L’angoscia di Janas si rifletté negli occhi profondi di Enid.
«Non parliamone più, Bob.»
«Sì, non parliamone più.» Janas si alzò e aprì il portafoglio per pagare il conto. Lasciò cadere una dozzina di monete d’oro della CNS sul tavolo. «Vuoi che andiamo a bere qualcosa?»
Un’ora e mezzo dopo, Janas e Enid ritornarono a prendere il grav-car, che era parcheggiato a fianco del piccolo e suggestivo bar.
«Dove andiamo?» chiese Janas, quando furono a bordo.
«Non lo so, Bob» disse Enid, stringendosi a lui, mentre accendeva il generatore. «Dove vuoi.»
«A casa tua?»
«No» rispose bruscamente lei. «Non fraintendermi: non voglio andare là perché Rod e i suoi amici abitano nello stesso palazzo, e io non voglio vederli.»
«Ma possiamo tenere le luci spente» scherzò Janas, ma poi capì che Enid parlava sul serio. «Che ne diresti di una crociera sul Pacifico?»
«Buona idea.»
Janas chiamò il computer del controllo del traffico e ottenne un piano di volo che gli permise di uscire senza guai dal comprensorio di San Francisco e dall’intrico del traffico. Cinque minuti dopo, la super-città non era più che un formicolio di luci alle loro spalle. Di fronte si stendeva l’oceano nero e scintillante, su cui si rifletteva una fetta di luna. Attraverso l’acqua, s’intravvedevano in trasparenza le luci dei centri sottomarini sparsi lungo tutta la costa.
«Com’è bello quassù» disse Enid. «Così lontano da tutto. Più niente sembra reale.»
«È un po’ come essere nello spazio» disse Janas, con voce lontana.
Sotto di loro sfilò lentamente, e sparì in lontananza, una enorme città galleggiante.
«Che cos’è?» chiese Enid, guardando giù.
«Non lo so.»
«Forse è Atlantide» disse lei. «Ho sentito dire che in questa settimana faceva rotta su San Francisco.»
«Probabilmente è proprio lei.»
Enid voltò lentamente la testa. Ormai tra loro non erano più necessarie le parole.
Le labbra di Janas articolarono “Ti amo”. Enid si strinse a lui, sgusciando dalla camicetta quasi inesistente.
Il sole si levava sul Pacifico, quando il grav-car fece ritorno al comprensorio San Francisco-Oakland.
Enid aveva appena finito di vestirsi che il grav entrò nelle vie di traffico di superficie.
«Quanti soldi hai?» le chiese Janas.
«Non accetto denaro dagli uomini che mi piacciono» disse Enid. «E la mia tariffa è piuttosto salata, per i vecchi signori grassi.»
«Parlo sul serio» disse Janas.
«Ne ho abbastanza.»
«Abbastanza per trasferirti in un’altra casa?»
«Credo di si. Ma perché dovrei farlo? Ho già pagato in anticipo l’affitto, e l’alloggio attuale va benissimo.»
«E invece non va.»
«Perché?»
«Perché sanno dove stai.»
«Ma chi sono?»
«Non lo so con certezza. Quelli della Confederazione, oppure gli agenti di Altho. Mi stanno pedinando, e tu ti trovi presa tra me e tuo fratello. Enid, non voglio che tu abbia dei guai. Da quando ho messo piede sulla Terra, li ho avuti sempre alle calcagna. Non voglio che quella gente, chiunque sia, ti metta le mani addosso. Avrei fatto bene, forse, a non venire a San Francisco; ma, d’altra parte, Altho sapeva che tu abitavi qui.»
«Che cosa devo fare?» chiese Enid; e negli occhi le riaffiorò la paura della sera prima.
«Torna a casa» le disse lui. «Comportati come se niente fosse. Dopo qualche ora, porta via quello che puoi, senza dare nell’occhio, e trovati un altro alloggio. Dà un nome falso e non comunicarmi dove vai. È meglio che io non lo sappia.»
«Ma...»
«Per qualche giorno non cercarmi» continuò Janas, deciso. «Aspetta di essere ben sicura di non correre rischi.»
«E come faccio a saperlo?»
«Troverò il modo per avvertirti.»
«Ma non capisco, Bob.»
«È meglio che tu non capisca» disse Janas. «Comunque, ti prego di fare come ti dico.»
«Va bene.»
Janas bloccò il grav vicino alla casa di lei. Dopo un ultimo bacio, Enid saltò giù dal veicolo, con aria angosciata.
Janas si voltò una sola volta a guardarla, poi si staccò dal marciapiede e s’infilò nelle corsie di traffico. Non si voltò più indietro per paura di non potere più staccarsi da lei.
Sugli schermi dell’Armada della Confederazione cominciava a delinearsi, in tutta la sua imponenza, lo schieramento nemico. Qualcuno disse:
«Non sapevamo che nella Galassia ci fossero tante navi.»
Era una strana flotta, quella dei ribelli, messa assieme con le navi catturate alla Confederazione, con i mercantili trasformati in navi da guerra, con gli scafi costruiti dai ribelli, prima che la Confederazione scoprisse e distruggesse i cantieri. Era una flotta eterogenea, ma poderosa e agguerrita. Per decenni, via via che le loro forze si consolidavano, i ribelli avevano evitato un confronto diretto con la Confederazione, ma ora erano ritornati, decisi a portare la guerra in casa del nemico e ad arrischiare tutte le forze nello scontro decisivo, che avrebbe segnato le sorti dell’umanità.
La “Salamina” avanzava, seguita dal resto dell’Armada. Le navi della Confederazione non avevano che un obiettivo: farla finita, una volta per tutte.
Quasi al centro della formazione da combattimento del l’Armada avanzava la nave ammiraglia, il centro nevralgico della flotta, la CT “Shilo”. In plancia, seduto al posto di comando, circondato dagli ufficiali e dagli apparati elettronici ausiliari, c’era il comandante della flotta, il Grande Ammiraglio del Corpo di Spedizione della Confederazione, Abli Juliene.
L’attesa era intollerabile. L’ammiraglio Juliene si sentiva isolato e solo, in mezzo al turbinare degli avvenimenti, e nel profondo di se stesso era convinto che il destino della battaglia non stesse nelle sue mani, ma nelle mani di un altro, dell’uomo che un tempo era stato suo superiore e suo amico: il comandante in capo delle Forze Militari della Lega dei Mondi Indipendenti, il generale Henri Kantralas.
Juliene cercava d’immaginare come gli sarebbe apparso oggi Kantralas: forse era diventato un po’ più vecchio e pacato, ma restava sempre un personaggio imponente, monolitico, con una lunga barba: una specie di Jehovah nell’Antico Testamento. Era questo l’uomo che Juliene era venuto a affrontare e, se possibile, a sconfiggere, l’uomo che gli aveva insegnato tutto quel che lui sapeva sull’arte della guerra, l’uomo che non aveva mai una flessione, che era sempre nel giusto, sempre sicuro di sé. Juliene, in quegli istanti, si sentiva a disagio sul suo seggio di comando; gli pareva di essere stanco e insignificante e si chiedeva come sarebbe riuscito ad affrontare un uomo come Henri Kantralas.
Ma lo affrontò.
Il primo urto della battaglia, che sarà ricordata fino alla fine dell’umanità, fu sostenuto dalla “Salamina”. I grandi tubi di lancio si spalancarono, vomitando nel grigio Anti-spazio centocinquanta missili a testata nucleare. Immediatamente gli schermi protettivi entrarono in azione avvolgendo le unità di entrambe le flotte in uno scudo di difesa vibrante di energia.
Nel grigiore informe, dove, a differenza del continuum delle dimensioni umane, nessuna stella brillava, i due colossi si affrontarono, scatenando forze capaci di ridurre in cenere una dozzina di Terre.
Più di una nave ribelle era già stata annientata dal fuoco della “Salamina”, quando un fuoco di sbarramento dei cannoni a energia del nemico riuscì a penetrare il campo di forza dell’unità terrestre. I missili nucleari puntarono dritto contro il poderoso incrociatore da battaglia, ma, prontamente bloccati dai cannoni a energia, esplosero a dieci chilometri dal bersaglio. La “Salamina” rispose al fuoco nemico con i proprio pezzi e missili. Un’altra unità ribelle fu inghiottita nella vampata atomica, ma un istante dopo una salva di cannoni a energia centrò lo scafo della “Salamina” che, in quel momento, era privo di difese.
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