Zach Hughes - Segnali da Giove

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Segnali da Giove: краткое содержание, описание и аннотация

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Da osservazioni raccolte sulla Terra risulta che nella bassa atmosfera di Giove è entrato qualcosa da cui cominciano a pervenire dei segnali. Un Ufo? La deduzione sembrerebbe inevitabile dal momento che nessuna astronave terrestre è ancora mai penetrata laggiù. Ma Zach Hughes — autore dell’indimenticabile Il campo degli Ufo e specialista di fantascienza spaziale non può certamente accontentarsi di una spiegazione così semplice…

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Marte era tutt’altro che un pianeta dalla superficie liscia. L’enorme cono vulcanico dalla forma a scudo, il Monte Olimpo, era presente ora all’orizzonte, e la sua altezza era impressionante perfino vista a quella distanza dallo spazio.

— È alto tre volte l’Everest — disse Dom. — Ventiquattro chilometri.

— Che montagna! — disse Doris. — Credo che non mi andrebbe molto di scalarla.

— Non sarebbe poi così dura — disse Dom. — Ricordati che la gravità su Marte è meno di metà di quella della Terra. L’unica parte difficile della scalata è quella che riguarda la zona più bassa, e questo per via dei venti. Ho visto venti soffiare a trecento chilometri all’ora sui pendii più bassi. Ma nessuno si disturba a scalare quel monte. È troppo facile prendere una navetta e farla atterrare sulla cima. Se troveremo il tempo ti ci porterò. Credo che ti piacerebbe.

Dallo spazio, Marte sembrava un pianeta consumato fino all’osso. Un antico alveo di fiume, con gli affluenti che si diramavano da esso come vene da un’arteria, solcava una pianura butterata da crateri di meteoriti. Gli effetti dei venti marziani erano visibili nelle scie scure che si estendevano in fuori partendo dai crateri, e che segnavano il punto dove si erano depositate le particelle brillanti di polvere. Quando, grazie alla rotazione del pianeta, apparve alla vista la zona del canyon, Doris fu di nuovo impressionata dallo spettacolo. La gigantesca gola copriva un’area lunga quanto la distanza tra New York e San Francisco. Il principale crepaccio, la Forra di Titone, faceva sembrare i Gran Canyon del Colorado una ferita da niente. La bellezza aspra e terribile del pianeta diede a Doris un senso di commozione. Doris si appoggiò a Dom e gli posò una mano sul braccio.

— Una volta l’ho odiato, questo pianeta — disse.

— Perché? — disse lui, distratto.

— Perché ti ha portato via a me.

— È stato tanto tempo fa — disse Dom.

— Capisco perché Marte attiri tanto gli uomini — disse Doris. — Capisco, adesso, perché una volta che lo si è visto si sente il bisogno di tornarci.

— Ci sono diecimila persone laggiù — disse Dom, indicando le alte pianure vulcaniche nella zona di Eliade. — Vivono in abitazioni che darebbero alla maggior parte degli uomini che vivono sulla Terra un senso di claustrofobia. Respirano aria riciclata che hanno fabbricato loro stessi estraendo l’ossigeno dal terreno. Dipendono dalla Terra per la maggior parte delle risorse alimentari e dei manufatti. Ci sono cose meravigliose su Marte: minerali, pietre preziose, metalli. È un pianeta che non dovrà mai temere il sovraffollamento, perché non è nato per ospitare l’uomo. Ma può dare molto all’uomo. Su di esso ci sono abbastanza materie prime da soddisfare molti dei bisogni della Terra in tal senso. E noi cosa portiamo sulla Terra quando torniamo da Marte? Fertilizzanti!

— Ho sempre pensato che la politica seguita nei riguardi di Marte fosse tirchia con i centesimi e prodiga con le lire — disse Doris.

— Abbiamo già la tecnologia sufficiente a cambiare l’intero ambiente marziano — disse Dom. — Potremmo usare i motori nucleari per spostare solo un pochino i due satelliti, così da cambiare il moto del pianeta quel tanto da fargli ricevere più luce del sole ai poli. Le calotte si scioglierebbero, e il pianeta sarebbe più umido, più caldo, e quasi autosufficiente.

— T’immagini le urla di protesta degli adoratori della natura? — disse Doris ridendo. — T’immagini le cause che verrebbero intentate se il ministero annunciasse di voler cambiare l’ecologia di un intero pianeta?

— Il grido di battaglia sarebbe: «Anche i licheni hanno dei diritti!» — disse Dom.

I giganteschi motori della Kennedy la stavano facendo rallentare poco a poco. Marte era sospeso, rosso, enorme e bellissimo, sopra la nave. Cominciarono senza fretta i preparativi per l’atterraggio. Benché fosse enorme, la nave era in grado di atterrare e ripartire dal pianeta da sola, grazie alla bassa gravità. Neil la fece atterrare come se fosse una navetta di esplorazione enormemente più piccola della Kennedy. Gli uomini cominciarono a scaricare l’acqua che era quasi troppa per la capienza delle cisterne di Marte. Il lavoro si prospettava lungo, perché gli impianti di pompaggio erano stati progettati per quantità d’acqua molto inferiori.

Dom presentò Doris ai suoi vecchi amici, e la portò al museo a vedere i miseri resti dell’antica vita vegetale e animale estinta. Il museo gli faceva sempre venire tristezza, perché era fin troppo eloquente, in quello che mostrava. Marte un tempo era stato un pianeta vivo sia geologicamente, sia biologicamente. Gli scienziati discutevano tuttora sulle possibili cause dell’estinzione della vita. Al momento, la teoria più in auge era quella che dava la colpa a una variazione nell’attività del Sole. Secondo tale teoria, decine o centinaia di milioni di anni prima il Sole avrebbe irraggiato più energia. A quell’epoca l’acqua ora racchiusa nelle calotte polari si sarebbe trovata allo stato libero sul pianeta, l’atmosfera sarebbe stata più densa e l’umidità più forte, sicché ci sarebbero state le condizioni per lo sviluppo della vita, sia animale, sia vegetale.

Dom era molto favorevole a quella teoria, la cui verità non poteva essere né dimostrata, né confutata. La natura di una stella è tale per cui in un corpo della grandezza del sole l’energia liberata nel nucleo ha bisogno di circa otto milioni di anni per farsi strada fino alla superficie, dove viene irraggiata fino ai pianeti in pochi minuti. L’attività sulla superficie del Sole, la luce che cadeva su Marte quel giorno, rappresentava il risultato di ciò che era avvenuto nel nucleo milioni di anni prima, e non dava modo di sapere quale fosse l’attività nel nucleo stesso in quel momento. Tuttavia, se Marte fosse stato influenzato da un cambiamento brusco di attività del Sole, la Terra avrebbe subito le stesse influenze. Naturalmente sulla Terra c’erano moltissimi reperti che testimoniavano che le condizioni erano cambiate. Le interpretazioni che si potevano dare di tali reperti erano tante.

Le felci fossili e i coralli delle zone artiche si potevano spiegare in vari modi diversi; le due teorie più in auge erano quelle della variazione dell’attività solare, e quella della deriva dei continenti. Attualmente la favorita era la prima, perché serviva anche a spiegare come mai Marte, da pianeta vivo, fosse diventato un pianeta morto la cui unica forma di vita, quando Trelawny vi aveva messo piede per la prima volta, si era rivelata il lichene.

Dom non era convinto di nessuna delle due teorie, che secondo lui lasciavano degli interrogativi irrisolti. La presenza di mammut nelle distese di ghiaccio dell’Alaska e della Siberia, e il fatto che la loro carne, dopo migliaia di anni, poteva ancora essere usata come cibo per i cani da slitta, non erano stati spiegati affatto dai sostenitori delle due teorie. In realtà, gli scienziati avevano semplicemente fatto finta che il problema dei mammut congelati non esistesse.

Dom pensava che la spiegazione potesse attingere sia all’una, sia all’altra ipotesi, con l’aggiunta di alcune cose ancora non teorizzate. Non che lui riuscisse a immaginare queste ultime, ma riteneva che la deriva dei continenti avesse una parte ben precisa nella faccenda. Le prove portate da quelli che studiavano la tettonica a placche erano molto convincenti.

Una cosa era studiare il passato della Terra, un’altra studiare il passato di Marte guardando i patetici resti che testimoniavano come qualche forza terribile avesse trasformato un pianeta vivo in un pianeta morto. L’antica idea romantica di una civiltà marziana scomparsa era già da tempo screditata, ma la vita sul pianeta c’era stata, una vita molto simile a quella della Terra, ed era andata distrutta, eccezion fatta per i licheni.

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