Più tardi, quel pomeriggio, un trio di shaydiani a cavallo di altrettanti draghi uscirono dalla nebbia prodotta dal calore della terra, diretti verso di me. Gli pterosauri avevano fatto il loro lavoro. Stavo per essere ucciso, o catturato e trascinato nuovamente al cospetto di Set.
Per la prima volta da quando li avevo mai visti, gli shaydiani impugnavano armi. Ognuno di loro portava sulla schiena una sbarra di metallo lucente curiosamente contorta. Quando mi videro, i rettili si tolsero le armi dalle spalle e, reggendole saldamente tra le mani come fucili, spinsero i carnosauri al trotto.
Scesi dal cavallo e lo feci allontanare. Avevo già sacrificato un pony, e non avevo nessuna intenzione di ripetere quell’errore. Curiosamente, pensai di aver acquisito una parte del rispetto che i Mongoli nutrivano per i cavalli.
Mentre quei demoni si facevano più vicini, misi a fuoco il mio pensiero sul più vicino dei tre, penetrando per un istante nella sua mente. Quei fucili, con le loro bolle di metallo e le loro bocche lunghe e sottili, proiettavano raggi di fuoco, come piccoli lanciafiamme. Set sapeva di non poter contare soltanto su zanne e artigli in una battaglia contro i Mongoli; aveva bisogno di armi. E cosa c’era di più terrificante di un lanciafiamme, soprattutto se imbracciato da un rettile che ai mongoli poteva apparire simile a un demone?
In quel fugace momento durante il quale riuscii a penetrare nella mente dello shaydiano, riuscii a leggere qualcos’altro: non avevano ordine di prendermi vivo. Set non aveva intenzione di concedermi un’altra possibilità. Quei tre suoi cloni erano venuti per uccidermi.
I miei sensi entrarono immediatamente in ipervelocità, e la scena rallentò come se il tempo si fosse dilatato. I tre shaydiani sollevarono a spalla i loro fucili, puntando i loro acutissimi occhi su di me. Vidi le loro dita artigliate fare pressione sui grilletti ricurvi.
Mentre miravano, dovettero allentare per un breve istante la loro attenzione alla guida delle proprie cavalcature. I feroci carnosauri, diretti mentalmente dai loro cavalieri, avanzavano a passo di trotto verso di me. Ma le loro menti rimasero per un momento prive del controllo degli shaydiani.
Disperatamente, scagliai un dardo d’energia mentale nel cervello dei tre dinosauri, i quali strillarono e s’impennarono in tutta la loro altezza, gettando a terra due dei cavalieri e costringendo il terzo a lasciar cadere la propria arma per aggrapparsi con ambo le mani alla schiena del proprio animale.
Osservai quella scena come al rallentatore. Mentre i due shaydiani stavano ancora cadendo a terra, mi scaraventai con tutte le forze verso il fucile che galleggiava a mezz’aria. Lo afferrai prima che potesse cadere fra l’erba. Serrai le dita intorno a esso nello stesso istante in cui udivo il tonfo sordo dei due cavalieri che colpivano il terreno.
I dinosauri continuavano a sibilare; i due che si erano liberati dei loro cavalieri cominciarono ad allontanarsi. Il terzo, invece, nuovamente sotto il controllo mentale del suo padrone, avanzava dritto su di me.
Schivai una zampa che mi avrebbe schiacciato impietosamente sotto il suo peso e feci fuoco contro l’umanoide che la controllava. Il torrente di fiamma che fuoriuscì dal fucile lo tagliò in due all’altezza della vita. Mentre quel corpo straziato cadeva dalla schiena del dinosauro, l’animale si girò verso di me, abbassando l’enorme capo e spalancando una bocca coperta di denti dall’orlo seghettato e grandi come la mia scimitarra.
Premetti il grilletto con tutte le forze mentre mi spostavo di lato. La fiamma si riversò dritta nella sua gola. Il mostro colpì il terreno con un potente tonfo, facendo letteralmente tremare il suolo e urlando come una locomotiva a vapore.
Sollevai lo sguardo. Gli altri due shaydiani cercavano di recuperare i fucili persi nella caduta. Feci fuoco verso il più vicino di loro, che cadde a terra privo di vita. Ma quando mi voltai verso il terzo, il mio fucile non diede alcuna risposta. Era scarico.
Lo shaydiano aveva raggiunto il suo fucile e lo stava raccogliendo tra l’erba. Gettai la mia arma ormai inutile contro di lui e scattai in avanti, con la scimitarra sguainata. Il fucile lo colpì alla testa come una mazza, facendolo cadere a terra. Prima che riuscisse nuovamente a sollevare la sua arma contro di me, gli ero già abbastanza vicino da calciargliela via di mano.
Lo shaydiano mi guardò con odio attraverso i suoi rossi occhi da rettile e si rimise in piedi. Avanzò sibilando verso di me, protendendo gli artigli. Lo colpii con la scimitarra; lui riuscì a bloccare il colpo con il braccio, ma io fui in grado di portare la lama sotto di esso e di colpire. La punta della spada si fece strada attraverso le scaglie sul suo petto e penetrò profondamente fra le sue carni. Con un ultimo sibilo d’agonia mortale il rettile cadde a terra, coperto di sangue.
Immediatamente proiettai un’immagine mentale in direzione di Set. Gli inviai una scena in cui erano raffigurati due dei suoi cloni morti fra l’erba insanguinata ma il terzo in piedi, presso il mio corpo bruciato. Con tutta la forza di volontà di cui disponevo, presentai mentalmente me stesso come uno dei cloni di Set, e il corpo senza vita ai miei piedi come il mio.
— Hai agito bene, figlio mio — rispose la voce telepatica di Set. — Adesso ritorna con il suo corpo, che lo devo esaminare.
Richiamai mentalmente uno dei carnosauri e montai sul suo dorso per dirigermi verso la fortezza presso il Nilo. Set aveva dunque creduto davvero al messaggio che gli avevo inviato? O stava semplicemente attirandomi verso la sua fortezza di modo da poter disporre di me con maggior facilità?
Non c’era che un modo per scoprirlo. Diressi il dinosauro verso il lago, concentrando intensamente la mia immagine fasulla di modo che persino gli pterosauri di vedetta nel cielo “vedessero” ciò che volevo mostrar loro e comunicassero a Set quell’immagine.
Quando raggiunsi il giardino presso il Nilo era notte fonda. La fortezza si ergeva a breve distanza da lì. L’avrei raggiunta al buio, il che avrebbe lavorato a mio vantaggio. Sapevo che non avrei potuto mantenere il mio travestimento una volta penetrato all’interno delle mura di Set… se anche era caduto nel mio tranello.
Il cielo era completamente scuro e privo di stelle; scuro come il più profondo dei pozzi dell’inferno, mentre dirigevo il mio carnosauro verso le mura ricurve della fortezza. Il debole chiarore fosforescente delle pareti stesse era l’unica fonte di luce in quella notte, resa incredibilmente scura dal campo energetico di Set. Non si sentiva un solo insetto ronzare; né gracidava una sola rana, o urlava una sola civetta. Le ombre erano silenziose quanto i rettili di Set. La notte era paurosamente, innaturalmente quieta, come se Set fosse stato in grado di controllare mentalmente persino il vento e il flusso del Nilo.
Arrampicatomi lungo la schiena della mia cavalcatura fino alla sua testa, mi sporsi più in alto possibile sul muro. Non ne raggiungevo la cima, ma fortunatamente la sua superficie non era del tutto liscia. Come un guscio d’uovo, era leggermente porosa. Non molto, ma forse quanto bastava per permettermi di scalarla. E la parete s’incurvava verso l’interno. Liberatomi degli scarponi moscoviti che avevo calzato, mi arrampicai a piedi nudi lungo la superficie ricurva e scivolosa mentre ordinavo mentalmente al mio dinosauro di proseguire da solo verso il cancello.
Parecchie volte la mia presa precaria sulla parete rischiò di venire meno, mettendomi a rischio di cadere a terra. Dovetti impedire alle mani e ai piedi di sudare e diventare scivolosi. Infine, dopo quella che sembrò un’ora di ascesa dolorosamente lenta, raggiunsi la cima della parete e mi appiattii sul ventre contro la sua sommità.
Potevo percepire il ronzio dell’energia all’interno dell’edificio. Il materiale simile a guscio d’uovo che lo componeva era caldo, non per i raggi solari che l’avevano irradiato durante il giorno ma per l’energia che pulsava sotto di esso. Dovevo raggiungere la fonte di quell’energia, il pozzo nucleare che si apriva nel cuore della fortezza.
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