Provò ancora il dolore del primo momento, per la perdita di Isobel. In cuor suo, temeva che la ragazza fosse morta nel primo attacco. Ormai era passato troppo tempo, per sperare ancora.
E finalmente rifletté sugli ordini venuti direttamente dal quartier generale, che lo avevano mandato da Sir Isaac. Era bizzarro. Laggiù c’era veramente un lavoro militare da svolgere? Oppure Sir Isaac aveva semplicemente scoperto dove lui si trovava, e l’aveva mandato a prendere? Quest’ultima ipotesi pareva la più probabile; il quartier generale delle forze di resistenza avrebbe certamente considerato una richiesta da parte di un principe dell’Uovo come un ‘obbligo’ militare, essendo i draghi così importanti per il buon andamento delle operazioni.
Si grattò la cicatrice sul braccio sinistro, e si addormentò.
La colazione fu soddisfacente come la cena. Questa volta, non ci fu alcun mistero intorno alla sua apparizione; fu portata con un carrello a ruote da una giovane dragonessa… Don capì che era giovane, perché l’ultimo paio di peduncoli era ancora rudimentale, e gli occhi non erano ancora ‘sbocciati’; non doveva essere nata da più di un secolo venusiano. Don sibilò un ringraziamento; lei rispose, educatamente, e se ne andò.
Don si domandò se Sir Isaac non impiegasse dei servitori umani; la cucina lo rendeva sconcertato… i draghi, semplicemente, non sanno cucinare. Essi preferiscono consumare crudo il loro cibo, con un po’ del fango del fondo ancora attaccato, per dare un po’ d’aroma. Riusciva a immaginare un drago intento a bollire un uovo per l’esatto periodo di tempo necessario, una volta saputo esattamente quanto fosse questo tempo; ma la sua immaginazione rifiutava di credere a qualcosa di più complicato. L’arte umana di cucinare è un’arte esoterica, e strettamente razziale.
La sua perplessità non gli impedì di apprezzare nella giusta misura l’eccellente colazione.
Dopo colazione, con il morale — e la fiducia in se stesso — sensibilmente aumentati dal fatto d’indossare degli indumenti lavati, e ragionevolmente puliti, trovò la forza per affrontare la prova di incontrare la numerosa famiglia di Sir Isaac. Avvezzo com’era a fungere da interprete di ‘vera lingua’, la prospettiva dell’incredibile dose di cerimonie e formalità, nella quale ci si aspettava da lui di recitare una parte centrale e creativa, con molta immaginazione e molto talento, lo rendeva sensibilmente nervoso. Sperò di poter condurre la prova in maniera che avrebbe riflesso onore sui suoi genitori, e non imbarazzo sul suo ospite.
Si era raso frettolosamente, e non certo in maniera perfetta, non essendoci specchi nell’appartamento, ed era già pronto a uscire, quando udì chiamare il suo nome. La cosa lo sorprese, dato che lui sapeva che non avrebbe dovuto essere disturbato… essendo un ospite appena arrivato… anche se avesse deciso di restare nelle sue stanze per una settimana, o per un mese… o per sempre.
Sir Isaac entrò, come una benevola montagna in movimento.
«Mio caro ragazzo, vuole perdonare un vecchio frettoloso, se da questo momento la tratterò con l’informalità usata comunemente soltanto con i propri figli?»
«Be’, ma certo, Sir Isaac.» Don era del tutto sconcertato. Se Sir Isaac era un drago frettoloso, certamente era il primo della storia.
« Come il padre e la madre l’uovo, come l’uovo il padre e la Madre ,» sibilò Sir Isaac, passando immediatamente a una familiarità completa. «Se sei riposato e rinfrescato, allora ti prego di venire con me.»
Don obbedì, sorpreso dalla piega che gli avvenimenti avevano assunto; rifletté che dovevano averlo tenuto sotto osservazione; l’entrata di Sir Isaac era stata troppo puntuale, perché si trattasse di un caso. Il vecchio drago lo guidò fuori dell’appartamento, lo precedette lungo un passaggio interno, e lo fece entrare in un salone che un drago avrebbe considerato, probabilmente, un salotto intimo; era largo meno di trenta metri.
Don decise che doveva trattarsi dello studio di Sir Isaac, perché c’erano innumerevoli rotoli di libri-nastro disposti in grandi scaffali alle pareti, e c’era anche il ripiano girevole, sistemato all’altezza dei tentacoli prensili. Sopra uno scaffale, al centro di una parete, c’era quello che Don immaginò fosse un affresco, ma si trattava di un guazzabuglio incomprensibile, per il giovane; i tre colori, nello spettro degli infrarossi, che i draghi vedono e noi non possiamo vedere, producevano anche in questa circostanza l’usuale confusione. Ripensandoci, Don decise che il dipinto poteva anche non avere alcun significato; dopotutto, gran parte dell’arte umana non sembra significare nulla.
Ma la cosa che egli notò maggiormente, e sulla quale meditò, fu che la stanza conteneva non una, ma due sedie adatte agli esseri umani.
Sir Isaac lo invitò a sedersi. Don obbedì, e scoprì che la sedia era un mobile del più perfezionato tipo di lusso, a elaborazione interna, e adattabile; la sedia valutò immediatamente le sue dimensioni, e la forma del suo corpo, e si adattò perfettamente a lui. Don scoprì immediatamente a chi era destinata l’altra sedia di tipo terrestre; un uomo entrò a grandi passi nella stanza… un uomo sulla cinquantina, magro e severo, con una corona di capelli grigi e arruffati intorno a un cranio calvo. L’uomo aveva dei modi bruschi, e suggeriva l’idea che i suoi ordini venissero sempre obbediti.
«Buongiorno, signori!» Si rivolse a Don. «Lei è Don Harvey. Io mi chiamo Phipps… Montgomery Phipps.» Lo disse come se fosse stata una spiegazione sufficiente. «Lei è cresciuto un bel po’. L’ultima volta che l’ho vista, le ho dato una bella sculacciata, perché mi aveva morso il pollice.»
Don si sentì irritato, da quell’atteggiamento da sergente maggiore che l’uomo aveva assunto. Immaginò che si trattasse di qualche conoscente dei suoi genitori, che lui aveva conosciuto nelle vaghe, indistinte profondità dell’infanzia, ma non lo riconosceva, né riusciva a ricordare in quale occasione avesse potuto incontrarlo.
«Avevo qualche motivo per morderle il pollice?» domandò.
«Eh?» L’uomo scoppiò improvvisamente in un’aspra risata. «Suppongo che si tratti di una questione di opinioni. Ma siamo pari; io le ho dato una bella strigliata.» Si rivolse a Sir Isaac. «Verrà anche Malath?»
«Mi ha detto che avrebbe compiuto questo sforzo. Dovrebbe giungere tra breve.»
Phipps affondò comodamente sull’altra sedia, e cominciò a tamburellare sul bracciolo con il pollice e l’indice.
«Be’, immagino che dovremo aspettare, anche se non vedo alcun bisogno della sua partecipazione a questa riunione. Ormai abbiamo tardato anche troppo… avremmo dovuto tenere questa riunione ieri sera.»
Sir Isaac riuscì a trarre, miracolosamente, un’intonazione sconvolta dal suo voder.
«Ieri sera? Con un ospite appena arrivato?» Il drago era sinceramente scandalizzato, e lo dimostrava.
Phipps si strinse nelle spalle.
«Lasciamo perdere.» Si rivolse a Don. «Le è piaciuta la cena, figliolo?»
«Eccellente.»
«L’ha preparata mia moglie. Adesso è al lavoro nel laboratorio, ma la conoscerà più tardi. È un vero genio della chimica… dentro e fuori la cucina.»
«Sarei lieto di ringraziarla,» disse Don, con sincerità. «Lei ha parlato di un laboratorio?»
«Eh? Sì, sì… un posto fantastico. Lo vedrà più tardi. Ci lavorano alcuni dei più grandi talenti di Venere. Ciò che la Federazione perde, noi lo guadagnamo.»
Don riuscì a trattenere le domande che erano balzate improvvisamente alle sue labbra; qualcuno… qualcosa… stava arrivando. Don spalancò gli occhi, quando vide che si trattava di una ‘carrozzella’ da marziano… l’ambiente personale mobile senza il quale un marziano non poteva sopravvivere, né sulla Terra, né su Venere. Il piccolo veicolo si avvicinò, ed entrò nel circolo; la figura che si trovava all’interno si issò faticosamente in posizione seduta, con l’aiuto del suo esoscheletro artificiale a motore, cercò debolmente di allargare le pseudo-ali e parlò, con la sua voce pigolante, sottile e stanca amplificata da un microfono.
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