Jack Williamson - Il figlio della notte

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Il figlio della notte: краткое содержание, описание и аннотация

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Il ritorno dalla Mongolia della spedizione del celebre professor Mondrick segnerà forse l’inizio di un’era nuova nella storia dell’umanità. Perchè in una certa cassa che gli esploratori portano dal deserto di Gobi sono contenute le prove di una guerra spietata e segreta, che si combatte da innumeri millenni. E il campo di battaglie è il subcosciente stesso della razza umana, dove il Maligno sembra sferrare i suoi colpi più mortali e insidiosi. Perchè il genere umano, ha scoperto Mondrick, è un ibrido: il sangue dell’Homo sapiens è, ormai, contaminato da quello dell’Homo lycanthropus, l’antichissima razza caina… Ma la scoperta di Mondrick esige le sue vittime e un orrendo pericolo minaccia di nuovo l’umanità. Le forze del male sono scatenate e gli angeli ribelli tentano ancora una volta di rialzare il capo. Metapsichica e psicocinesi sono le strane scienze a cui questo romanzo senza precedenti nella letteratura del “soprannaturale” sembra ispirarsi. E’ un romanzo che non si dimentica!

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S’era aspettato un violento diniego, una sbalordita mancanza di compren­sione delle sue parole, come se veramente il gatto fosse stato ucciso da qual­che monello, comunque una reazione battagliera. Ma era completamente im­preparato alla scena che si verificò. Perché April, copertasi il volto con le mani, i gomiti sul tavolino, piangeva ora silenziosamente, scossa da muti e violenti singulti.

Si sentì smarrito, stupido e inerte davanti a quelle lacrime che aveva provo­cato. Le lacrime lo avevano sempre reso impotente e infelice.

«April, ti prego...», balbettò, «davvero, non intendevo...»

Tacque, nel vedere il cameriere che si avvicinava con due altri dacquari e se ne andava con i due dollari del conto e i bicchieri vuoti.

«April», pregò poi, «perdonami, cara, ti chiedo scusa con tutto il cuore...»

La ragazza sollevò il capo e lo guardò silenziosamente attraverso il velo di lacrime che le colmavano gli occhi dal taglio orientale, quegli occhi che appa­rivano ora enormi, neri, solenni; e la sua testa di fiamma assentì due o tre volte, lentamente, in una conferma di stanca sconfitta.

«Dunque, tu sai», disse, in tono amaramente conclusivo.

«Io non so niente», si affrettò a ribattere lui. «So soltanto che tutto questo sta diventando un incubo, e ci sono troppe cose che non riesco a credere o a capire. Non volevo certo offenderti, April, ti scongiuro di crederlo. Tu mi interessi e mi piaci... molto, moltissimo. Ma... insomma, hai visto anche tu come è morto il povero Mondrick.»

April aveva aperto la borsetta di pelle verde per trarne un fazzoletto col quale ora si stava asciugando gli occhi. Poi si incipriò il volto, che le lacrime avevano devastato, e bevve deliberatamente il resto del cocktail. Ma Barbee vide che il bicchiere le tremava fra le lunghe dita sottili. Infine April alzò gli occhi su di lui e lo fissò con espressione triste e solenne.

«Sì, Will», disse lentamente, «mi hai scoperto. Credo che sia inutile voler cercare d’ingannarti oltre. La verità è dura a confessarsi e so che ti sconvol­gerà.»

Fece un’altra pausa, e infine pronunziò poche incredibili parole:

«Perché, vedi: io sono una strega, Will».

Barbee si levò a mezzo, sedette di nuovo e nervosamente trangugiò il suo dacquari. Guardò, battendo le palpebre, il volto triste e serio di April e scos­se due o tre volte il capo, non sapendo se offendersi per uno scherzo di cattivo gusto, o crederla una povera allucinata. Alla fine domandò col fiato mozzo:

«Si può sapere che diavolo dici?».

«Non te l’ho detto?», rispose lei con una specie di accorata mestizia. «Poco fa ti ho taciuto il motivo per cui mio padre e la mamma si divisero. Non sapevo come dirtelo. Ma fu questa la causa. Io ero una strega bambina, e mio padre se n’era accorto. La mamma lo aveva sempre saputo, e mi difese. Mio padre mi avrebbe ucciso, se non ci fosse stata lei. E per questo ci cacciò di casa.»

5.

Davanti agli occhi di Barbee l’atmosfera rossastra del locale notturno co­minciò a roteare. Per un istante il giovane credette di essere stato ipnotizza­to. Seguitò a guardare sbalordito la ragazza, che a voce bassa, quasi roca, non aveva cessato di parlare.

«Perché, vedi, la mamma era la seconda moglie di mio padre. Ed era di tanto più giovane di lui da poter essergli comodamente figlia. So che non lo amò mai, e a dire la verità non ho mai capito perché lo avesse sposato. Era un uomo d’istinti brutali e povero in canna. È un fatto, poveretta, che lei non aveva mai messo in pratica le norme che volle poi insegnarmi.»

Barbee cercò una sigaretta, aveva bisogno di far qualcosa con le mani, tale era la tensione che lo dominava. Offrì il portasigarette aperto alla ragazza, che rifiutò scuotendo il capo.

«Mio padre era un uomo terribilmente severo», seguitò April, dopo che Barbee ebbe acceso la sigaretta. «Un puritano all’antica, era nato a Salem, figurati, da un’antica famiglia di scozzesi fanaticamente religiosi. Sebbene non avesse ricevuto gli ordini, perché non era d’accordo del tutto con nes­suna congregazione religiosa, aveva l’abitudine di predicare la sua dura fede agli angoli delle strade e sulla piazza nei giorni di mercato: ovunque, insom­ma, potesse trovare qualche fannullone disposto ad ascoltarlo. Si considera­va un uomo pio, virtuoso, che cercava di tenere il mondo lontano dal pecca­to. In realtà, sapeva essere mostruosamente crudele. Con me lo fu.»

Un’ombra di quello che doveva essere stato il suo antico dolore le oscurò il bel volto.

«Ero una bambina molto precoce. Mio padre aveva altri figli dal suo prece­dente matrimonio, i quali non erano affatto precoci. A tre anni io già sapevo un poco leggere. Capivo la gente. In un certo modo, sentivo ciò che la gente avrebbe fatto e le cose che stavano per accadere. Mio padre non era affatto contento che io fossi più svelta dei miei fratellastri e delle mie sorellastre.»

Sorrise debolmente.

«E dovevo essere anche piuttosto bellina, almeno mia madre non si stanca­va di dirlo. Questo doveva avermi alquanto viziata. Di fatto, ero sempre in lite coi miei fratellastri, e mia madre mi dava ragione. Erano molto più gran­di di me, ma anche allora credo che fossi molto più svelta di loro nel trovare il modo di ferirli.

Inoltre, mio padre, che era bruno come mia madre, odiava i miei capelli rossi. Gli bastava guardarli per essere colto da vere e proprie crisi di furore. Non avevo più di cinque anni, quando mi chiamò per la prima volta “piccola strega” e mi strappò dalle braccia di mia madre per staffilarmi.»

I suoi occhi verdi erano ora asciutti e cupi. A Barbee sembravano duri come smeraldi, prosciugati da un odio antico come il mondo. E la sua voce som­messa e recisa faceva pensare ai venti crudeli che dovevano soffiare, fantasti­cò Barbee, sulle desolate distese dell’Ala-shan.

«Mio padre mi ha sempre odiato, e i miei fratellastri ancora di più: perché mi sentivano differente da loro; perché ero più graziosa delle femmine e più intelligente dei maschi; perché sapevo fare cose di cui erano incapaci. Sì... perché ero già una strega!»

Barbee scosse ancora il capo, incredulo e impaziente.

«Tutti erano contro di me... tutti, meno mia madre. Dovevo continuamente difendermi e restituire i colpi tutte le volte che mi se ne offrisse il destro. Sapevo delle streghe dalla Bibbia: papà ne leggeva un brano all’ora dei pasti e poi salmodiava un interminabile ringraziamento, prima di lasciarci mangia­re. Io volli sapere che cosa facessero le streghe. Mia madre mi disse qualcosa, ma molto di più seppi dalla vecchia levatrice che frequentava la nostra casa quando una delle mie sorelle sposate ebbe un bambino... era una vec­chia stranissima! A sette anni, avevo già cominciato a mettere in pratica le cose che avevo imparato.»

Barbee continuava ad ascoltare, quasi offeso che lei potesse crederlo capa­ce di prestar fede a simili assurdità e mezzo affascinato.

«Il primo incidente serio ebbe luogo quando avevo nove anni. Harry, uno dei miei fratellastri, aveva un cane chiamato Tige, che, per motivi che ignoro, non mi poteva vedere. Ringhiava appena cercavo di accarezzarlo, minaccioso come quel terribile cane di oggi. Altro segno, diceva mio padre, che ero una strega, mandata a infliggere l’ira del Signore sulla sua casa.

Un giorno, Tige mi azzannò e Harry si mise a ridere, dandomi della strega e minacciando di scatenarmi ancora contro il cane. Forse scherzava, non so, ma io vinta dall’ira mi lasciai andare a dirgli che gli avrei dimostrato che cosa può fare una strega. Gli promisi che avrei gettato un incantesimo sul suo cane e lo avrei fatto morire. Feci del mio meglio per mantenere la promes­sa.»

Socchiuse gli occhi, al ricordo, e le sue narici palpitarono un poco.

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