Zach Hughes - Segnali da Giove

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Segnali da Giove: краткое содержание, описание и аннотация

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Da osservazioni raccolte sulla Terra risulta che nella bassa atmosfera di Giove è entrato qualcosa da cui cominciano a pervenire dei segnali. Un Ufo? La deduzione sembrerebbe inevitabile dal momento che nessuna astronave terrestre è ancora mai penetrata laggiù. Ma Zach Hughes — autore dell’indimenticabile Il campo degli Ufo e specialista di fantascienza spaziale non può certamente accontentarsi di una spiegazione così semplice…

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Doris intuì lo stato d’animo di Dom, il suo momento di malinconia. Propose di andare a consumare un pasto e a prendere un caffè nella principale tavola calda di Marte. Sarebbe stato bello, pensò, stare di nuovo in mezzo alla gente, sentirla parlare, sentire tangibilmente la sua presenza.

Il pasto era a base di proteine coltivate, il caffè era caldo e forte. Chiacchierarono con i due minatori seduti al tavolo vicino al loro, fumarono lentamente le loro sigarette, poi andarono in superficie a prendere la navetta per tornare alla Kennedy. Il giorno marziano di ventiquattr’ore stava per finire quando salirono a bordo. Ellen e J.J. erano di guardia, ed erano ansiosi di finire il loro turno per andare anche loro nelle cupole. Significava solo passare da un ambiente chiuso all’altro, ma era un diversivo per chi era ormai annoiato dalla vita di bordo.

Rimasti soli sulla nave, Dom e Doris si sedettero nella sala di controllo, dove si aveva la vista migliore, presero un bicchiere di vino dalla loro razione personale, e guardarono i piccoli satelliti farsi più brillanti a mano a mano che sul pianeta calava la notte. Nonostante il buio, né Dom né Doris attivarono il sistema di illuminazione.

Dom sentì sempre di più la vicinanza di Doris. E alla fine Doris si abbandonò tra le sue braccia senza protestare. Le sue labbra erano dolcissime. Dom avvertì un senso di possessività e di gioia. Lei era sua, era la sua ragazza, la sua donna. Il pianeta morto davanti all’oblò panoramico pareva dare maggior risalto al loro essere vivi. Erano soli, e sembrava che solo le loro due vite potessero smentire la triste realtà di quel pianeta deserto, là fuori, e della sua superficie fredda e senza aria. Molto lontano da lì, il loro mondo ancora una volta era dilaniato dalle lotte fra i suoi abitanti. Ancora più lontano, c’era una gigante gassosa con un campo gravitazionale micidiale e una pressione mostruosa. Dietro di loro c’erano lotte e incertezze, davanti c’era il pericolo. Il bacio tra Dom e Doris servì come a riaffermare il fatto che per il momento, se non altro, erano vivi. Ma in passato era stato stretto un accordo preciso tra loro.

Dom se ne ricordò e, col respiro affrettato e il cuore che gli batteva forte, la respinse. — Sarà meglio che ti metta in salvo, ragazza mia — sussurrò.

— Non è giusto — disse lei. — Non costringermi a prendere decisioni per tutti e due.

— Le donne scarseggiano su Marte — disse Dom. — Così le cose vengono semplificate al massimo. Non c’è un fidanzamento prematrimoniale. Su Marte si ritiene che non si debba sprecare un solo momento.

— Magnifico — disse Doris.

— Eh?

— D’accordo, cercherò di essere chiara, in modo che perfino un uomo riesca a capire. Sì — disse lei.

— Sì? — disse Dom.

— Sì — scandì lei. — Sì.

— Sei sicura?

— Adesso sembra che sia tu a non essere sicuro — disse Doris, dandogli un piccolo pugno su un braccio. — Senti, mi sento così piccola e tanto insignificante in questo grande universo. Voglio che qualcuno mi rassicuri. Credo di essere molto femmina, perché quello di cui ho bisogno è la sicurezza e la tranquillità che mi danno le tue braccia intorno al mio corpo.

Lui l’abbracciò di slancio, felice. Poi si mise in contatto col controllo terra e fece le sue richieste. Il prete arrivò a bordo della Kennedy nel giro di un’ ora, e diede a Doris appena il tempo di indossare la sua uniforme più bella. Mancando il resto dell’equipaggio, alla breve cerimonia fecero da testimoni due uomini dello staff addetto agli atterraggi. L’evviva alla sposa fu fatto con un brindisi a base di acqua fredda e limpida.

Dom e Doris rimasero di nuovo soli. In un primo tempo ci fu un certo imbarazzo tra loro. Erano nella cabina di Dom che, essendo quella del Comandante, era la più grande. Dom aiutò Doris a trasportareipochi oggetti personali nella stanza, poi tutt’e due bevvero ancora un po’ di vino. Alla fine si strinsero uno vicino all’altra, come a difendersi dalla lunga, triste notte esterna. Doris era ancora più dolce di come Dom la ricordava, e rappresentava tutto quello che lui avesse mai sognato.

La mattina dopo, di buon’ ora, Dom si svegliò e rimase ad ascoltare il lieve respiro della moglie, che ogni tanto ronfava appena, come un gatto che facesse le fusa. Dom si sentì commosso, sorrise guardando il viso di Doris, e gli vennero quasi le lacrime agli occhi per la felicità.

La nave emetteva i suoi soliti ronzii, intorno a loro. Da qualche parte nell’interno della Kennedy si sentì il rumore di un servomeccanismo, e Dom provò ancora una volta la soddisfazione di chi sa di essere su una nave viva. La nave aveva veramente una sua vita. Funzionava dando ordini a se stessa attraverso i complessi circuiti, i chilometri e chilometri di fili. Viveva lei, e permetteva all’equipaggio di vivere. Questo finché i macchinari costruiti dall’uomo avessero continuato a depurare l’aria…

Dom provò una fitta di paura. Doris si mosse nel sonno e posò una delle sue lunghe gambe morbide sopra le sue. Doris era così dolce e tenera, pensò Dom, e lo spazio fuori era così spietato e indifferente all’uomo. Sì, Doris viveva, ma solo perché la nave che lui aveva progettato le forniva l’ambiente adatto. Finché la Kennedy avesse resistito al’freddo e al vuoto, finché lo scafo avesse resistito alla pressione pazzesca dell’atmosfera di Giove, Doris avrebbe continuato a vivere.

La nave li avrebbe portati là e li avrebbe riportati indietro, di questo Dom era sicuro; non aveva presentimenti cattivi, e d’altronde non credeva nemmeno ai presentimenti.

Ma, si disse, che fosse stato un errore quel loro matrimonio? Forse avrebbero dovuto aspettare…

Adesso che aveva conosciuto i caldi recessi umidi del corpo di Doris, adesso che aveva conosciuto il calore dei suoi abbracci e il desiderio che esprimevano le sue labbra e il suo corpo, non avrebbe forse corso il rischio di sbagliare per eccessiva prudenza, pensando a lei?

Così dovevano essere state le cose ai primordi, pensò, quando il primo uomo aveva guardato la sua donna con così tanto desiderio da temere di perderla. Così doveva essere stato agli albori della civiltà, pensò Dom, quando le prime città offrivano protezione contro i crudeli selvaggi che volevano fare la guerra.

Durante tutta la storia e la preistoria, ogni uomo che avesse guardato la sua donna dormire doveva avere provato le stesse paure, fatto gli stessi sogni, temuto nello stesso modo la morte prima del tempo, pur temendola di per sé come evento naturale. L’uomo degli albori della storia proteggeva la sua donna dalle bestie e dalle brame degli altri uomini; e Dominic Gordon, mentre giaceva sveglio accanto a Doris che dormiva, fece il voto di proteggere sua moglie dall’ambiente ostile e dagli altri uomini. L’avrebbe difesa con le unghie e con i denti, nonché con l’esperienza e l’intelligenza. L’avrebbe condotta nell’atmosfera densa di Giove ed esposta così a grande pericolo; e se fossero sopravvissuti, avrebbero dovuto affrontare la rinnovata ferocia dei barbari della Terra.

Non sapeva bene come avrebbe fatto a proteggerla, ma era fermamente convinto che ci sarebbe riuscito. Avrebbe lottato perché l’ambiente fosse sicuro per la sua donna, e per tutte le donne.

Si addormentò, e sognò sangue e uccisioni; sognò di uccidere terristi e salvamondo e tutti quelli che volevano trasformare il suo pianeta in un’arena insanguinata.

Quando la luce si levò all’orizzonte, a est, i servomeccanismi della Kennedy compensarono il cambiamento di temperatura dello scafo. Il Sole, rimpicciolito dalla distanza, appariva ugualmente potente, mentre si levava sopra le montagne aspre ed erose.

— Sono sfrontatamente felice — disse Doris.

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