— È morto?
— È in condizione di stasi — disse Zeus. — Brucia per l’eternità.
Preoccupato, riuscii a sollevarmi su un gomito. — Allora potrebbe essere liberato?
Aten mi lanciò un sorriso di scherno. — Nessuno di noi ha intenzione di liberarlo. E tu, Orion?
Scossi il capo in preda alle vertigini e borbottai: — Sarebbe stato meglio ucciderlo.
— Non è così semplice, amore mio. Accontentati della nostra vittoria.
— Molti dinosauri sono fuggiti — ricordai.
— Ottime prede per i tuoi amici Mongoli — disse Aten, stringendosi il mantello contro il corpo. Quindi riprese a scintillare.
— Aspetta! — gridai.
I Creatori posarono lo sguardo su di me, chi con espressione incuriosita, chi con aria seccata.
— E Subotai? L’ho portato qui insieme alla sua guardia personale, meno di un migliaio di uomini.
— Un discreto numero, direi — commentò Zeus.
— Gli ho promesso che avrei portato qui l’intero esercito. Cioè la sua gente, le loro donne, le loro greggi e tutti i loro beni.
— E allora? — domandò Aten, con tono sprezzante. — Il generale barbaro non ha avuto nessuna parte in questa storia. Non ci serve più.
Alzandomi a sedere, ribattei:
— È mio amico. Gli ho fatto una promessa.
— Ridicolo — schernì Aten.
— Non è una decisione che spetti a te solo — rispose Anya con astio.
— Mi spiace, ma penso di essere d’accordo con Aten — disse Zeus. — Non servirebbe a nulla.
— È già abbastanza difficile mantenere integro il tessuto del continuum — disse Ermes. — Perché operare un’altra distorsione, se non è proprio necessario?
— Lo farò da solo — dissi.
Tutti mi fissarono sbigottiti.
— Tu? — rise Aten — un giocattolo, una mia creatura; e tu saresti in grado di agire come un dio?
— Chi di voi ha portato Subotai e i suoi uomini in questo tempo e luogo? — domandai.
Si guardarono l’un l’altro, quindi tutti insieme rivolsero lo sguardo verso Anya.
La dea scosse il capo, sorridendo. — Non io, di certo. Ero nascosta nelle profondità della terra, in attesa del momento giusto per prendere il controllo del pozzo nucleare di Set. E voi eravate dispersi fra le stelle.
— Ma non è possibile che sia riuscito a farlo da solo! — gridò Aten.
Anya annuì. — Dev’essere così. Non è stato nessuno di noi.
— Sono stato io — ripetei.
Zeus abbozzò un sorriso privo di allegrezza. — Orion, stai acquistando i poteri di un dio.
— Non ci sono dèi — risposi, con aria grave. — Soltanto esseri simili a voi… e a Set.
Si alzò un brusio inquieto.
— Se Orion vuole portare qui la gente di Subotai, io dico che ha ben meritato questo diritto — Anya asserì con fermezza.
Nessuno la contraddisse.
Chiusi gli occhi, grato a lei in così tanti modi da non poterli nemmeno contare. In quell’attimo vidi la storia snodarsi davanti a me come una pellicola cinematografica fatta scorrere ad altissima velocità.
Vidi la gente di Subotai insediarsi in quell’immensa savana che si stendeva dal Mar Rosso alle coste dell’Atlantico.
Vidi i guerrieri mongoli uccidere i carnosauri con le loro lance: uomini dalla pelle scura vestiti di sudicie pelli ed elmetti di metallo, a cavallo di piccoli pony del Gobi.
Nelle generazioni a venire avrebbero dato vita a splendide storie di cavalieri nelle loro armature scintillanti, intenti a uccidere draghi dall’alito di fuoco per salvare principesse tenute prigioniere da incantesimi.
Vidi quegli uomini apprendere le arti dell’agricoltura dai nativi di Paradiso, imparentarsi con loro attraverso il vincolo del matrimonio una generazione dopo l’altra mentre i ghiacciai si ritiravano a nord liberando l’Europa dalla loro morsa, trasformando quella vasta distesa d’erba nel deserto bruciato conosciuto come Sahara.
Vidi i pronipoti del popolo di Subotai muoversi verso la valle del Nilo, abbandonando la savana prossima ad avvizzire, e lì sviluppare l’irrigazione e la civiltà. Quel pensiero mi fece sorridere: quei cosiddetti barbari erano i progenitori della più antica civiltà della Terra.
E vidi la tormentata Sheol erompere nel suo ultimo impeto di fiamma e collassare nell’ovoide di un pianeta, vorticando su se stessa, dipinta di strisce di colori brillanti, con decine di frammenti di Shaydan in orbita intorno a essa. Sapevo che a Zeus faceva piacere sapere che quel pianeta portava il suo nome.
E compresi, col cuore pesante, che tutta la violenza che avevo seminato, la distruzione di Sheol e del suo pianeta, l’era della Grande Estinzione che avevo portato sulla Terra, l’estinzione dei dinosauri e di innumerevoli altre forme di vita… tutto era stato parte dei piani del Radioso.
Udii la sua risata di disprezzo mentre contemplavo il regno di morte che avevo portato sulla Terra.
— Io sono l’evoluzione, Orion — si vantò. — Sono la forza della natura.
— Tutta questa morte… — singhiozzai.
— Era necessaria. I miei piani contemplano eoni di storia, Orion. I dinosauri erano un ostacolo per me quanto lo erano per Set. Dovevano estinguersi, altrimenti non avrei mai potuto portare alla vita il genere umano. Tu li hai spazzati via, Orion. Per me! Pensi di essere simile a un dio, ma sei ancora una mia creatura, Orion, un giocattolo nelle mie mani. Da usare quando io lo ritenga più opportuno.
Nella città senza tempo protetta dalla cupola d’energia, Anya mi guarì dalle ferite del corpo e dello spirito. Gli altri Creatori ci avevano lasciati soli in quel vuoto mausoleo, soli fra i templi e i monumenti che avevano creato per sé.
Le mie ustioni guarirono velocemente. Un po’ meno la ferita causata dal suo finto tradimento. Compresi che Anya era stata costretta a fingere di avermi abbandonato, altrimenti Set avrebbe scoperto le sue intenzioni quando avesse sondato la mia mente. Eppure il dolore era ancora vivo, il triste ricordo del tradimento bruciava ancora. Col passare dei giorni e delle notti, però, l’amore che provavamo l’uno per l’altra riuscì a gettare un ponte anche su quella breccia.
Anya e io eravamo sul limitare della città, di fronte alla massiccia figura dell’enorme piramide di Cheope, dello splendido rivestimento di pietra levigata brillante nel chiarore del mattino; il Grande Occhio di Amon accennava appena a formarsi mentre il sole si muoveva attraverso il cielo, verso la posizione dalla quale avrebbe generato quella scultura d’ombra.
Mi sentivo irrequieto. Anche se avevamo tutta la città a nostra disposizione, non potevo vincere l’inquietante sensazione che non fossimo del tutto soli. Gli altri Creatori erano dispersi attraverso gli universi, a guardia del continuum spaziotemporale che loro stessi avevano involontariamente dipanato; eppure nel profondo della mia mente continuavo a percepire la sgradevole sensazione che qualcuno ci stesse guardando.
— Non sei felice, qui — disse Anya mentre percorrevamo la base dell’enorme piramide.
Fui costretto ad ammettere che aveva ragione. — Era meglio nella foresta di Paradiso.
— Già — convenne lei. — Piaceva anche a me, anche se allora non ero in grado di apprezzarlo adeguatamente.
— Potremmo tornare laggiù.
Anya mi sorrise. — È questo ciò che vuoi?
Prima che potessi rispondere, una scintillante sfera dorata apparve di fronte a noi, fluttuando a pochi centimetri dalle lastre di pietra levigata che costituivano il nostro camminamento intorno alla base della piramide. Il globo si posò delicatamente sul pavimento, quindi si contrasse nella forma umana di Aten, vestita di una splendida tunica militare completa di collare e spalline con le mostrine sbiadite dal sole.
— Non avrai intenzione di andartene, Orion — disse, con voce leggermente meno beffarda del solito e un sorriso che indicava più disprezzo che cordialità.
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