— Mi dispiace di dover arrivare a questo — disse J.J. — Ma faremo il lavoro per cui siamo venuti.
— Non in questo modo — disse Dom.
— Non mi avete lasciato altra scelta.
— Siete uno contro sei — disse Neil. — Non potete stare all’erta in continuazione.
— J.J. — disse Dom — metti via quell’aggeggio. Se sei così convinto che si debba scendere, scenderemo. Siamo venuti fin qua di comune accordo. Scenderemo a tremila atmosfere di comune accordo.
— I miei più sinceri ringraziamenti — disse J.J.
— Pistola o no, resteremo a tremila atmosfere non più di sette giorni. Chiaro? — disse Dom.
— D’accordo — disse J.J.
— Sono d’accordo tutti? — chiese Dom. — Portiamo la nave a tremila atmosfere perché faccia quello che era venuta a fare, invece di correre il rischio che qualcuno venga ucciso nel tentativo di opporsi alla volontà di J.J.
Gli altri si dissero d’accordo.
— Ciascuno ai suoi posti — disse Dom. — Scendiamo. Non torneremo che con alcuni milioni di metri cubi di atmosfera di Giove nella stiva, ma voglio fare di tutto perché si torni sani e salvi.
Scesero piano e con cautela. L’equipaggio lavorò come niente fosse: l’incidente che aveva avuto a protagonista J.J. sembrava dimenticato. Dom dovette ammettere in cuor suo che non aveva mai cessato di desiderare di scendere a tremila atmosfere. Mentre la nave si avventurava in una zona dove l’uomo non era mai stato, Dom aveva quasi la sensazione di avvertire tangibilmente la pressione che si esercitava sullo scafo. La Kennedy procedeva con costanza, scossa da venti che soffiavano a centinaia di miglia l’ora, e difesa da essi soltanto dalla forza bruta della propulsione nucleare. Solo una volta la nave subì una deviazione a causa del vento, ma gli automatismi intervennero subito per compensare l’errore di rotta.
I sensori dello scafo denunciavano i cambiamenti nell’atmosfera. L’ammoniaca ghiacciata diventò ammoniaca liquida, poi la nave arrivò nella zona dei composti gialli. La pressione continuava inesorabilmente ad accumularsi. A duemila atmosfere l’aria dentro la nave sembrava viscosa, pesante, opprimente. Ma la Kennedy reagiva bene alle incredibili forze che le si opponevano, le giunzioni fatte con l’incollaggio porridge funzionavano come previsto, gli strumenti registravano che in tutte le zone dello scafo si era ancora abbondantemente entro i limiti di sicurezza.
La nave cominciò a emettere segnali, cercando di ottenere in risposta quello della nave aliena, ma non trovò altro che un’ atmosfera sempre più densa. Il pericolo che stava laggiù, sotto la Kennedy, andava oltre ogni immaginazione. La distanza coperta dalla nave orbitante alla velocità di una rotazione rapida non era certo un fattore che facilitasse la salvezza.
I venti di Giove soffiavano contro lo scafo con immensa furia. E la gravità del pianeta era sempre in agguato, pronta ad afferrare la Kennedy in caso l’energia fosse venuta a mancare, e ad attirarla verso il nucleo del pianeta.
I reparti abitati della nave si trovavano adesso fra due pressioni, quella dell’atmosfera esterna, e quella dell’atmosfera di Giove raccolta nella stiva. La Kennedy aveva moltiplicato il proprio peso incamerando i gas gioviani, ma i motori nucleari non ne avevano risentito minimamente.
A tremila atmosfere Neil cominciò a cercare l’Ufo, andando su e giù con la nave sempre alla stessa altitudine.
Un’analisi preliminare dell’atmosfera a quel punto rivelò la presenza di un’interessante serie di composti di idrogeno e carbonio, sicché fu confermata l’ipotesi secondo la quale gli strati gialli di Giove dovevano essere costituiti da quel genere di materia. Perché si potessero prendere campioni puri dello strato giallo, la stiva fu vuotata dell’ammoniaca che era stata immessa al livello più alto.
La ricerca continuò senza successo. J.J. si preoccupò personalmente che venissero scaricatiigas eiliquidi velenosi, e che nella stiva restasse solo il materiale raccolto a tremila atmosfere, nello strato giallo. Sembravastranamente allegro, nonostante il fatto, tutt’altro che confortante, della scomparsa della nave aliena, della quale non si trovava traccia. Quando J.J. fu sicuro che l’enorme stiva contenesse soltanto materiale dello strato giallo, entrò nella sala di controllo con un sorriso soddisfatto dipinto in viso.
— Flash, appena sei pronto puoi riportare la Kennedy a casa — disse.
C’erano voluti tre giorni terrestri per liberare la stiva e poi riempirla. — Abbiamo ancora qualche giorno — disse Dom.
— Abbiamo quello per cui siamo venuti — disse J.J.
Dom si chiese se non gli avesse dato di volta il cervello a causa dello stress. — Non vedo tracce di navi aliene nella stiva — disse.
— Non c’è nessuna nave aliena — disse J.J.
— Come dici, scusa? — disse Dom.
— Non c’è mai stata nessuna nave aliena — disse J.J. — Quel segnale veniva da una nave Explorer, una sonda automatica.
— A tremila atmosfere? — disse Dom guardando J.J. dritto negli occhi.
— A sole dieci atmosfere — disse J.J.
— Ma la nave pattuglia misurava… — cominciò Dom.
— Quello che i suoi strumenti erano destinati a misurare — disse J.J. — E le trasmissioni sono cessate dietro mio ordine.
— Mi sto sforzando di capire qualcosa del tuo discorso. — disse Dom cupo. Neil stava ascoltando con la fronte aggrottata. — Stai per caso dicendo — continuò Dom — che abbiamo costruito questa nave solo per venire qua a caricare un po’ di merda gioviana?
— Siamo venuti per vincere la guerra — disse J.J. — Allora, adesso che hai definito come credevi la roba presente nella stiva, proporrei di metterla a una pressione interna di duemila atmosfere e di tornarcene a casa.
— Sto aspettando una spiegazione — disse Dom.
— Hai mai letto la Bibbia? — disse J.J. ridendo.
— Alcune parti.
— Ti ricordi quella dove si parla della manna, ragazzo mio? Della manna proveniente dal cielo?
Sì, era chiaramente ammattito. Dom si sentì profondamente triste. Tutta quella fatica per niente. Il lavoro, i rischi mortali, la morte di Larry, i terribili momenti in cui Dom aveva avuto paura di non riuscire a gettare la bomba dei terristi nello spazio, tutto quanto era solo servito a soddisfare le manie di un uomo che ora si stava dimostrando chiaramente pazzo.
La manna dal cielo! Minerva che usciva già bell’è formata dalla testa di Giove, e chissà cos’altro.
— Neil — disse Dom, sentendosi di colpo molto stanco. — Portiamo la Kennedy a casa.
— Sì — disse Neil, guardando J.J. con un misto di sgomento e di rabbia.
La nave affrontò un’ultima prova. Ne aveva affrontato già tante per riuscire a portarli lontano milioni di miglia, alla ricerca di qualcosa concepito dalla mente di un pazzo. Aveva sollevato migliaia di tonnellate d’acqua dalla Luna, vincendo la sua pur piccola attrazione gravitazionale, aveva viaggiato nello spazio e resistito alla pressione di Giove. L’ultima prova era più che mai importante. Se la Kennedy non fosse riuscita a tornare su e a vincere l’attrazione gravitazionale del gigante gassoso, il fatto che avesse superato le altre prove non sarebbe servito a niente.
Fino ad allora la sua energia era stata usata solo per neutralizzare l’attrazione gravitazionale e per mantenerla in orbita. Adesso le si chiedeva di vincere l’attrazione e di imprimere abbastanza forza allo scafo da spingerlo in su e fargli quindi raggiungere la velocità di fuga, che era anche il doppio di quella che occorreva per liberarsi dall’attrazione gravitazionale della Terra.
Ma, soprattutto, la Kennedy doveva restare intatta, in un pezzo solo, e, se bisognava assecondare il folle J.J., doveva restarlo assieme alle migliaia di tonnellate di atmosfera di Giove che aveva nella stiva.
Читать дальше