Edgar Pangborn - La compagnia della gloria
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- Название:La compagnia della gloria
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- Издательство:Nord
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- Год:1977
- Город:Milano
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— Come T.S. e H.F., anch’io vivo in entrambi i mondi, e non sono a mio agio in nessuno dei due.
— E c’è mai stato un posto in cui ci si può sentire a proprio agio? Noi non ci sentiamo a nostro agio qui, noi tre, ma… oh, è difficile anche solo pensare di andarcene!
— Era questa la sola ragione per cui Wynken piangeva?
— No, uomo dolce. — Blynken distolse gli occhi, piegando il capo per captare i suoni della folla, oltre la tenda. — Dio, vorrei essere abbastanza piccina per prendere parte al loro numero! No, pensava a Frankie, e a tutti i giovani, a come sono prima che il mondo li travolga.
— Questo pensiero non ha niente del nuovo secolo, Blynken.
— Sicuro, davvero! È il nostro patto con la natura… l’ha detto Wynken stanotte: tanto da godere, se possiamo, e poi rendere la materia prima. Ma… c’è così poco tempo per essere Frankie!
— L’altra domanda che mi hai quasi rivolto: no, non saprei dirti veramente dove andrà la nostra Compagnia. Ma io penso, come può pensarci un vecchio, a una repubblica che cresce, lentamente, per un po’ isolata in un mondo abbastanza vuoto… cresce da un inizio costituito da un pugno di esseri umani che viaggiano con me. Non li ho scelti io… Bosco, per esempio, probabilmente ci lascerà per cercare una certa banda di Nomadi…
— Lo spero. Non mi piace, quello.
— Oh, probabilmente non è cattivo.
— Lo è, — disse Blynken. — No, non badarci, forse mi sbaglio. Continua, dimmi qualcosa di più, Demetrios.
— Beh, non li ho scelti io e non sono io che li guido… ma la capacità potenziale è lì, se fosse necessario. Ci hanno uniti l’amore e il caso, e comincio a capire che abbiamo in comune alcune qualità, che nel Tempo Antico non hanno mai avuto molta influenza; per esempio, siamo capaci di amare senza gelosia. Sappiamo godere la gioia di rimanere individui singoli pur apprezzando la comunione che abbiamo tra noi.
— La gelosia era così importante nel Tempo Antico?
— L’anno del Disastro io avevo tredici anni. Avevo visto poca gelosia, ma la mia era una famiglia rara per gli Armi Novanta… I miei genitori mi diedero non soltanto amore, ma anche un’istruzione. La tradizione sociale era carica di gelosia, e c’era ancora gente che ne faceva una virtù. Era cominciato a cambiare venti o trent’anni prima che io nascessi. Alcuni dei giovani, negli anni 1960 e 1970, erano riusciti a portare pace e generosità nella libertà sessuale che le generazioni precedenti avevano conquistato solo in parte e con molte amarezze. Il Disastro pose fine a molte promesse fulgide. Bene, la nostra Compagnia ha i suoi difetti, e finora non abbiamo subito molte prove, ma finora non ho visto né crudeltà né meschinità né avidità né egoismo.
— Non ce n’è neppure qui tra noi, Demetrios. Nod e Wynken ed io siamo amanti naturali da più di tre anni.
— Credo che possa accadere solo per piccoli gruppi, abbastanza piccoli per mantenere comunicazioni di grande sensibilità tra persona e persona… questo è l’importante. Il Tempo Antico, nella sua forma peggiore, era una civiltà urbana, incapace di capire l’importanza dei piccoli gruppi. Le comunicazioni di massa, che dovevano essere solo un servizio pubblico, diventarono un orrore dominante di stupidità omogeneizzata. I piccoli gruppi dimenticarono la loro importanza, cedettero senza lotta. Avrebbero dovuto ricordare che la famiglia o la tribù o la comune è al servizio dell’individuo. È il mostro necessario di Frankenstein, e non bisogna permettergli di ribellarsi al suo creatore, o si scatena l’inferno. Il villaggio, mostro più grande, è il servitore della famiglia, e il lontano governo centrale, se deve esserci, il mostro più grande e più brutto, è il servitore del villaggio, e dovrebbe essere in comunicazione diretta con questo, dovrebbe essere direttamente responsabile. Ma tra i tumulti e i terrori del Tempo Antico, questa semplice idea, essenza ovvia del governo rappresentativo, non poteva più imporsi. Non era pratica! Non era pratica! Non lo era, infatti, quando la politica e gli interessi erano diventati troppo ingombranti… Bene, forse quello che la nostra Compagnia sta iniziando non si realizzerà. Creare una repubblica è un compito per gli dèi, e noi non siamo dèi. Ma io ho questa mia idea di vecchio, e ho qualche momento di speranza.
— Ci serve un’isola, — disse Blynken. — Un’isola che risponda a certi requisiti.
Demetrios era felice. Spesso, in seguito, avrebbe goduto della abilità con cui Blynken accettava ciò che dicevi come una creazione da condividere, come se nelle vostre quattro mani reggeste un quadro nuovo e pensaste, da artisti mossi da un’unica devozione, che altro avreste potuto fare per renderlo vivo.
I rumori della folla cambiarono. — Diavolo, guai in vista! — disse Blynken; balzò in piedi per scostare la tenda. — Resta con me, amico, e tieni stretto quel bastone.
Il sole li abbagliò. C’era gente che correva… Non erano molti, ma in preda alla tensione, all’avido appetito per uno spettacolo di disastro che può dare anche a pochi l’aspetto e l’odore d’una moltitudine. Correvano incespicando verso la pista, il terreno spianato sotto il pendio del teatro naturale, e là, come fiori sbatacchiati dentro a un secchio d’acqua, Wynken e Nod, nei loro abiti sgargianti, cercavano di tenersi in equilibrio sulle schiene nude dei cavalli. Il giorno prima gli animali erano miti e dolci: Demetrios li aveva accarezzati, aveva visto Wynken, Frankie e Nod salire e scendere sul loro dorso. Ma adesso erano imbizzarriti.
Sgroppavano e si inalberavano: il cavallo di Wynken sbuffava, quello di Nod lanciava un nitrito frenetico, atterrito. H.F. riuscì ad afferrare la briglia sfuggita a Wynken; e venne trascinato qua e là come un vecchio ramo. Garth corse per aiutarlo e gridò a Demetrios: — Quei bastardi li hanno fatti imbizzarrire… con il pepe! Credono che sia divertente.
Mentre Demetrios scendeva in fretta (Blynken lo aveva già preceduto) vide Wynken perdere l’equilibrio e piombare a cavalcioni del collo fremente del suo animale: si salvò aggrappandosi alla criniera. La folla gridò entusiasta. Una voce strillò più forte di tutte: — Facci il numero porno, piccola! Spogliati! — Altri gli fecero eco, trovando un ritmo: — Spogliati! Spogliati! Piccola, spogliati!
Nod balzò a terra con un volteggio, con uno strattone fece girare la testa al suo cavallo, e con una sberla e un urlo lo lanciò alla cieca verso gli spettatori che smisero di ridere. Tra la folla, Bosco aveva appena sollevato di peso qualcuno scaraventandolo addosso a qualcun altro.
Secondo l’orologio al polso di Angus, la Battaglia di Trottersville cominciò alle 3:01 del pomeriggio di venerdì 26 luglio 47, quando egli senti il frastuono e varcò l’ingresso, con Brand che era un uragano al guinzaglio. La battaglia raggiunse un punto critico quando uno spettatore gracchiò: — Ripuliamo questo posto! — e un punto di maggiore intensità quando Angus lo colpì.
Tutto finì alle 3:05 quando Frankie balzò in piedi su un barile e urlò: — Si salvi chi può! Sono scappati i puma!
T.S. disse più tardi a Frankie che quella era la bugia più nobile dell’Anno 47… no, più probabilmente del decennio, o diciamo del secolo. Frankie aveva impiegato circa sessanta secondi a mettersi d’accordo con il signor Virgil e ad aiutarlo a nascondere la gabbia dietro a un carro, coprendola con un telone.
Durante quei quattro minuti, il bastone di Demetrios aveva centrato almeno una testa, ed egli sperava fosse di quel tale che aveva chiesto il numero porno, ma c’era troppa polvere per essere sicuro. Vide arrivare Angus con Brand, e si riposò un poco, ansimando, ma divertendosi quando Brand strappò il perizoma a qualcuno prima che Angus decidesse di trattenerlo. L’uomo aveva quasi l’aria del poliziotto, prima di perdere il pudore e di scappare via, ma non era probabile… forse era solo l’immaginazione accesa di Demetrios. Nel complesso, era stata una splendida rissa, anche se un po’ troppo faticosa per uno della sua età.
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