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Frank Herbert: Il cervello verde

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Frank Herbert Il cervello verde

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In un mondo sovrappopolato, che cercava spazio vitale nella giungla, l’Organizzazione Ecologica Internazionale sterminav sistematicamente dei voraci insetti che rendevano inospitali quelle zone. Uomini come Joha Martinho e i suoi aiutanti usavano bombole schiumogene mortali e nuove armi a vibrazione per ripulire l’inferno verde del Mato Grosso. Ma, per ragioni sconosciute, le aree già disinfestate completamente incominciarono a essere di nuovo assalite dagli insetti malgrado le impenetrabili barriere. Dalla giungla si sentirono strane storie… insetti divenuti enormi… creature dalle sembianze umane, ma i cui occhi avevano quel particolare scintillio degli insetti.

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«La capsula… non potrebbe volare, adesso?» chie­se Chen-Lhu.

«Non credo di riuscire a sollevarla dal fiume», rispose Joao. Si asciugò il sudore dalla fronte, chiu­se gli occhi e come in un incubo rivisse l’intero viag­gio fino a quel momento. I suoi occhi si riaprirono di scatto.

Un silenzio stagnante era sceso sulla cabina.

Il rumore delle rapide era sempre più distinto, ma ancora non si vedeva il ribollire dell’acqua bianca.

In una curva del fiume, uno stormo di tucani dal becco dorato si sollevò da una fila di palme simile a una nuvola furiosa, riempiendo l’aria di strane grida. Poi scomparve e il rumore delle rapide rimase. Si profilava in lontananza la sagoma scura della rupe.

«Abbiamo cinque o sei minuti di autonomia… for­se», disse Joao. «Credo che dovremo affrontare quella curva a motore spento.»

«D’accordo», approvò Chen-Lhu e si allacciò la cintura di sicurezza.

Udito il rumore, Rhin allacciò la sua.

Joao trovò ai suoi lati i fermagli della cintura e li fece scattare al loro posto, quindi esaminò atten­tamente il cruscotto. Mentre pensava alla delicata manovra che doveva compiere, le sue mani comincia­rono a tremare. L’ho già fatta due volte, si disse. Ma quel pensiero non gli diede conforto. Sapeva di es­sere allo stremo delle forze fisiche… e morali.

Dove il corso del fiume curvava, una lieve increspatura della corrente si stese a ventaglio dalla sponda sinistra. L’acqua in quel punto mandava bagliori accecanti.

Joao alzò lo sguardo e vide strisce di cielo azzur­ro attraversare le nuvole. Respirò profondamente, premette il bottone di avviamento e cominciò a con­tare.

La spia luminosa lampeggiò.

Joao allentò la manetta del gas. I motori scoppiet­tarono, poi si accesero con un rombo uniforme. La capsula cominciò ad acquistare velocità barcollando lungo la rotta ondulata. Strani rumori proveniva­no dal galleggiante di destra.

Non riuscirò mai a sollevarla, pensò Joao. Si sentiva come in preda alla febbre e solo vagamen­te padrone dei suoi sensi.

La capsula prese a muoversi pigramente e rumo­rosamente attorno alla curva… e là, a non più di un chilometro di distanza, si ergeva la scura parete di roccia lavica. Il fiume scorreva attraverso una fen­ditura che sembrava prodotta da un’ascia gigantesca. Neri spuntoni di roccia comprimevano l’acqua alla base in un ribollio tumultuoso.

«Geeesù», mormorò Joao.

Rhin gli afferrò un braccio. «Torna indietro! Devi tornare indietro.»

«Non è possibile», disse il giovane. «Non c’è al­tra via d’uscita.» Eppure, la sua mano posata sul­la leva del gas, esitava. Che cosa doveva fare? Pre­mere in avanti e rischiare l’esplosione della cap­sula? Non aveva scelta. Nel baratro, poteva vede­re le onde infrangersi contro invisibili rocce solle­vando nell’aria spruzzi bianchi e dorati. Con un movimento convulso, premette a fondo la leva. Il rom­bo dei motori a razzo soffocò il rumore dell’acqua.

Joao pregava mentalmente che il galleggiante reg­gesse.

D’un tratto la capsula si sollevò dalla rotta e pre­se a sfiorare la superficie dell’acqua più veloce, sem­pre più veloce. In quell’attimo, Joao notò un movi­mento da una parte e dall’altra del baratro. Qualcosa simile a un serpente grondante d’acqua era sospeso sull’entrata della gola.

«Un’altra rete!» urlò Rhin.

Joao guardò la rete con distacco, come una cosa immaginaria, cosciente di non poterla evitare. La capsula, trasportata da un vortice, andò a scivolare in un bacino d’acqua scura e lucente da cui si eleva­va lo sbarramento della rete. Attraverso le fitte ma­glie scorse l’acqua incresparsi di ondate sempre più alte che si frangevano in flussi e riflussi all’interno del baratro.

La capsula andò a sbattere violentemente contro la rete, la tirò strappandola, sfilacciandola. Appena il muso della capsula s’inclinò verso il basso, Joao, trattenuto dalla cintura di sicurezza, si sentì proiet­tare in avanti. Sentì lo schienale del sedile sbatter­gli contro i fianchi. Suoni fragorosi, simili a strido­ri, lacerazioni, gorgoglii, furono seguiti da un im­provviso cedimento.

I motori si fermarono di botto, ingolfati o im­possibilitati ad aspirare benzina. La cabina fu in­vasa dalla violenza dell’acqua.

Joao si aggrappò alla cloche e si guardò in giro. La capsula galleggiava quasi a fior d’acqua roteando su se stessa. Gli sembrava che il mondo gli girasse intorno… scure pareti, la linea verde della giungla, la schiuma dell’acqua in tumulto.

La capsula, sospinta verso destra da una corrente in pendenza, andò a schiantarsi contro il primo con­trafforte a strapiombo sul torrente. Un forte rumo­re, come di uno strappo provocato da un oggetto me­tallico, si mescolò al frastuono che rimbombava nel baratro.

Rhin urlò qualcosa che venne inghiottito dal boato dell’acqua.

Con un balzo, la capsula si staccò dalla parete roc­ciosa, piroettò, imprigionata tra due esplosioni di ondate contrarie. I galleggianti, risucchiati dalla spi­rale di un vortice, furono colpiti lateralmente, sol­levati, inclinati, imprigionati in un movimento fre­netico.

Poi, simile al suono provocato da un’ondata ci­clopica che s’infrange sugli scogli dell’oceano, si udì un rombo assordante e prolungato. Joao intra­vide un enorme scoglio che affiorava dall’acqua. La capsula andò a sbattere contro l’isolotto di roccia e rimbalzò indietro. Joao, sganciato dalla cintura di sicurezza, si trovò riverso sul pavimento tra le braccia di Rhin. Con la mano destra si aggrappò al­la base della cloche. Sopra di lui la calotta si ac­cartocciava; inebetito, la seguì con lo sguardo, men­tre si staccava e scompariva tra i flutti. Vide l’ala si­nistra sfasciarsi contro lo scoglio. La capsula fece una brusca piroetta, rivelando uno squarcio di cielo offuscato e un’altra oscura parete.

Joao pensò: non ce la faremo mai. Nulla può so­pravvivere a questa catastrofe.

Sentì che Rhin gli cingeva la vita con entrambe le braccia e, in preda al terrore, implorava: «Ti prego, falla fermare, falla fermare».

Vide il muso della capsula sollevarsi e abbassar­si, acqua schiumosa attraversare l’apertura prima ricoperta dalla calotta. Vide un fucile a gas balza­re nel fiume attraverso l’apertura e si sentì sempre più schiacciato fra i sedili e il cruscotto. Gli dole­vano le dita della mano che stringeva la cloche. Un movimento brusco della capsula gli fece voltare il capo e vide le braccia di Chen-Lhu avvinte al suo schienale.

Il cinese sentiva il rumore come una diretta pres­sione sui suoi nervi che superava ogni limite di sop­portazione, un ritmo incontrollabile che penetrava nel suo essere dominandolo: una dissonanza assor­dante divenuta discorde nei contrappunti, un maelstrom stridente, scricchiolante, grattante. Aveva la sensazione di essere diventato un ricettore visivo, uditivo, sensitivo, privo di qualsiasi altra funzione.

Rhin premette il viso contro il petto di Joao. Tut­to ciò che percepiva era l’odore del corpo di lui e l’incessante movimento. Sentiva la capsula sollevar­si… su… su… precipitare, girare, roteare. Su. Giù. Su. Giù. Su. Giù. Su. Giù. Come il movimento fre­netico di un rapporto sessuale.

Joao era proteso a percepire immagini: immagini intense e terrificanti. Guardava fisso nel vuoto at­traverso un foro che non c’era; le immagini gli ap­parivano confuse: la corrente impetuosa che aziona un mulino, una scura cavità d’acqua, solidi spruzzi, umide ombre verdi lungo un dirupo. Sentiva la ma­no paralizzata. Le spalle gli dolevano.

Un colpo d’onda melmosa simile alla corazza di una tartaruga, rotolò di fronte all’apertura della ca­bina. Joao sentì la capsula slittare su quella massa viscosa con un movimento che gli dava l’illusione di essere trasportato dolcemente sulla superficie dell’ac­qua. Vide il fiume scomparire dietro sé.

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