Al momento di rallentare la nave, Neil e Jensen operarono il dietro front e la spinta d’inversione cominciò a opporsi alla spinta in avanti.
Sulla Terra, la situazione era piuttosto stabile, pur nella sua gravità. La linea di difesa Chicago-Corpus Christi teneva, e ilMINESPOVnon si arrendeva. La propaganda infuriava ancora, e le masse cominciavano a far sentire la loro voce per mancanza di cibo e di beni di consumo. Alcune delle battaglie più sanguinose erano state combattute nella fascia coltivata a grano delle grandi pianure. Grandi aree di terreno agricolo fertile erano state devastate, e sarebbe stato sicuramente difficile seminare per i raccolti di primavera.
Non era più possibile liquidare con una semplice frase di disprezzo il senatore del New Mexico, perché si era rivelato lui l’uomo al comando delle forze radicali, e adesso lo si citava per lo più col suo nome e cognome: John V. Shaw. Si era dimostrato non solo un abile organizzatore, ma anche un brillante tattico in campo militare. Shaw stava predicando alle masse il vangelo della rivolta, prometteva di ritirare dallo spazio tutti i fannulloni che lo popolavano, di eliminare le astronavi trasformandole in terreno coltivabile capace di produrre cibo, di dare alla popolazione una nuova forma di libertà. Quale, ancora non era chiaro. Era chiaro invece che il messaggio del senatore diventava sempre più attraente per le masse, a mano a mano che il cibo diventava sempre più scarso.
L’equipaggio della Kennedy era convinto che fosse solo una questione di tempo, e che prima o poi milioni di persone affamate si sarebbero convertite alla causa di Shaw. La fame è la cosa che più di ogni altra rende la gente schiava di chi promette, e vasti segmenti dell’est metropolitano si sarebbero trovati ad affrontare la carestia col sopraggiungere dell’inverno. Il momento era critico. J.J. disse che bisognava portare a termine in fretta la missione, e cercare di tornare sulla Terra per il periodo di Natale.
— Credo che tu sia un po’ troppo ottimista, J.J. — disse Dom. — In questo modo concedi troppo poco tempo alla discesa nell’atmosfera, all’individuazione della nave, e al suo salvataggio.
— Ce la faremo — disse J.J.
— È un pianeta molto grande — disse Art.
— Potremo stabilire la direzione basandoci sul segnale radio — disse J.J. — Non sarà difficile localizzare la nave.
— C’è sempre qualche difficoltà nelle situazioni nuove — disse Neil. — Tenete a mente che ci troviamo a bordo di una nave non ben collaudata, e in una situazione estremamente delicata.
— Che importanza ha il collaudo in un caso del genere? — disse J.J. — È una faccenda molto semplice. O ce la fa, o non ce la fa. Nell’atmosfera ci deve penetrare, questo è chiaro. Dovrebbe andarci comunque, se si volesse collaudare lo scafo, quindi perché stare tanto a cincischiare? Ci andiamo, e basta. Se la nave non imploderà, riusciremo anche a tornare fuori. Perché preoccuparsi?
— È facile a dirsi — disse Ellen.
— Non entreremo nell’atmosfera senza avere prima collaudato lo scafo — disse Dom, deciso. J.J. lo guardò. — Non intendo abbassarmi al livello dei terristi, J.J. — disse Dom. — Alla mia vita do un valore. Do un valore a tutte le vite che sono a bordo di questa astronave. Perciò cacceremo il naso dentro, valuteremo l’efficacia della pressurizzazione dello scafo, e poi avanzeremo per gradi.
— E se non sarai soddisfatto di qualcosa? — disse J.J.
— La decisione spetterà a me — disse Dom. — Mi prenderò io la responsabilità.
— Mi chiedo solo se varrebbe la pena tornare, se fallissimo — disse J.J.
— È umano aggrapparsi alla vita anche quando non c’è alcuna speranza — disse Dom.
— Specie per uno come te che si è appena sposato — disse J.J.
Dom guardò J.J. dritto negli occhi. — Mi offendi, J.J. La mia vita privata riguarda solo me, almeno finché non mi trattiene dal compiere il mio dovere. Ti sfido a trovare anche un solo esempio di mancanza da parte mia: i miei fatti privati non hanno mai influenzato le mie decisioni, né mi hanno mai allontanato dal compimento dei miei doveri.
— Scusami, Flash — disse J.J. — Sono preoccupato, ecco tutto.
— Lo siamo tutti — disse Doris.
Dom mise al lavoro l’equipaggio su prove di funzionamento riguardanti la prossima discesa. Era un po’ presto per farlo, ma stavano diventando nervosi, e le prove servivano a tenerli occupati. Non concesse più neanche un attimo alla sua privacy. Dom e Doris evitarono accuratamente di stare da soli, come per dimostrare agli altri che il loro matrimonio non aveva influenzato in alcun modo il loro rendimento.
Tre giorni prima di entrare in orbita attorno al gigante gassoso, la Kennedy captò il segnale della nave aliena. Pareva un miracolo che quel segnale ci fosse ancora e che avesse la stessa intensità di molti mesi prima, quando la Kennedy si limitava ad essere ancora un sogno e un insieme di dati contraddittori nel computer delMINESPOV. Il fatto che la nave fosse ancora là a inviare segnali rinforzava la teoria secondo la quale si sarebbe trovata intrappolata nell’atmosfera di Giove, e sarebbe stata incapace di sfuggire al campo gravitazionale del pianeta gassoso.
— Se c’è qualcuno a bordo di essa — disse Art — sarà felice di vederci.
Nei giorni precedenti l’entrata in orbita, Doris fu molto indaffarata col computer. Controllò e ricontrollò tutti i dati. Il compito di mettere la nave in orbita e poi di farla scendere con grande delicatezza nell’atmosfera spettava a Doris. I dati forniti dal computer di bordo dovevano essere più che esatti, per dare le informazioni giuste ai meccanismi automatici e a Neil.
Superarono l’ultima nave pattuglia e ricevettero gli auguri di buona fortuna dall’equipaggio. Dal punto di vista delle distanze spaziali, erano praticamente porta a porta con la nave pattuglia, ma ne erano ugualmente abbastanza lontani da non vederla. L’altra nave sarebbe rimasta in orbita a osservare la Kennedy scendere.
Ormai erano agli sgoccioli. La massa di Giove copriva metà dello spazio. I satelliti erano visibili a occhio nudo. La nave si mosse rapidamente attorno al pianeta, sopportando le sue radiazioni, il suo campo elettrico, la sua gravità. La Kennedy mostrò di funzionare perfettamente.
A causa della velocità di rotazione di Giove e della sua potente forza di gravità, la Kennedy sarebbe dovuta penetrare nell’atmosfera in fretta, molto in fretta. L’energia avrebbe dovuto essere costante, per controbilanciare la forza di gravità. Dopo che furono effettuate le prove dell’ultimo minuto, non ci furono più ordini formali. Il computer stabilì il momento e Neil non toccò nemmeno i comandi, quando la nave cominciò a scendere a spirale.
La Kennedy era minuscola vicino alla massa immensa del pianeta, una massa che era due volte e mezzo più pesante di quella di tutti gli altri pianeti del sistema solare messi assieme. L’astrocisterna procedette verso il pianeta, con l’energia e la velocità di discesa regolate dal computer di Doris. L’equipaggio ebbe la sensazione di cadere in un inferno di brillante fuoco giallo mentre orbitava dalla parte del Sole, e cominciò a vedere a occhio nudo il gigantesco uragano della zona tropicale sud, che soffiava da secoli alla velocità di molte centinaia di chilometri all’ora.
I gradienti del vento negli strati di atmosfera erano tremendi, e la massa minuscola dell’astronave era scossa pesantemente dalla turbolenza atmosferica. Mentre la nave scendeva sempre di più, ciascun membro dell’equipaggio era perfettamente consapevole che se l’energia fosse venuta meno, la Kennedy sarebbe stata afferrata dall’intensa forza gravitazionale, che era tre volte quella della Terra, e che la pressione fuori si sarebbe accumulata paurosamente. La nave, trascinata inesorabilmente in giù, avrebbe attraversato una zona di cristalli d’ammoniaca ghiacciata, poi una zona di ammoniaca liquida e infine la zona di composti colorati che davano all’atmosfera il suo caratteristico colore giallo. Nella loro tragica corsa in giù sarebbero passati accanto a cristalli di ghiaccio e poi a una zona di vapore acqueo, e sarebbero morti tutti prima ancora che i resti schiacciati della nave precipitassero in una zona di idrogeno liquido molecolare. Poi, quando la pressione fosse arrivata a tre milioni di atmosfere, quel che fosse rimasto della nave sarebbe passato in una zona di transizione fra l’idrogeno liquido molecolare e l’idrogeno liquido metallico, e la temperatura sarebbe salita, fondendo i resti della Kennedy e i resti ancora più insignificanti del suo equipaggio terrestre.
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