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Clifford Simak: L'aia grande

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Anche pupplicato come “Il grande cortile” ed “Il lungo cortile”.

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Arrivarono di corsa e si fermarono all’improvviso a circa trenta metri dai gradini su cui Taine sedeva.

Non si mosse né disse parola… non c’era nulla che potesse dire. Era troppo ridicolo.

Essi erano, forse, un po’ più piccoli di Taine, neri come l’asso di picche, e indossavano pantaloncini attillati e tuniche che sembravano alquanto ampie: sia i pantaloni sia le tuniche erano celesti come il cielo d’aprile.

Ma c’era ben altro. Erano assisi su selle ornate di corni sulla parte anteriore, di staffe, di una specie di coperta arrotolata e legata di dietro, ma non avevano cavalli.

Le selle fluttuavano in aria, con le staffe a circa un metro dal suolo e gli stranieri sedevano comodamente e lo guardavano, mentre lui li guardava.

Finalmente Taine si alzò e avanzò di un paio di passi, mentre i tre si lasciavano scivolare dalle selle e gli venivano incontro. Le selle rimasero sospese in aria, esattamente dove loro le avevano lasciate.

Taine continuò ad avanzare e i tre anche, finché non vi fu tra loro che una distanza di non più che un paio di metri.

— Ti salutano — disse Beasly. — Ti dicono benvenuto.

— Be’, molto bene, allora digli… ma di’, come lo sai?

— Marmotta mi dice quello che dicono loro e io lo dico a te. Tu parli con me, io parlo con lui e lui con loro. Funziona così. È per questo che lui è qui.

— Be’, che io possa… — cominciò Taine. — Ma allora puoi davvero parlare con lui?!

— Te l’ho detto che posso — sbraitò Beasly. — Ti ho detto che posso parlare con Towser, anche, ma tu hai pensato che io fossi scemo.

— Telepatia! — esclamò Taine. E adesso era peggio che mai. Non soltanto gli esseri dalla faccia di topo avevano saputo tutto di quella faccenda, ma avevano saputo anche di Beasly.

— Che cosa hai detto, Hiram?

— Non ci pensare — rispose Taine. — Di’ a questo tuo amico di dir loro che io sono felice di incontrarli e che cosa posso fare per loro.

Rimase in piedi a disagio e fissò i tre: vide che le loro tuniche avevano molte tasche e che le tasche erano rigonfie, probabilmente coi loro equivalenti di tabacco, fazzoletti, temperini e simili.

— Dicono che vogliono farsi spennare — disse Beasly.

— Spennare?

— Ma sì, Hiram. Lo sai, fare a cambio.

Beasly ridacchiò sommesso. — Immagina un po’quelli che si espongono a un mercante yankee. Henry dice che è quello che sei tu: lui dice che puoi spennare un uomo senza nemmeno…

— Lascia Henry fuori da questo — ribatté secco Taine. — Lascia Henry fuori da qualche cosa, almeno.

Sedette per terra e i tre sedettero di fronte a lui.

— Chiedigli che cosa intendono scambiare.

— Idee — disse Beasly.

— Idee! Ma che balordaggine.

Poi capì che non lo era.

Di tutte le merci che potevano essere scambiate con un popolo straniero, le idee potevano essere le più valide e le più facili da maneggiare. Non hanno bisogno di depositi e non alterano la bilancia dei pagamenti… non immediatamente, almeno… e possono portare un contributo assai più grande alla prosperità delle culture che non il commercio in beni effettivi.

— Chiedigli che cosa vogliono per l’idea di quelle selle che cavalcano — disse Taine.

— Dicono, che cosa hai da offrire?

Eccolo il guaio. Una domanda a cui era difficile rispondere.

Automobili e camion, con motore a benzina… be’, non era il caso, dal momento che avevano già le selle. La Terra era un po’ antiquata in quanto a mezzi di trasporto, dal punto di vista di costoro.

Architettura edile… no, questa non poteva chiamarsi un’idea e, comunque, c’era quell’altra casa, così dunque conoscevano già le case.

Abiti? No, avevano già abiti.

Vernice, pensò. Forse la vernice era quella giusta.

— Chiedi un po’, se la vernice gli interessa — disse Taine a Beasly.

— Chiedono, che cos’è? Spiegaglielo, per piacere.

— Va bene. Dunque, vediamo. È un sistema protettivo che si stende praticamente su ogni superficie. Si imballa facilmente e si applica facilmente, protegge dal maltempo e dalla corrosione. È anche decorativa: esiste in tutti colori. Ed è economica da fare.

— Hanno alzato le spalle — disse Beasly. — Li interessa poco; però vogliono saperne di più. Vai avanti e diglielo.

Questo era più adatto a lui, pensò Taine. Questo era il tipo di linguaggio che poteva capire.

Si accomodò meglio dov’era seduto e si curvò un poco in avanti, muovendo gli occhi dall’una all’altra di quelle tre imperturbabili facce d’ebano, tentando di indovinare quel che potevano star pensando. Non c’era niente da indovinare: questi erano i tre tipi più imperturbabili che avesse mai incontrato.

Qualcosa che gli era familiare, che lo faceva sentire a casa sua: era nel suo elemento. In quei tre di fronte a lui sentì in qualche modo inconscio la migliore opposizione ai suoi ragionamenti commerciali che avesse mai dovuto fronteggiare. E anche questo lo rendeva contento.

— Digli che non sono troppo sicuro — disse. — Credo di aver parlato troppo in fretta. La vernice, dopo tutto, è un’idea di gran valore.

— Dicono se proprio per fargli un favore, perché non sono davvero interessati, puoi parlargliene ancora un po’.

Li ho agganciati, si disse Taine. Se solo si fosse dato da fare nel modo giusto.

Si mise d’impegno per fare un onesto scambio.

Qualche ora più tardi ricomparve Henry Horton, accompagnato da un signore dai modi molto urbani che era stato erroneamente allontanato e che portava sotto il braccio una borsa impressionante.

Henry e l’uomo si fermarono sui gradini del porticato completamente sbalorditi.

Taine era accosciato per terra e stava verniciando una tavola sotto lo sguardo degli extraterrestri. Dalle patacche che avevano sul corpo, era chiaro che gli stranieri avevano fatto anch’essi un po’ di verniciatura. Sparsi dappertutto c’erano altri pezzi di tavola verniciati a metà e un paio di dozzine di vecchi barattoli di vernice.

Taine alzò lo sguardo e vide Henry e l’uomo.

— Speravo che qualcuno si facesse vivo — disse ai due.

— Hiram — disse Henry, assai più tronfio del solito — posso presentarti il signor Lancaster. È un delegato speciale delle Nazioni Unite.

— Lieto di conoscerla — disse Taine. — Mi chiedo se lei voglia…

— Il signor Lancaster — cominciò a spiegare Henry, con orgoglio — ha avuto qualche piccola difficoltà a passare gli sbarramenti, così mi sono offerto di accompagnarlo. Gli ho già spiegato quali sono i nostri comuni interessi in questa faccenda.

— È stato molto gentile, il signor Horton — disse Lancaster. — C’era qualche stupido sergente…

— Tutto sta a sapere come trattare la gente — disse Henry. L’osservazione, notò Taine, non fu apprezzata dall’uomo delle Nazioni Unite.

— Posso chiedere, signor Taine, che cosa sta facendo esattamente? — disse Lancaster.

— Sto spennando — rispose Taine.

— Spennando? Che curioso modo di esprimere.

— Un vecchio modo di dire — aggiunse svelto Taine — con alcune caratteristiche sue. Se fa a cambio con qualcuno, è un passaggio di beni; ma se tira a spennare, quel poveretto ci rimette la camicia.

— Interessante — disse Lancaster. — Suppongo che lei stia spennando questi signori dalle tuniche celesti.

— Hiram — interruppe fieramente Henry — è il migliore spennatore che ci sia da queste parti. Si occupa di antiquariato e perciò deve spennare bene.

— E posso chiedere — riprese Lancaster, ignorando del tutto Henry — che cosa sta facendo con quei barattoli di vernice? Questi signori sono acquirenti potenziali di vernice oppure…

Taine mollò la tavola e balzo in piedi irato. — Perché non vi state un po’ zitti, tutti e due? — gridò. — Sto cercando di dire qualcosa da quando siete arrivati e non ho potuto aprir bocca. Ed è importante, vi dico.

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