Zach Hughes - Segnali da Giove

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Segnali da Giove: краткое содержание, описание и аннотация

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Da osservazioni raccolte sulla Terra risulta che nella bassa atmosfera di Giove è entrato qualcosa da cui cominciano a pervenire dei segnali. Un Ufo? La deduzione sembrerebbe inevitabile dal momento che nessuna astronave terrestre è ancora mai penetrata laggiù. Ma Zach Hughes — autore dell’indimenticabile Il campo degli Ufo e specialista di fantascienza spaziale non può certamente accontentarsi di una spiegazione così semplice…

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La navetta era in cima ai ventiquattro chilometri del Monte Olimpo.

— E non intendo sentirmi in colpa per il fatto di essere felice — continuò Doris.

— Sì, certo — disse lui.

Le notizie provenienti dalla Terra erano cattive. All’ovest i terristi guadagnavano terreno sempre più. I preziosi impianti spaziali delMINESPOVerano sotto assedio, ed erano collegati con il mondo solo da un ponte aereo. Correva voce che fosse opportuno evacuare ilMINESPOVper concentrare la difesa all’est. Se ilMINESPOVfosse stato abbandonato, tutti i suoi preziosi impianti avrebbero dovuto essere distrutti. Sarebbe stato uno spreco terribile. Inoltre, scomparso ilMINESPOV,sarebbe bastato colpire il centro di Houston per lasciare ilMINESsenza il modo di comunicare con le sue navi nello spazio. J.J. segnalò che non rinunciassero a nessun costo alMINESPOV.

IlMINESaveva naturalmente il controllo della Luna, dove era stato installato un posto di comando. Per compensare la possibile perdita delMINESPOV, eranostate lanciate da Cape Canaveral delle potenti apparecchiature di comunicazione, e adesso la Kennedy poteva comunicare direttamente col posto di comando sulla Luna.

Dom si meravigliò di scoprire che J.J. era considerato da quelli che erano sulla Luna una persona molto potente e importante. J.J. riceveva regolari rapporti sulla situazione.

Nonostante la situazione sulla Terra fosse drammatica, era incoraggiante il fatto che la grande maggioranza della gente si limitasse tuttora a stare a guardare senza prendere posizione. Entrambe le parti in lotta diventavano agnellini quando si trattava di ingraziarsi il popolino. I profughi provenienti dalle zone di battaglia vivevano con più lussi della maggior parte dei cittadini che non erano dovuti fuggire dalle loro case. Sia il governo sia i terristi dividevano il loro cibo, i loro rifornimenti e le loro attrezzature mediche con i profughi. Le forze armate e ciò che restava del governo erano riusciti a impadronirsi di vasti depositi di materiali e di viveri, ed erano meno stressati dei ribelli.

A volte i combattimenti erano violenti e sanguinosi, ma la vera battaglia si combatteva nella mente delle masse che non avevano ancora preso posizione. La propaganda che proveniva dalle due parti in lotta prometteva un futuro di latte e miele.

Dom sapeva benissimo cosa intendesse Doris col discorso del sentirsi in colpa. Mentre il mondo si trovava davanti a una crisi gravissima, lui passava i giorni più felici della sua vita lì su Marte. Quando non erano impegnati col turno di guardia, lui e Doris erano liberi di andare in esplorazione: la gita in cima al Monte Olimpo era solo una delle molte escursioni che avevano fatto in attesa che tutta l’acqua della stiva fosse scaricata.

Poiché le navette erano a propulsione solare, non era dispendioso viaggiare. Dom era stato innumerevoli volte su Marte, e sapeva quali erano le ore migliori dal punto di vista delle ombre e delle luci per vedere l’enorme canyon. Sapeva anche qual era il punto più panoramico in cima al Monte Olimpo e quando c’era andato con la moglie quello spettacolo a lui noto gli era piaciuto forse di più per via della contentezza che aveva mostrato Doris.

Durante il periodo di attesa parlarono anche con l’equipaggio della Callisto Explorer, che aveva visto la nave aliena tuffarsi nell’atmosfera di Giove. Quegli uomini avevano visto la nave e udito i deboli segnali che venivano ancora trasmessi dall’interno dell’atmosfera gassosa dell’enorme pianeta. Mentre era di guardia, Dom poté parlare direttamente con la nave radar che stava nelle vicinanze di Giove apposta per captare i segnali. Mentre si manteneva in ascolto, la nave pattuglia prendeva campioni di atmosfera dei satelliti più grandi di Giove. Dom parlò spesso con l’altro Comandante.

Il segnale era troppo debole per poter essere raccolto dai ricevitori della Kennedy, ma la nave pattuglia riuscì a trasmetterlo a mezzo di relè. Dom fece dozzine di registrazioni per studiarselo. Gli alieni trasmettevano su una delle frequenze naturali, ovvero sui 1420 megahertz. Il segnale era semplice e breve, così breve che era difficile pensare di decodificarlo. Tuttavia Dom si sentiva più vicino alla meta, adesso che attraverso la nave pattuglia era riuscito a sentire anche lui il messaggio degli alieni.

Parlando con l’equipaggio della nave pattuglia, Doris rimase impressionata dalle parole di un giovane spaziale.

— Quando ci siete vicini — disse — il pianeta inghiotte tutto lo spazio e giganteggia talmente sopra la vostra testa, che vi svegliate coi sudori freddi pensando che stia per precipitarvi addosso.

Tutti quelli che erano stati vicini a Giove erano rimasti impressionati dalla mole del pianeta.

Una delle cose che a Dom piacevano di più di Marte era il senso di solidarietà che caratterizzava la gente della base. Tutti avvertivano la cordialità di quella popolazione, e tutti ne partecipavano: i visitatori temporanei, gli spaziali, i coloni stabili, gli scienziati. L’asprezza del suolo, i milioni di chilometri che separavano il pianeta dalla Terra, lo strano aspetto del Sole, che nel cielo era due terzi più piccolo di come appariva visto dalla Terra, erano tutti elementi che contribuivano a far sentire le persone più vicine l’una all’altra. Nonostante le guardie armate che circondavano costantemente la Kennedy, era difficile credere che la guerra che si svolgeva sulla Terra potesse avere un’influenza su Marte. Dom era convinto che se un fanatico terrista avesse potuto infiltrarsi nella marina spaziale e arrivare fino a Marte, poi sarebbe rimasto colpito dal senso di serenità e di collaborazione condiviso da tutti gli spaziali, e avrebbe dimenticato le sue idee per diventare solo uno spaziale. Quanto si sbagliasse fu dimostrato dal tentativo di attaccare una mina al quarto razzo di sinistra della Kennedy, attentato effettuato da uno spaziale soldato semplice che aveva alle spalle dodici anni di servizio. Colto in flagrante, l’uomo trascinò con sé nella morte due marines spaziali. I tre cadaveri furono portati nel piccolo cimitero della stazione di Marte.

Quell’incidente turbò un po’ la gioia e la felicità che Dom sentiva da quando Doris gli aveva detto di sì quella notte, nella sala di controllo. Pensare che le follie della Terra potessero contaminare Marte gli dava un senso di depressione. Fu contento quando la stiva fu richiusa e pressurizzata e la Kennedy fu di nuovo pronta a partire.

La parte più lunga del viaggio era ancora da venire. Avevano percorso circa la metà di un’unità astronomica per raggiungere Marte, ovvero la metà della distanza tra la Terra e il Sole: in una parola, circa settantacinque milioni di chilometri. La distanza tra Marte e Giove era di circa tre unità astronomiche e tre quarti, vale a dire qualcosa come cinquecentottanta milioni di chilometri. Quando si cominciava a pensare a cifre del genere, la mente tendeva a rifiutare l’idea di uno spazio così vasto, e a pensare al viaggio in termini di mesi. A Dom piaceva ricordare che i pionieri avevano impiegato, per andare con le carovane dal Midwest alla costa del Pacifico quanto ci impiegava adesso una nave per andare dall’orbita di Marte a quella di Giove. La Kennedy, col suo potere illimitato d’accelerazione, era ottima per le grandi distanze. Riusciva a guadagnare velocità in fretta, aveva un’elevata velocità di crociera, e rallentava più in fretta delle navi tradizionali.

Dopo un’accurata ispezione della nave, che venne effettuata anche se nessun uomo dello staff di Marte era salito a bordo, tutti quanti tornarono alla comoda routine che si era stabilita durante le ultime settimane del viaggio verso Marte. I motori di Jensen spinsero, e poi si riposarono. L’accelerazione continuò fino a ben oltre metà strada. Vicino a Giove era ancora in ascolto una nave pattuglia, e chi era di turno sull’una o sull’altra nave fu felice di trovare compagnia nella vastità dello spazio, e di parlare usando a volte così poca energia da non trasmettere nemmeno fino alla Terra quello che veniva detto in modo molto informale.

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