Venne fatto girare il vino e per un po’ tutti rimasero zitti. Avrebbero forse dovuto essere allegri e spensierati, ma invece si rendevano conto della gravità della situazione.
— Sarà diverso — disse Otto — tornare a Chicago. Mi chiedo se i miei amici avranno sentito la mia mancanza.
— Sembrerà molto strano, non vi pare?
— Abbiamo passato bei momenti, qui — disse Tooksberry. — Solo qui ho trovato la felicità.
— Posso andare a raccontarlo ai miei? — chiese il ragazzo che sino a quel momento era stato zitto.
— Va’ pure — gli disse — a raccontarlo — e lui corse fuori.
Poi Tooksberry, sbadigliando, manifestò il desiderio di andare a dormire.
— Domani è una gran giornata — disse.
— Verrò subito anch’io — soggiunse Orcutt.
— Vi posso parlare? — chiese Devan a Tooksberry lasciando Orcutt e il dottore. Tooksberry annuì e uscirono nell’aria fresca della notte.
— Vi devo dire qualcosa, Howard.
— Che c’è? — Tooksberry lo fissò di traverso.
— Sono entrato nell’Ago la scorsa notte.
— Davvero?
— E non vidi altro che roccia, roccia desolata fin dove l’occhio poteva spaziare. E l’unica cosa viva che vidi fu l’erba.
— Visione deprimente.
— Non avete visto la stessa cosa?
— Non dirò a nessuno che siete entrato nell’Ago, Dev.
— Perché avete detto loro che è Chicago?
— E perché voi non avete detto che non lo era, Dev?
— Avete visto la stessa cosa che ho visto io, allora?
— È Chicago — disse Tooksberry. — Deve essere Chicago, dovete crederci, Dev.
Uno degli uomini di Johnson svegliò Devan al mattino, con un energico colpo alla porta per ricordare che la riunione era alle dieci nel laboratorio di Costigan.
— Scusate, signore — disse, quando Devan fu di fronte a lui, in pigiama. — Dobbiamo chiamare tutti. Voi capite.
— Naturalmente.
— Avete avvisato la signora Traylor?
— Non ancora. — Poi, vedendo che il poliziotto stava sempre lì: — Ma lo farò — aggiunse.
Quando Devan era tornato a casa la sera prima, era ben deciso a parlare. Ma più ci pensava, domandandosi che cosa volessero significare le parole di Tooksberry e il suo comportamento così strano, più si convinceva che doveva star zitto. Se il campo avesse saputo che non si poteva tornare a Chicago, sarebbe successo uno scompiglio generale. Ma non sarebbe stato peggio radunare là tutta la gente e poi annunciare che non si poteva tornare?
Sperò che Tooksberry sapesse quello che faceva e, pur ritenendo che il suo comportamento fosse per lo meno strano, tuttavia si guardò bene dal dire a Betty che la sperata via per ritornare non esisteva.
Mentre preparava la colazione, Betty era pallida e Devan pensò che anche il suo viso dovesse essere uguale. Una cosa sapeva: la sua mente era troppo ossessionata dal pensiero dell’Ago, della gente, di Tooksberry e se dire o no la verità a Betty. Il risultato fu che la colazione gli rimase sullo stomaco.
Quando fu pronto per scendere al laboratorio, Devan disse, come per caso: — Devo andare ora. Mi raggiungi là?
Betty lo accompagnò alla porta. Aveva quasi le lacrime agli occhi. Lui la baciò leggermente, Betty gli buttò le braccia al collo.
— Devan.
— Che cosa c’è?
— Devan. — Non lo voleva lasciar andare. — Siamo stati molto felici insieme in tutti questi anni.
Il suo cuore ebbe uno spasimo di tenerezza che gli salì in una sensazione confusa alla testa, lasciandolo come stordito.
— Lo so — riuscì a dire.
— E, Devan — le sue braccia lo cingevano ancora, le sue labbra stavano appoggiate al suo orecchio — non cessiamo di essere felici. Restiamo qui. Non voglio tornare. E tu?
La strinse forte, con gioia.
— Io non voglio tornare, Betty. — Era meraviglioso scoprire così semplicemente la verità che si era nascosto per tanto tempo. — Non ho mai realmente desiderato di tornare.
Betty lo prese sottobraccio e lo guardò con espressione radiosa. — Anche se rimarremo soltanto in quattro: tu, io e i bambini.
— Staremo sempre insieme — disse Devan — qui.
Il mattino era fresco e splendeva un sole luminoso. Il lago era quasi un completamento del cielo. Riverberi di luce danzavano sulle onde che si infrangevano a riva.
Se non ci fossero state cose tanto importanti in aria, certamente qualcuno vi si sarebbe tuffato. I bambini che di solito giocavano sulla riva non c’erano. L’intera popolazione della Nuova Chicago si era data convegno al laboratorio dell’Ago.
La gente arrivava a gruppi, alcune persone isolate e nessuno aveva portato le proprie cose con sé, ben sapendo che dall’Ago non poteva passare nulla. Orcutt era là davanti a un grosso recipiente, una specie di bacheca, nel quale erano ammassate striscioline di carta con dei numeri. Devan aiutava Johnson nell’elenco dei nomi, che erano cinquecentotrentuno, compreso quello dell’ultimo nato, che aveva visto la luce quella mattina stessa.
Johnson disse che i suoi uomini erano stati in tutte le case e che mancava poca gente: qualcuno che stava a caccia nei dintorni e altri due che erano partiti per un mese in giro di esplorazione.
Gli uomini ora parlavano e facevano domande.
Come avrebbero potuto passare nell’Ago i degenti dell’ospedale? Orcutt spiegò che sarebbero passati in un secondo tempo e che, pertanto, bisognava che qualcuno si fermasse ad attenderli. In quanto a quelli fuori in esplorazione si sarebbe fatto qualcosa.
Ma Devan non stava pensando ai vari problemi sollevati in quel momento. Pensava a quello che Betty gli aveva detto e il suo cuore esultava constatando che Betty, che pur non sapeva che a Chicago non si sarebbe tornati mai, desiderava comunque restare lì. Ciò gli dava una sensazione di libertà e di distacco da tutto il resto, come non provava da anni. Fu allora che si rese conto che l’Ago, nel caso suo e di Betty, non era stato altro che un benevolo strumento di felicità.
Per delle ragioni assolutamente imponderabili, che nemmeno quelli che provano questi sentimenti riescono a spiegare, Devan sentì che Betty era lì, in mezzo alla gente e, volgendosi, la vide.
Si sorrisero.
La sua felicità di rimanere fu solo offuscata dal pensiero che tutti coloro che stavano lì in attesa, fossero convinti di poter tornare a Chicago. Cosa sarebbe accaduto quando avrebbero scoperto che a Chicago non si poteva mai più tornare?
Devan alzò gli occhi e vide Costigan al suo fianco. — Circa Tooksberry… — cominciò il dottore sottovoce.
Devan sorrise e disse: — Più tardi, dottore.
— Signore e signori di Chicago — Orcutt stava in piedi su un tavolo — e bambini. — Qualcuno rise. Orcutt appariva come al solito sicuro di sé. e come sempre padrone della folla. Ma cosa sarebbe stato della sua personalità magnetica, quando lui pure avrebbe scoperto che stava dicendo menzogne?
— Finalmente è arrivato il giorno da noi tanto atteso. Per la costruzione di questa macchina abbiamo dovuto fare a meno di tante cose e Devan Traylor, qui, e il dottor Costigan, avanti dottore, fatevi vedere, non hanno perso tempo (non parlo di spese perché qui non abbiamo denaro), per condurre a termine i preparativi. La notte scorsa i vostri rappresentanti si sono riuniti qui, nella costruzione dell’Ago, e Howard Tooksberry, qualcuno ha visto Howard?, è entrato nell’Ago ed è riuscito a trascorrere qualche momento a Chicago. Non ha potuto dare dettagli molto ampi perché era notte, ma assicura che si tratta di Chicago. Anzi, per provarlo, lesse un pezzettino del “Chicago Tribune”, che naturalmente non poté portare con sé.
“Qualche tempo fa, il Consiglio, sapendo che la macchina era quasi finita, studiò il problema del passaggio e della precedenza da assegnare nell’entrarvi. Penso che siate tutti d’accordo nel considerare che è praticamente impossibile entrare tutti insieme. Per cui abbiamo scritto tanti bigliettini, numerati da 1 a 250, con l’idea che la persona cui verrà assegnato il numero, passi, naturalmente in ordine progressivo rispetto agli altri, nell’Ago, solo o con l’intera famiglia per chi ne ha una. Ora potete venire qui tutti in fila a prendere il vostro numero. Ci sono domande?
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