— Allora la prova è per domani notte?
— Siamo pronti già adesso. Ci sono solo gli ultimi tocchi da dare.
Sul volto di Betty calò un’ombra di tristezza e di preoccupazione e si allontanò verso la cucina seguita con gli occhi da Devan. Lui sapeva che cosa stava pensando Betty.
— Ricordi l’ultima volta? — gridò lei dalla cucina.
Devan sospirò. Come avrebbe potuto dimenticarsi di quando Basher era entrato nell’Ago anche se erano passati dieci anni? E per associazione di idee si ricordò della signora Basher che non voleva credere che Basher fosse entrato nella macchina, e quindi era andata alla polizia. Aveva parlato a Basher di questo?
— Ma non succederà come l’ultima volta, vero Dev, quando la prova fallì?
— No certo, o almeno la persona che ci passerà dentro non andrà a finire nel lago.
— Ne sei sicuro, Dev?
— Ti ricordi il piccolo Ago che abbiamo costruito?
— Quello in cui potevi solo introdurre la tua mano?
— Proprio. Se avessimo potuto capire qualcosa da quello piccolo, ci saremmo accontentati di quello. E non ci saremmo messi in questo guaio, se pure si può chiamare guaio. — Devan spense la sigaretta e andò in cucina a versarsi qualcosa da bere, mentre Betty preparava il pranzo. — Anche qui, per cominciare, il dottor Costigan ne costruì un modello ridotto, dove poteva passarci un braccio, ma questa volta non ha funzionato.
— E perché?
— Non te l’avevo detto?
— Forse me ne sono dimenticata.
— Trovammo qualcosa di solido. E così la mano non poteva passare. Poi ci accorgemmo che dall’altra parte dell’Ago c’era il sottosuolo. Allora spostammo, un po’ per volta, l’Ago con tutta l’attrezzatura elettrica sulla collina. Ci volle un po’ di tempo, ma trovammo che, infilando una mano, si poteva sentire la terra. Questa volta quindi non ci sarà pericolo di finire in un lago, ma potremo passare dall’Ago e poi tornare indietro.
— Sei molto ottimista, tu, Dev — disse Betty.
— Cosa te lo fa pensare? — chiese Devan.
— Perché pur non essendo ancora passato nessuno nell’Ago, tu sei perfettamente convinto che tutto andrà per il meglio.
— Ci abbiamo lavorato dieci anni e, questa volta, il frutto delle nostre ricerche e della nostra esperienza non andrà perduto.
— Mi vuoi spiegare una cosa, allora? Devan finì di bere. — Che cosa?
— Come farai a sapere di essere a Chicago?
Devan arrossì leggermente e si agitò. Aveva toccato il punto dolente, si disse, ma non voleva lasciarle intuire un minimo di sfiducia da parte loro…
— La tua faccia mi dice che ho quasi colpito nel segno.
— Mi vergogno che mia moglie, unica tra tutti, non conosca i fatti essenziali. È dieci anni che mi occupo di questa faccenda e tu ti sei scordata come è stata risolta.
— Dimmelo, allora.
— Invertendo la polarità. Come per un motore elettrico. Se viene invertita la polarità, questa cammina al contrario. Così faremo per l’Ago. Ma non ti avevo già detto queste cose?
— Sì, Dev. Le avevo dimenticate. Ma questa volta voglio essere ben sicura di quello che stai dicendo.
— Perché sei così preoccupata tutto a un tratto?
— Tutto a un tratto? Questa idea non mi è venuta un momento fa, ma mi tormenta da molto tempo.
Non aveva mai visto Betty così. — Per amore del Cielo, cosa c’è?
— Ti assicuro, Dev, non c’è niente. Volevo solo dire che sono un po’ in pensiero per questo secondo Ago. Ora siamo noi a dover decidere di passarci, mentre la prima volta il passaggio avvenne senza la nostra volontà.
— Ma questa volta siamo ben preparati — disse Devan, ancora poco convinto di quelle spiegazioni — e non ci saranno Sudduthiti a provocare disastri.
— A meno che Eric non si riscuota.
— Non lo farà. Ha troppo da fare con la Bibbia.
Mentre attendevano i bambini per il pranzo, Betty mise il cibo nel forno e uscì con Devan davanti alla casa.
— Sai, Dev — disse Betty aspirando una boccata di fumo dalla sua sigaretta — i Sudduthiti non sono mica stati molto cattivi, in fondo.
— Curioso pensare che molte delle donne che si sono unite a loro fossero nel mio club. Chi avrebbe mai pensato che un giorno decidessero di andare a vivere in grotte, completamente nudi?
— Quando noi saremo tornati, tutte le cose ridiventeranno normali, vedrai.
Mentre se ne stavano fuori, seduti tranquillamente nella luce del tramonto, Devan rifletteva quale poca differenza ci fosse ormai tra questa loro città e qualunque parte di Chicago. Le voci amiche, le risa, le discussioni che sentiva intorno a sé, gli parlavano di gente tranquilla, serena, unita. E con una stretta al cuore pensò alle vecchie strade, ai vecchi volti, alle vecchie cose che lo aspettavano a Chicago. Ricordava le anonime case grigie, gli squallidi cortiletti interni che si intravedevano passando con il treno, la carta abbandonata sulla ghiaia del “Grant Park”, come la si trovava al lunedì mattina, e la gente che si spingeva, i negozi l’uno accanto all’altro, l’aria impregnata di fumo e gli sguardi estranei. Non desiderava tornare. E perché farlo, allora?
Questo suo improvviso pensiero fu subito allontanato. Doveva tornare perché tutti gli altri tornavano e lì non ci sarebbe rimasto nessuno. Sì, doveva tornare.
Vide i bambini che venivano verso casa e questo lo riempì di gioia, tanto li amava. Aveva più tempo per i bambini da questa parte dell’Ago, si disse.
— Papà — gridò Sally volandogli fra le braccia. — Donny dice che non si torna là. Dimmelo babbo, per favore.
— Ma certo, cara, ci si ritorna.
— E ci sono case molto grandi?
— Certo.
— E perché le fanno tanto grandi?
— Perché tutti ci possano lavorare dentro.
— Ma non potrebbero lavorare fuori?
— Vedi — Devan si schiarì la gola. Era un po’ difficile a dirsi. — Perché le hanno fatte così alte? Sally, c’è così tanta gente e tanto poco spazio, che se ognuno se ne stese fuori a lavorare, non ci sarebbe posto più per nessuno. Invece in questo modo ci sono uffici in palazzi che toccano il cielo e così, stando l’uno sopra l’altro, ecco che lo spazio non manca.
— E come vanno in cima?
— Ascensore. Tu lo conosci.
Ralph che gli stava accanto ai pantaloni chiese: — Quanta gente vive a Chicago?
— Milioni. Tre o quattro milioni, credo.
— MILIONI! — Sally era esterrefatta. — E lavorano tutti nelle case?
— Su, Sally — disse Betty — di sicuro hai imparato tutte queste cose a scuola, no?
— Be’, proprio queste no. Ho imparato l’esistenza degli aeroplani, delle automobili, degli indiani. A proposito, ci sono indiani?
— Vivono in gruppi separati.
— Bene, li andremo a trovare, papà.
— Vedrò un aereo a reazione? — chiese Ralph.
— Cos’è un grande magazzino, papà?
— Potreste chiedere a vostro padre cos’è un night-club, o qual è la sua posizione in borsa. E vi risponderebbe a tutto, sono sicura.
Devan procedeva sul selciato, svelto, energico, sentendo con piacere il sottile venticello notturno che proveniva dal lago. Vide la parte superiore dell’Ago II che emergeva dalla costruzione in legno e tra sé le disse: “Dieci anni della mia vita, dieci anni di cui non saprò il valore sin che non saprò se tu funzioni”.
Rise al pensiero che dapprincipio avevano creduto di poter ricostruire l’Ago in pochi anni, cinque al massimo.
L’impresa si era invece rivelata molto più difficile, sia per la ricerca delle materie prime, sia per l’arrovellato studio fatto intorno ad alcuni processi di cui non avevano le formule esatte e che nessuno ricordava alla Nuova Chicago.
A un certo punto era sembrato che l’Ago non avrebbe mai potuto diventare realtà e, ora che lo era, sorgeva una nuova pressante questione: avrebbero potuto tornare a Chicago? La risposta gli sarebbe stata data all’indomani notte.
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