Edgar Pangborn - La compagnia della gloria
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- Название:La compagnia della gloria
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- Издательство:Nord
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- Год:1977
- Город:Milano
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Lasciando la Piazza della Forca si sale un’erta ripida per un paio di isolati, ed ecco il Palazzo del Comune. Situato all’inizio della salita piramidale della Città Interna, è un esempio d’architettura orribile; una casa tozza a due piani con un paio di finte colonne che incorniciano la porta, il tutto sormontato da una torre campanaria squadrata, che sarebbe bellissima se non fosse troppo grossa per l’edificio. Era stata costruita per sistemare una magnifica campana bronzea del Tempo Antico, recuperata tra le rovine di qualche chiesa, e risalente all’anno chissà. Le finte colonne sono alte due piani; se fossero vere, anziché pastrocchi di canne e d’intonaco, potrebbero realmente sorreggere la grande architrave che non c’è; ma poiché si limitano ad aggrapparsi all’edificio, come bende attorno a un ginocchio dolorante, in mezzo c’è posto per il piccolo portico presuntuoso detto «il Balcone», dal quale gli uomini di stato possono arringare la folla. Nel complesso, quell’orrore ricordava a Demetrios uno stile del secolo XIX che doveva essere andato perduto alla fine di quell’epoca rimpianta, ma che aveva lasciato il segno persino nel Missouri. Non si saprà mai chi fosse l’idiota che lo riesumò per la Repubblica del Re nell’Anno 24 dopo l’Olocausto, quando venne costruito il Palazzo del Comune. Non importa… quella maledetta torre campanaria è bella.
Acquattato davanti al suo prato spazioso, ben tenuto e piuttosto bello, con l’erba falciata regolarmente, il Palazzo del Comune è anche una delle quattro entrate nel muro alto due metri e mezzo, che cinge completamente la Città Interna e Mount Everlasting. Si passa per il corridoio centrale e… se avete un lasciapassare o se arrivate in compagnia di un abitante della Città Interna, uscite sull’ampia, bellissima via che corre all’interno del muro ed è chiamata Wall Street. Il muro forma una frangia alla base della piramide, e ha una circonferenza approssimativa di dodici miglia. La Natura aveva costruito la piramide di rocce primordiali, e gli uomini ci avevano aggiunto i pomelli. Il muro svolta qua e là per seguire i contorni dei fianchi delle colline, ma la forma piramidale è sempre evidente, rafforzata da una torre triangolare di pietra, in cima a Mount Everlasting. La torre fu costruita per ordine di Simon Bridgeman perché (diceva) egli voleva guardare il mondo nuovo che veniva a lui. Era stata l’ultima sua creazione che aveva visto completata; non si era mai trasferito nel lussuoso appartamento, in cima alla torre alta quindici metri, perché era stato assassinato una settimana dopo che era stato cementato l’ultimo mattone; e Brian I, Primo Dittatore della Repubblica del Re di Katskil (che amava i titoli semplificati, perché così si risparmiava tempo ed erano gli unici che conosceva) aveva decretato che la torre doveva restare su Mount Everlasting, quale eterno monumento alla memoria del grande e generoso spirito di Simon Bridgeman, il compianto salvatore del popolo e profeta del nuovo mondo. Amen: i venti l’investivano, e nel 47 gli appartamenti della torre erano occupati da Brian II, dalla sua regina e dalle sue concubine, e Demetrios non poteva andare oltre il Palazzo del Comune.
Salì la breve erta che portava al prato: ansimava solo un poco. La giornata era già afosa, come se egli portasse con sé una tristezza contagiosa dalla Piazza della Forca. Sul prato, alcune panchine erano occupate da sfaccendati; i poliziotti li scacciavano al tramontar del sole e quelli tornavano nelle ore tranquille. Sull’erba giaceva una bambola di pezza… quale bambina poteva abbandonare un’amica in quello stato? Demetrios la sistemò su una panchina vuota, con le gambe disposte decorosamente. Vide una tranquilla cagna gialla trotterellare verso il Palazzo del Comune; un bastardo nero e zelante la seguì annusandole i quarti posteriori, la bloccò e la montò sui gradini, mentre tre maschi più piccoli aspettavano il loro turno: e la cagna aveva l’aria paziente e compresa. Un poliziotto scese i gradini con una scopa in mano, ma si limitò ad appoggiarvisi. — Dove debbo andare a vedere per una licenza?
— Che genere di licenza?
— Per raccontare storie.
— Devi essere matto.
— Mi hanno detto che adesso ci vuole.
— Oh… già. Seconda porta a destra, chiedilo al sergente.
Demetrios passò tra le colonne intonacate ed entrò nell’acido odore d’urina della virtù cittadina. Varcando la seconda porta trovò la feccia umana della notte precedente raccolta in attesa. Per tutto arredamento c’erano due panche lunghe otto piedi, una scrivania al cui fianco stava una sputacchiera d’ottone del Tempo Antico, una sedia pesante su cui sedeva un sergente altrettanto pesante. In fondo c’era una porta chiusa, sulla quale era dipinta la parola LUOGOTENENTE. Lì, in attesa, c’erano tre vecchi ubriaconi, tra cui una vecchia paralizzata con le palpebre inferiori iniettate di sangue, che forse era già quasi al di là di ogni sofferenza; un uomo squallido sulla quarantina che parlottava con le proprie dita e stava attento che nessuno origliasse, e un giovanotto sparuto dagli occhi stravolti, forse ancora sotto l’effetto della marawan. Diedero a Demetrios l’impressione di pazienti nella sala d’aspetto d’una clinica… per il momento il dottor Giustizia è occupato. Gli ubriachi sarebbero stati messi in isolamento per un giorno o due. all’uomo che borbottava poteva essere fatta qualunque cosa, il giovanotto probabilmente sarebbe stato rilasciato dopo una ramanzina, a meno che le sue imprese notturne non avessero compreso anche lesioni personali o watergataggio. Demetrios aveva osservato, con il passare degli anni, che nella città-stato di Nuber non c’era l’abituale risentimento della civiltà verso i giovani. Erano così pochi, ormai! Forse il Tempo Antico non avrebbe dovuto considerarli sacrificabili come pupazzi di plastica, carne da cannone vietnamibile.
Tutti e cinque, più Demetrios, dovevano aspettare, fino a quando avrebbero imparato a memoria ogni crepa dell’intonaco dei muri, ogni dubbio grumo d’ombra nella paglia e nella segatura che coprivano il pavimento di pietra. Il potere maligno di fare aspettare e aspettare la gente è una caratteristica innata di tutte le burocrazie: sia che l’autocrate nebuloso al vertice sia un monarca, o un’oligarchia, o il cosiddetto popolo sovrano, l’odore psicologico delle anticamere è lo stesso dovunque.
— Sono venuto a vedere per la licenza di narratore… — Forse non si sarebbe dovuto rivolgere direttamente al sergente. Quello continuò a scrivere. Demetrios si. era quasi aspettato quella scortesia abituale, tipica della piccola autorità. Era irritante non riuscire a leggere a rovescio gli scarabocchi del sergente: forse quel poveraccio stava cercando di finire un libro. Dopo altri tuffi nel calamaio, la penna d’oca si fermò, ma non venne deposta.
— Chi hai detto di essere?
— Sono Demetrios. Mi hanno detto che mi occorre la licenza, per raccontare storie.
Incontrare lo sguardo incupito del sergente fu come guardare due occhi di ranocchio in fondo a un pozzo. Finalmente quello disse: — Non puoi trovarti un posto a sedere? Devi parlare con il tenente… io non c’entro con le licenze.
— Quale tenente?
— Bello, ne abbiamo uno solo in servizio. — A titolo di concessione alla stupidità, il sergente indicò con la penna la porta in fondo.
— Quando posso vedere il tenente Bello?
— Il tenente Brome… oh, credi di essere spiritoso?
— No.
— Non ti ci provare. Il tenente Brome è occupato. Aspetta il tuo turno.
Demetrios sedette accanto al giovanotto preoccupato. — Un’altra giornata calda.
— Qui dentro non si parla! — esclamò il sergente.
Il giovane si scostò… lui non aveva parlato, ma poteva essere colpevole per associazione. Forse l’invisibile tenente Brome era alto otto piedi. Un’ora fluì lentamente nel passato.
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