi assai diversi dai nostri.
Quando, nel corso del suo lavoro, Don si trovò obbligato a parlare a un drago, spesso domandò se quel particolare cittadino della nazione dei draghi conoscesse o meno il suo amico ‘Sir Isaac’… usando per questi interrogatori, naturalmente, il vero nome di ‘Sir Isaac’. Scoprì che coloro che non potevano dichiarare una conoscenza personale, almeno lo conoscevano di nome; e scoprì, anche, che dichiarando di essere conoscente del drago, il suo prestigio personale veniva notevolmente accresciuto. Ma non cercò di inviare alcun messaggio a ‘Sir Isaac’; non c’era più alcuna occasione per farlo… non aveva bisogno di tentare di arrangiare un trasferimento in un’Alta Guardia che non esisteva più.
Cercò senza soste, ripetutamente, di scoprire quello che era accaduto a Isobel Costello… attraverso i profughi, attraverso i draghi, e attraverso i sempre più numerosi combattenti dell’esercito clandestino di resistenza, che potevano muoversi abbastanza liberamente da un punto all’altro del territorio. Malgrado tutti i suoi sforzi, non riuscì a trovarla. Una volta, gli dissero che era stata rinchiusa nel campo di concentramento di Promontorio Est; qualcun altro gli disse che la ragazza e suo padre erano stati deportati sulla Terra… ma non poté trovare conferma a queste voci. Così, con un senso di vuoto, di dolore, sospettò che Isobel Costello fosse stata uccisa durante il primo attacco della Federazione.
Il suo dolore era per Isobel… non per l’anello che le aveva lasciato in custodia. Aveva cercato di indovinare cosa potesse esserci, in quell’anello, di tanto importante da fare inseguire lui, Don Harvey, da un pianeta all’altro, e da renderlo così prezioso agli occhi dell’I.B.I. e perfino dello scaltro signor Bankfield. Non era riuscito a trovare una risposta plausibile, e aveva raggiunto la conclusione secondo la quale Bankfield, malgrado tutti i suoi atteggiamenti da superuomo, aveva commesso un errore; la cosa importante doveva essere stata la carta che aveva avvolto l’anello, ma l’I.B.I. era stata troppo stupida per immaginare il trucco e trovare una soluzione. Dopo qualche tempo, cessò totalmente di pensare alla faccenda; l’anello non c’era più, e quel che era stato era stato.
Dopotutto, apparteneva al passato.
In quanto ai suoi genitori che si trovavano su Marte… certo, certo, un giorno! Un giorno, quando la guerra fosse finita, e le astronavi avessero ripreso le loro rotte nel silenzio dello spazio, tra i pianeti… ora c’erano le paludi e gli acquitrini, gli arbusti e le boscaglie, le notti profonde e gli attacchi e le lunghe marce di trasferimento con l’acqua fino al ginocchio, e le sanguisughe del fango che si aggrappavano alla carne, e producevano piaghe infette… lo spazio era nascosto dietro una coltre di nubi, e non esisteva più qualcosa di simile a Circum-Terra, e Marte era lontano milioni e milioni di chilometri… sarebbe venuto il suo turno, al momento giusto, ma ora perché doveva rodersi per la preoccupazione, quando sapeva che per il momento non c’erano possibilità?
La sua compagnia si trovava, in quel periodo, disseminata sugli isolotti dell’arcipelago, a sud-sud-ovest di Nuova Londra; da tre giorni i soldati erano accampati su quattro degli isolotti, e si trattava della sosta più lunga che mai avessero fatto in un posto solo. Il continuo spostamento era una delle anni migliori a disposizione dell’esercito di resistenza.
Essendo assegnato al quartier generale, Don si trovava sulla stessa isola nella quale il capitano Marsten aveva fissato la sua residenza, e, in quel momento, era tranquillamente disteso sulla sua amaca, che aveva teso tra due tronchi, al centro di una macchia di alberi di palude.
La staffetta del quartier generale della compagnia lo trovò in quella posizione, e lo strappò bruscamente al meritato riposo… restandosene a buona distanza, e limitandosi a scuotere con forza la corda dell’amaca. Don si svegliò bruscamente e completamente, e come per magia un coltello gli balenò in mano.
«Calma!» lo avvertì la staffetta. «Il Vecchio vuole vederti.»
Don fece un suggerimento rettorico, e piuttosto scurrile, sull’uso che il capitano avrebbe dovuto fare dei suoi ordini, e scese silenziosamente dall’amaca, posando i piedi sul suolo umido. Indugiò per un momento, per arrotolare l’amaca e infilarsela in tasca… essa pesava soltanto poche decine di grammi, ed era stata pagata alla Federazione con un notevole saldo di danni e vite umane, quando Don se ne era impadronito. L’amaca veniva usata da Don con estrema prudenza; il precedente proprietario l’aveva usata con imprudenza, e ora non ne aveva più bisogno. Prima di muoversi, Don prese anche le sue armi.
Читать дальше