Provai la sensazione di non essere solo sulla cima della parete. Nell’oscurità non riuscii a scorgere nulla davanti a me. Quando mi voltai per guardarmi indietro, le viscere mi si contorsero per l’orrore. Uno di quegli enormi serpenti dal morso letale strisciava verso di me con gli occhi rossi e saettanti d’odio implacabile, le fauci spalancate, le zanne gocciolanti veleno.
— Pensavi davvero di potermi ingannare, stupida scimmia? — la voce di Set bruciò cocente dentro di me. — Pensavi davvero che la tua mente scimmiesca potesse avere la meglio sulla mia? Benvenuto nella mia fortezza, Orion. Per l’ultima volta!
Il mio corpo cominciò a funzionare in ipervelocità come mai aveva fatto fino ad allora. Mi rotolai sulla schiena, saltando in piedi con l’agilità di un acrobata, in equilibrio sui talloni mentre il serpente saettava verso di me.
Il suo primo assalto andò a vuoto, perché non mi trovò più dove pensava che fossi. Ma immediatamente il rettile si ritrasse sulle sue spire, pronto ad attaccare nuovamente mentre estraevo la scimitarra dal fodero. L’immenso corpo del serpente era più spesso del mio braccio e lungo non meno di sette metri. Spiccò un altro balzo in avanti.
Questa volta ero pronto. Con un fendente a due mani gli staccai la testa e la vidi cadere lentamente nell’oscurità sottostante. Il suo corpo decapitato mi colpì al petto, inondandomi di sangue e facendomi barcollare all’indietro. Per alcuni lunghi istanti esso si contorse violentemente mentre i miei sensi tornavano alla normalità e il mio respiro si faceva regolare.
— Quanti pensi di poterne affrontare, scimmione? — mi schernì Set. — Posseggo un numero quasi infinito di servitori pronti a obbedire al mio volere. Quanto tempo credi di poter resistere alle mie legioni?
Per un secondo o due rimasi immobile nell’oscurità, senza riuscire a scorgere altro che il debole chiarore in cima alla parete fosforescente curvare verso il basso e sparire nelle tenebre, come un’autostrada debolmente illuminata. Si stavano avvicinando altri serpenti, ne ero certo. E squadroni di shaydiani armati di fucili lanciafiamme, o peggio. Tutti sotto il controllo mentale di Set.
Frugai nella mia memoria per cercare di stabilire esattamente dove mi trovavo rispetto all’ingresso della fortezza. Quindi balzai verso la direzione opposta.
Udii un gran numero di corpi muoversi nel cortile sottostante. Con tutta probabilità, erano i cloni di Set che uscivano allo scoperto per affrontarmi. E poteva disporre anche di draghi, laggiù. E di sauropodi. E di schiavi umani.
Tutti sotto il suo controllo. Ma sarebbe stato in grado di controllarli tutti contemporaneamente?
Raggiunsi il punto in cui ricordavo che si trovava la piattaforma degli pterosauri e feci un balzo nell’oscurità. Atterrai pochi metri più in basso, piombando in mezzo ai rettili alati immersi nel sonno; emisero grandi strida, distendendo le ali artigliate mentre facevo mulinare la spada all’impazzata fra loro per farli volare via.
Con una mano afferrai la zampa di uno di quei volatili nell’istante in cui si librava in aria. Ero di gran lunga troppo pesante per le sue ali, e presto calammo nuovamente verso terra tra le strida e il frullio d’ali dell’animale. Mollai la presa dal mio paracadute vivente non appena scorsi il terreno sotto di me. Atterrai con un pesante tonfo rotolando su me stesso; lo pterosauro scomparve fra le ombre, battendo le ali e strillando come uno spettro.
Confusione. Avevo perso l’elemento sorpresa; in effetti non l’avevo mai posseduto. Ma ero in grado di sollevare una confusione notevole, là nel cortile. Vediamo quanto è fermo il controllo di Set su tutti i suoi servitori, dissi a me stesso.
I carnosauri e i sauropodi pestavano la terra furiosamente nei loro recinti, furibondi per essere stati risvegliati così bruscamente dagli schiamazzi degli pterosauri. Bene! Nella penombra del cortile mi precipitai verso i recinti dei carnosauri, instillando in loro una proiezione mentale di dolore mentre correvo tenendomi nascosto nell’ombra.
Le loro grida erano musica per le mie orecchie. Uno shaydiano uscì dalle tenebre davanti a me stringendo un lanciafiamme fra le mani. Feci volteggiare la scimitarra oltre la spalla e lo colpii fra le costole, aprendolo dal collo al ventre. Con la mano sinistra m’impadronii del suo fucile mentre cadeva.
Rinfoderando la spada insanguinata mi voltai e sparai un proiettile di fuoco contro i recinti dei carnosauri. La cosa li mandò in preda al panico, e gli animali infransero i recinti urlando a squarciagola. Un’altra raffica di fuoco mutò i sauropodi, normalmente miti, in un branco impazzito di bruti i quali, usciti anch’essi dai loro recinti, si riversarono precipitosamente nel cortile.
Avevo causato una confusione decisamente considerevole. Il cortile era in preda al caos, mentre gli shaydiani mi davano la caccia procurando di tenersi il più possibile lontani dalla traiettoria dei dinosauri impazziti, che sbucavano da tutte le direzioni.
Mi precipitai verso la porta oltre la quale erano rinchiusi gli uomini tenuti in schiavitù e l’aprii con un calcio. Al di là di essa il buio era completo, e fra tutte le urla e i rumori che provenivano dall’esterno non sarei stato in grado di udire nemmeno un’orchestra di ottoni. Feci un altro passo e incontrai il vuoto: mi ritrovai a ruzzolare goffamente giù per una ripida rampa di scale immersa nelle tenebre.
Caddi contro un corpo che lanciò un urlo nel buio più totale, allontanandosi quasi immediatamente. Sussurri di uomini nell’oscurità, alcuni impauriti, altri intontiti dal sonno. Quel posto puzzava di sudore ed escrementi. Mi rimisi in piedi tra gli urti e le spinte di molti corpi accalcati contro il mio.
— Venite con me! — comandai, sovrastando il rumore proveniente dall’esterno. — Seguitemi verso la libertà!
Qualcuno accese una scintilla, e una piccola lanterna prese vita. Mi trovavo in una stanza troppo ampia perché la debole fiammella riuscisse a illuminarla tutta. Una folla di volti sudici, emaciati e spauriti mi guardava con occhi rossi, le guance incavate e la pelle segnata dai morsi dei pidocchi e dai colpi di frusta. Stipati insieme come bestie mute in quella specie di ossario, centinaia di uomini e donne batterono le palpebre, incapaci di credere alle mie parole. Non avevo modo di stabilire quanti altri di loro fossero nascosti nell’ombra, al di là del tenue chiarore della lanterna.
— Andiamo! — gridai. — Andiamocene da qui! — Gettai il lanciafiamme verso l’uomo che mi era più vicino. Costui barcollò all’indietro, quindi prese a fissare sbalordito quell’arma fra le sue mani.
— Orion! — gridò una voce giovanile. Qualcuno si aprì la strada fra le ombre, spingendo da parte i propri compagni nell’avanzare verso di me. — Orion, sono io! Chron!
Stentai a riconoscerlo. Sembrava invecchiato di dieci anni. Il suo corpo era estremamente scarno, la sua pelle pallida e malaticcia, gli occhi incavati profondamente in un volto troppo vecchio per la sua età.
— Chron! — gridai.
I suo occhi bordati di rosso erano colmi di lacrime. — Sapevo che saresti venuto. Sapevo che non potevano ucciderti.
— È venuta l’ora di farla finita con questi demoni! — ringhiai. — Andiamo!
Risalii la scalinata, con Chron alle mie spalle. Alcuni altri schiavi ci seguirono a loro volta; quanti non potevo saperlo, né importava granché. Giunto alla cima delle scale, vidi uno shaydiano profilarsi sulla soglia. Gli lanciai la spada dritta nel ventre prima ancora che potesse reagire. Quindi, raccolto il suo fucile, lo porsi a Chron. Adesso ne avevamo due.
Ci riversammo nel cortile disseminato di dinosauri imbizzarriti che facevano letteralmente tremare il terreno col calpestio dei loro pesantissimi piedi. Uno degli uomini dietro di me lanciò una fiammata contro uno shaydiano. Un’altra lingua di fuoco saettò mancandomi di poco per andare a infrangersi contro le mura. Proiettai nelle menti dei dinosauri l’ordine di divorare gli shaydiani; ma sembravano più interessati agli immensi sauropodi, loro prede naturali.
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