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Clifford Simak: L'aia grande

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Anche pupplicato come “Il grande cortile” ed “Il lungo cortile”.

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Era sciocco, pensò, ragionare in questo modo, ma le cose stavano proprio così.

Qui lui aveva qualcosa che la Terra voleva; qualcosa che la Terra voleva o pensava di volere. E, in ultima analisi, la responsabilità era ancora sua. Tutto era accaduto sulla sua terra, nella sua casa; senza sapere, forse lui aveva persino aiutato, favorito la cosa.

E la terra e la casa sono mie, si disse orgogliosamente, e il mondo là fuori era un’estensione della sua aia. Non importa quanto fosse lunga o larga, era sempre un’estensione della sua aia.

Beasly aveva lasciato la cucina e Taine passò nel soggiorno. Towser era sulla poltrona dalla tappezzeria dorata, acciambellato e ronfante. Taine decise di lasciarlo stare. Dopo tutto, pensò, Towser si era conquistato il diritto di dormire dove più gli facesse piacere.

Oltrepassò la poltrona e si avviò alla finestra, verso il deserto che si stendeva fino al lontano orizzonte; davanti alla finestra, la gigantesca marmotta e Beasly sedevano fianco a fianco, le schiene volte alla casa, a guardare il paesaggio desertico.

In qualche modo gli sembrò naturale che la marmotta e Beasly fossero seduti lì insieme… quei due, sembrava a Taine, potevano avere molto in comune.

E poi era un buon inizio… che un uomo e una strana creatura di quest’altro mondo fossero lì seduti insieme, socievolmente.

Tentò di dare forma all’idea dell’organizzazione di questi mondi collegati, di cui ora anche la Terra faceva parte, e le possibilità intrinseche a questa catena gli rimbombavano nella testa come un tuono.

Sarebbe stato possibile un contatto tra la Terra e questi altri mondi e che cosa ne sarebbe risultato?

A quel che sembrava, il contatto era già stato effettuato, tanto naturalmente però, in modo tanto privo di drammaticità, da essere persino deludente da registrare come un grande e importante evento. Infatti Beasly e la marmotta erano in contatto e se fosse andato tutto nello stesso modo, non c’era assolutamente nulla di cui preoccuparsi.

Non c’era niente di casuale, rammentò a se stesso, nella faccenda; era stato tutto preparato ed eseguito con la disinvoltura di una lunga pratica. Non era questo il primo mondo a essere aperto e non sarebbe stato l’ultimo.

Quei piccoli esseri dalla faccia di topo avevano attraversato lo spazio (una serie inimmaginabile di anni luce) nel veicolo che aveva dissotterrato nel bosco. Poi lo avevano seppellito, forse come un bimbo può nascondere un piatto cacciandolo sotto un monticello di sabbia. Poi si erano diretti proprio verso questa casa e avevano messo in funzione l’apparato che aveva reso questa casa un passaggio tra un mondo e l’altro. Una volta che questo fosse stato fatto era eliminata per sempre la necessità di attraversare lo spazio; questo era necessario soltanto per iniziare il collegamento tra i pianeti.

Una volta terminato il lavoro, i piccoli esseri dalla faccia di topo erano andati via, non prima però, di essersi assicurati che questo passaggio al loro pianeta fosse reso inespugnabile a qualunque tipo di assalto. Avevano rivestito ogni intercapedine della casa con un prodigioso materiale che avrebbe resistito a un’ascia e che senza dubbio avrebbe resistito a qualcosa di più che una semplice ascia.

Poi avevano marciato in fila indiana fino alla collina dove altri otto ordigni spaziali riposavano sulle loro rampe. E adesso su quelle rampe ce n’erano soltanto sette: gli esseri dalla faccia di topo erano partiti e forse, prima di ritornare, sarebbero atterrati su un altro pianeta ad aprirvi un’altra porta, un legame con un altro mondo. Ma assai più, pensò Taine, che un semplice legame tra i mondi: sarebbe anche stato un legame tra i popoli di questi mondi.

Le piccole creature dalla faccia di topo erano gli esploratori, i pionieri in cerca di altri pianeti simili alla Terra e la creatura che attendeva con Beasly fuori della finestra doveva anch’ella assolvere un compito, un compito che nel tempo a venire anche l’uomo, forse, avrebbe dovuto assolvere.

Voltò le spalle alla finestra e guardò la stanza, la stanza era esattamente come era sempre stata fin da quando lui poteva ricordare. Con tutto quel che era cambiato fuori, con tutto quel che era accaduto fuori, la stanza era rimasta immutata.

Questa è la realtà, pensò Taine, questa è tutta la mia realtà. Qualunque cosa possa ancora accadere, io rimarrò qui… in questa stanza col camino annerito dal fuoco di molti inverni, gli scaffali pieni di vecchi libri sciupati, la poltrona, il vecchio tappeto logoro… logorato dai passi delle persone amate e non dimenticate nel corso di lunghi anni. E anche questo, comprese, era la calma prima della bufera.

Tra breve avrebbe avuto inizio la grande parata… il gruppo degli scienziati, i funzionari governativi, i militari, gli osservatori di altri Paesi e quelli ufficiali delle Nazioni Unite.

E contro tutto questo, si rese conto, lui era disarmato e privo di forza. Non importa quel che un uomo può dire o pensare, non può ergersi contro il mondo.

Questo era l’ultimo giorno in cui questa casa sarebbe stata la casa dei Taine. Dopo quasi cent’anni, il suo destino sarebbe cambiato. E, per la prima volta in tutti questi anni, nessun Taine avrebbe dormito sotto il suo tetto.

Rimase a fissare il camino e la libreria e avvertì i vecchi pallidi fantasmi muoversi per la stanza: sollevò una mano esitante come per salutari, non soltanto i fantasmi ma anche la stanza, poi la lasciò ricadere. A che serviva ormai?

Uscì sul porticato e sedette sui gradini. Beasly lo udì arrivare e si voltò.

— È simpatico — disse a Taine, battendo la mano sulla schiena della marmotta. — È proprio come un gran bell’orsacchiotto.

— Sì, vedo — rispose Taine.

— È la cosa più bella è che posso parlare con lui.

— Capisco — rispose Taine, ricordandosi che Beasly poteva parlare anche con Towser. Si chiese come gli sarebbe apparso vivere nel semplice mondo di Beasly. A volte, concluse, doveva essere confortevole.

Gli esseri dalla faccia di topo erano arrivati con l’astronave, ma perché erano scesi a Willow Bend, perché avevano scelto questa casa, la sola casa in tutto il paese in cui avrebbero potuto trovare l’equipaggiamento di cui avevano bisogno per costruire il loro apparato in modo facile e rapido? Poiché non c’erano dubbi sul fatto che essi avevano riutilizzato ogni pezzo del calcolatore per disporre dell’equipaggiamento di cui avevano bisogno. In questo modo, tutto sommato. Henry aveva avuto ragione: ripensandoci, dopo tutto Henry aveva avuto una parte decisiva nella faccenda.

Potevano aver previsto che in questa particolare settimana, in questa casa particolare, le probabilità di compiere in modo rapido e facile quel che erano venuti a fare sarebbero state tanto alte?

Insieme ai molti talenti e capacità tecnologiche di cui disponevano, c’era anche la chiaroveggenza?

— Sta arrivando qualcuno — disse Beasly.

— Non vedo niente.

— Neppure io — riprese Beasly. — Però Marmotta mi ha detto che li ha visti.

— Ti ha detto?

— Te l’ho detto che stavamo parlando. Guarda, adesso posso vederli anch’io.

Erano ancora lontani, ma si avvicinavano rapidamente… tre macchie che correvano rapide in pieno deserto.

Sedette e li guardò avvicinarsi, pensò di andar dentro a prendere il fucile, ma non si mosse dal suo posto sui gradini. Il fucile non sarebbe servito a niente, si disse; sarebbe stato insensato prenderlo e, ancora peggio, un atteggiamento insensato. La sola cosa che l’uomo poteva fare, pensò, era quella di incontrare queste creature di un altro mondo con le mani vuote e pulite.

Adesso erano più vicini; gli sembrò che sedessero su invisibili sedili che si spostavano molto velocemente. Vide che erano umanoidi, almeno fino a un certo punto, ed erano soltanto tre.

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