— Penso — disse Devan — che se, come voi dite, noi ci mettessimo a peregrinare da un universo all’altro, alla fine troveremo quello da cui proveniamo.
— È solo una supposizione. E poi dovremmo passare attraverso un numero infinito di questi universi.
Devan finì di bere e osservò: — E poi non potreste mai più fabbricare un altro Ago dall’altra parte. A meno di farlo di rocce e d’erba.
— Sono solo un vecchio scienziato — rispose pensosamente Costigan. — Quando venimmo qui, avevamo tutti terribilmente bisogno di un motivo che ci tenesse uniti. E Orcutt ci diede il tesoro e la sua organizzazione. E io diedi la speranza del ritorno con questa macchina. Era semplice dire “inverti la polarità e il resto verrà da sé”. Ma in realtà nemmeno allora io ero sicuro che saremmo riusciti a tornare.
— Maledizione!
— Berrò ancora, non posso farne ameno — disse il dottore. — Il pensiero che mi ha perseguitato per dieci anni, e che non ho mai confidato a nessuno, si è purtroppo avverato e davanti a questa rivelazione è necessario un po’ di conforto, e dove lo trovo, se non nell’alcool?
— Deve essere presto — disse Sam Otto, chiudendo la porta dietro di sé e Basher. — Dove sono gli altri?
— Staranno arrivando — disse Devan, porgendo loro sedili improvvisati.
— Di sicuro non vorranno perdersi la prova — disse Sam. Poi con tono ironico: — Ma l’essere arrivato in anticipo mi dà modo di presentarvi, signor Basher, l’uomo che si offrirà come volontario per passare nell’Ago stanotte.
— Vattene all’inferno — disse Basher. — Mi è bastato fare il volontario una volta, è stato veramente abbastanza, ti giuro. Stavolta voglio solo assistere.
Intanto arrivavano gli altri. Orcut, Tooksberry, un po’ invecchiato, ma col volto molto più disteso di una volta; Holcombe che era più o meno lo stesso e un giovane in cui Devan riconobbe Johnny Selden, un operano della fonderia. Aveva circa sedici anni.
— Se non fosse per la presenza di Johnny, potremmo benissimo credere di essere ritornati a dieci anni fa.
— Speriamo che non finisca nello stesso modo — disse Basher.
Devan si toccò le otturazioni provvisorie di cera, ricordandosi cosa c’era dall’altra parte dell’Ago e sperando nello stesso tempo che i cinque uomini non rimanessero troppo sconcertati scoprendo che la macchina non li avrebbe, come credevano, riportati a Chicago.
Aveva esaminato il problema per ogni verso, ma la risposta era sempre la stessa: non poteva dir loro nulla Sino a che non fossero entrati e avessero constatato di persona.
— Cosa c’è Devan?
Devan sussultò nel sentirsi chiamare.
— Avete un’aria così assente e triste — gli stava dicendo Orcutt. — Coraggio! È la grande notte. Ce ne torniamo tutti a Chicago. Allegro. Avete una tale aria da funerale!
— Dovremmo fare un brindisi — disse Otto, guardando il dottore. — Avrete certamente la materia prima.
— Infatti — commentò asciutto Costigan.
— È il pensiero di tornare dopo dieci anni che mi rende nervoso — disse Devan.
— Sono molti dieci anni — Orcutt si alzò e pose il suo braccio intorno alle spalle di Devan. — Tutti noi della Nuova Chicago dovremo molto a voi e al dottore se l’Ago funzionerà o no. Se comunque riusciremo a ritornare a Chicago e alla civiltà, tanto maggiore sarà la nostra riconoscenza per voi che ce lo avrete permesso, l’uno col ricordarsi tante cose che noi avevamo dimenticato, e Costigan col suo duro lavoro anche materiale.
— Tutti ci hanno lavorato — precisarono Devan e Costigan — tutti ci hanno messo mano.
— Comunque, ciò è servito a tenerci uniti — disse Orcutt. — È tutto a posto?
— Sono pronto — disse Costigan — ma chi vuole entrarci?
Orcutt pose una mano sul capo di Johnny Selden. — Ecco, dottore. Il ragazzo arrossì.
— Ma non potete mandare un ragazzo!
— Non ha capsule da perdere!
— Cosa pensano i suoi genitori, Ed? — domandò Devan.
— Gli hanno lasciato completa libertà di decisione e lui ha confermato che ci vuole andare. Non ha che un vago ricordo di Chicago. Comunque non entrerà completamente; solo con la testa. Sei pronto, marmocchio?
Orcutt accompagnò il ragazzo all’Ago, mentre Costigan mise in marcia la macchina.
— Infilati dentro solo fino alle spalle, Johnny — disse Orcutt — noi ti terremo fermo. E lascia la tua mano da questa parte, per poterti aiutare a uscire in caso di pericolo.
Il ragazzo si inumidì le labbra. Inghiottì un paio di volte, e quindi si distese sul pavimento rivolto verso l’Ago, al quale si avvicinò a poco a poco, mentre Orcutt e Holcombe gli tenevano una gamba e Johnson e Basher l’altra.
— Buona fortuna — disse Sam Otto.
Il capo del ragazzo sparì a poco a poco, prima i capelli, poi le orecchie, fino alle spalle. Dapprima le sue mani furono rigide e sudate, poi sembrò rilassarsi e tutti, che lo osservavano con ansia, videro che si girava prima in un senso, poi nell’altro.
— Ma quando uscirà, per amor del cielo? — chiese Holcombe.
— È appena entrato — gli ricordò Costigan.
Devan poteva immaginare cosa il ragazzo stesse vedendo. Un cielo nuvoloso, la luna, il vento, pietre ed erba, a meno che il tempo, se pure tempo era, non fosse nel frattempo cambiato. Poteva piovere, o essere solo buio, senza vento e col cielo pulito, oppure la notte era luminosa, immobile con una grossa luna e i segni di una giornata calda…
Il ragazzo finalmente uscì, aiutandosi con le mani, poi si sedette e rimase con gli occhi chiusi, come stremato. Gli uomini gli si fecero intorno curiosi, ma pazienti. Costigan spense la macchina. I nervi di Devan erano tesi, in attesa della rivelazione e dei suoi effetti.
— Ebbene? — disse Sam Otto che non riuscì a controllarsi più a lungo.
— Non so — disse il ragazzo.
— Cos’è che non sai, figlio?
— Non so cosa ho visto.
— Be’, cerca di descrivercelo come puoi.
— C’era buio…
Sam mugolò.
— …e umido.
— Così non è Chicago — disse Tooksberry.
— Ma potrebbe benissimo essere Chicago. Ci sono parti scure e umide anche là. Dipende dai posti.
— Lasciate parlare il ragazzo — disse Sam — non ha potuto dire altro che faceva freddo e buio.
— C’è un odore diverso — disse Johnny. — Ma c’era solo buio e non sono riuscito a vedere niente in giro.
E Devan pensava: “Potrei dirti io dove eri, piccolo”.
— Una fogna — disse Orcutt — potrebbe essere una fogna. Che ridere se fosse così!
— C’è odore cattivo?
— Non buono.
Devan non si ricordava dell’odore. Non ne era stato colpito particolarmente.
— Può darsi che fosse una cantina.
— Non c’era aria là dentro.
— Al diavolo — disse Orcutt. — Vado a dare un’occhiata e vuol dire che il dottor Van Ness mi sistemerà i denti. — Johnny a questo punto gli lanciò un’occhiata mortificata e Orcutt cercò di rimediare: — Oh, non è che io non mi fidi di quello che tu dici, mio caro. È solo perché tu non hai mai visto una città e può darsi che non ne distingui bene i suoi aspetti, di modo che ti è difficile interpretare quello che hai visto.
— Ma io non ho visto niente — protestò il ragazzo.
“Devo parlare?” si chiese Devan. Ma prima che potesse aprir bocca, Tooksberry disse: — Che senso c’è a infilarci la testa, uno dopo l’altro, se si sa che non c’è niente da vedere! — Si tolse gli occhiali e li pulì. — Il ragazzo ha buoni occhi!
— Potrebbe essere Chicago durante un oscuramento — disse Sam.
— Un’altra guerra, Sam? Oh, no!
— Quello che voglio dire — disse Tooksberry — è che qualcuno deve entrarci e vedere se è Chicago o no.
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