— D’accordo — disse J.J. — ma se l’Ufo non fosse una nave a propulsione iperveloce? Se fosse soltanto una sonda senza equipaggio in viaggio da secoli? Certo, l’ipervelocità risolverebbe tutti i nostri problemi, ammesso che ci siano pianeti ricchi e disabitati, negli spazi lontani. Ma che cosa risolverebbe i nostri problemi a breve termine, allontanando lo spettro della guerra civile e dandoci la possibilità di costruire le astronavi?
— È semplice — disse Ellen. — Il cibo.
— Il cibo — disse J.J. — Tutti i nostri sforzi negli ultimi tempi hanno avuto come scopo il procacciamento del cibo. Ora stiamo dirigendoci verso Giove per cercare di ricuperare una nave aliena che speriamo possa indirizzare la nostra razza verso nuove risorse di cibo. Il cibo è la chiave di tutto. L’uomo o il gruppo di uomini capaci di dare cibo in quantità sufficiente all’umanità potrebbero controllare agevolmente tutto il mondo senza bisogno di una rivoluzione armata. Siete d’accordo?
— State per caso dicendo che se noi, come dite, riportassimo indietro l’Ufo, la marina spaziale avrebbe una forte voce in capitolo nell’ambito politico? — disse Doris.
— Perché, non dovrebbe averla, forse? — replicò J.J.
— Allora stiamo andando su Giove per poter dire al nostro prossimo cosa deve o non deve fare? — disse Doris.
— No, cavoli — disse J.J. — Stiamo andando su Giove a prendere qualche pagnotta. — Allargò le braccia. — Ma perché, chi preferireste che governasse, la marina spaziale, o uomini come il senatore del New Mexico?
— Conoscendo certi pezzi grossi della marina spaziale, non è mica tanto facile fare una scelta — disse Dom.
— Flash, tu mi ferisci — disse J.J. Sorrise. — C’era una logica dietro i miei discorsi un po’ folli. Ho nominato quel signore del New Mexico, no? Be’, questa mattina, ora del Pacifico, ha annunciato che c’era lui dietro il movimento terrista. Ha detto inoltre di avere unificato tutte le forze radicali, con i due gruppi principali dei terristi e dei salva-mondo, e ha affermato che intende assumere il controllo assoluto del governo o con mezzi pacifici, o con le armi.
— Mio Dio — disse Doris.
Dom sentì un brivido di freddo corrergli lungo la schiena.
— Sarà la guerra civile — disse J.J. — Quando ritorneremo, ci toccherà prendere posizione.
— Se quando torneremo non sarà già finito tutto — disse Neil.
— Chi diavolo si opporrà a quelli? — disse Art. — Non certo il governo di Washington.
— Il Ministero dell’Esplorazione dello Spazio con tutte le varie branche della marina spaziale è intervenuto per dichiarare la propria fedeltà al governo — disse J.J.
— Il governo è zeppo di terristi e salvamondo — disse Dom.
— I radicali sono usciti dal Congresso accusandolo di essere uno strumento del totalitarismo. A Washington non restano che il Presidente, alcuni membri del suo gabinetto, e qualche coraggiosissimo esponente della sinistra.
— Che bella scelta! — disse Neil. — O i terroristi, o i cuori teneri!
— È l’unica scelta che abbiamo — disse J.J. — ma è facile capire che se riusciremo a radunare abbastanza forze da batterli, quando tutto sarà finito saremo noi a governare. Con noi intendo tutte le forze armate messe insieme.
— Ma la guerra è già cominciata? — chiese Ellen.
— Per il momento l’organizzazione è scarsa — sospirò J.J. — C’è un forte gruppo di radicali che dalla California si sta spingendo a est, e che man mano che procede raccoglie reclute. Il suo obiettivo è probabilmente il MINESPOV. Sono state prese un paio di basi del sud, un’armata e una base navale. Gli stati del sud e le basi marittime sono quelli che forniscono le truppe più fedeli. C’è una linea di difesa che corre pressappoco da Chicago alla costa del golfo del Texas.
— Reggerà? — chiese Neil.
— Questo, resta da vedersi. Da come appaiono le cose adesso, le forze armate, con l’esclusione di quelle spaziali, dove la percentuale di lealtà al governo è più alta, pare siano per il cinquanta per cento con i terristi.
— Si potrebbero buttare un po’ di bombe atomiche su quei bastardi, e farla finita — disse Paul.
— E così inquinare il paese — disse J.J.
— E lasciarlo talmente malridotto da farne facile preda per i radicali d’oltreoceano — disse Neil.
— In questo momento si sta combattendo una guerra limitata — disse J.J. — Non è facile ammazzare degli americani come noi. Non è il caso di usare armi nucleari nel proprio paese. Bisogna cercare di fare meno danni che si può e pregare che il vecchio uomo qualunque cada in piedi, come tante volte ha fatto. La volgare maggioranza silenziosa prima o poi staccherà gli occhi dalla tv e si accorgerà che le stanno sparando. Tutto dipenderà da quello che farà l’uomo qualunque. In questo momento si stanno fronteggiando due eserciti ancora abbastanza piccoli.
— Le masse determineranno l’esito della guerra ragionando con la loro intelligenza — disse Paul. — Ovvero scegliendo l’esercito che ha i generali più fotogenici e le uniformi più belle.
— Può darsi di sì come di no — disse J.J. — Uno dei primi risultati della guerra sarà la distruzione del sistema di distribuzione. La gente comincerà a cercare cibo tra le erbe dei campi. Quando succederà questo, si arriverà al punto cruciale. Se riusciremo a convincere la gente che la fame è il risultato della guerra iniziata dai radicali, potremmo portare molti dalla nostra parte. La nostra missione assume a questo punto un’importanza tutta nuova, perché se tornando indietro potremo promettere alla gente le stelle…
— E una volta arrivati al governo dalle stelle… — disse Neil.
Dom era come stordito. Quella frase, una volta arrivati al governo, gli martellava nella mente. Era come se… Ma fu Doris a dare voce ai suoi dubbi.
— J.J., voi sapevate che sarebbe successo, vero? Tutto il piano è stato organizzato tenendo conto di una possibile imminente rivoluzione.
— Posso dire che siamo importanti — disse J.J. — Molto importanti. E abbiamo l’appoggio di quello che resta del governo e di tutte le forze armate.
Vedere Marte da vicino era sempre un’esperienza eccitante per Dom. L’atmosfera sottile del pianeta permetteva di osservarne chiaramente la superficie. Una tempesta di sabbia a forma di ciclone soffiava a ovest delle pianure di Eliade, nell’emisfero sud. Lo strato di ghiaccio della zona polare nord brillava, e sembrava un gioiello bianco sulla sommità del globo. Doris era al fianco di Dom e guardava con grande interesse gli schermi, poiché era il suo primo viaggio su Marte.
Benché fosse arido, spietato, mortale per gli esseri umani che vi si avventurassero senza gli adeguati equipaggiamenti, Marte era la seconda patria di Dom. Negli ultimi anni aveva passato lì tanto tempo quanto ne aveva passato sulla Terra. Era orgoglioso di far parte dell’organizzazione che aveva reso possibile la presenza umana su Marte, e nello stesso tempo era amareggiato, perché gli avvenimenti terrestri ora più che mai minacciavano le strutture che erano state realizzate sul pianeta a costo di grandi sacrifici e perfino di qualche vita umana.
Nei giorni in cui restò a osservare il pianeta diventare un’ enorme sfera sospesa sopra la Kennedy, Dom parlò con Doris e le disse quello che pensava della politica riguardante Marte. Era una politica che veniva decisa sulla Terra, e che era confusa e contraddittoria.
— Prendi per esempio la Kennedy — le disse. — Con quello che è costata, avremmo potuto fornire un mucchio d’acqua all’intero pianeta per l’eternità. — Indicò i depositi di ghiaccio ai poli. — Là c’è abbastanza acqua da cambiare la faccia del pianeta — disse. — Se si potesse liberare tutta l’acqua imprigionata nelle calotte di ghiaccio, il pianeta si coprirebbe di uno strato liquido profondo circa dieci metri. È un calcolo teorico, che sarebbe esatto solo se il pianeta avesse una superficie liscia. Il fatto è che abbiamo speso miliardi per costruire questa nave che deve portare acqua su Marte, quando su Marte stesso c’è già un’enorme quantità d’acqua, o almeno ci sarebbe se avessimo i soldi e la mano d’opera per far sciogliere le calotte di ghiaccio.
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