Ben Bova - Orion e la morte del tempo

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Orion e la morte del tempo: краткое содержание, описание и аннотация

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Orion non è un uomo come tutti gli altri: tanto per cominciare, è immortale. Scelto dai Creatori per essere il loro campione nei frangenti più pericolosi e contro nemici insidiosissimi, è costretto ad andare alla deriva nel tempo per battersi contro i pericoli che si annidano in epoche e secoli nascosti. Insieme ad Anya, una ragazza che condivide la sua sorte, è costretto questa volta a lottare non solo contro le forze ostili ai Creatori, gli enigmatici esseri che reggono le fila del suo destino, ma contro i Creatori stessi per riconquistare la libertà. E la partita si decide in un’era lontanissima, dove la morte del tempo non è più metafora ma realtà.

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Mentre una giovane bionda mi porgeva una tazza d’oro e una ragazza altrettanto bella versava in essa vino speziato, annunciai che Ogotai era morto nel sonno, e che io l’avevo incontrato la notte stessa della sua dipartita.

— Sembrava compiaciuto che l’impero mongolo regnasse in pace su quasi tutto il mondo conosciuto. Penso che fosse felice per il fatto che nessun nemico sia rimasto a combattere i Mongoli.

Subotai annuì, ma il suo volto assunse un’espressione triste. — Presto, Orion, l’inimmaginabile potrebbe accadere. Mongoli potrebbero rivolgersi contro Mongoli. Le antiche guerre tribali del Gobi potrebbero rifiorire, ma questa volta sarebbero eserciti di incredibile potenza a darsi battaglia da un capo all’altro della Terra.

— Come può essere? — domandai, sinceramente stupito. — La Yassa vieta che un Mongolo versi il sangue di un fratello.

— Lo so — rispose Subotai, con aria triste. — Ma temo che nemmeno la legge della Yassa possa fermare la battaglia che sta per scatenarsi.

Coricati fra i cuscini di seta, sotto lo sguardo pio dei santi bizantini che ci osservavano dall’alto del loro paradiso dorato e immutabile, Subotai mi spiegò quel che stava accadendo fra i generali mongoli.

In parole povere, non era rimasto loro alcun lembo di terra da conquistare. Gengis Khan, il condottiero che ricordavano con tanta reverenza da non osare nemmeno di pronunciarne il nome, aveva instradato le tribù del Gobi verso la conquista del mondo. Con tutta la Cina e l’Asia da combattere, i guerrieri del Gobi avevano interrotto i loro incessanti conflitti tribali per intraprendere uniti quella gloriosa impresa. Adesso erano padroni del mondo intero, fatta eccezione per le terre desolate e paludose d’Europa e il subcontinente indiano in cui il calore uccideva uomini e cavalli.

— L’elezione del nuovo Gran Khan porterà la divisione fra i Mongoli — predisse Subotai con mestizia. — Sarà un’ottima scusa per tornare ai vecchi conflitti interni al nostro popolo.

Adesso capivo. L’impero di Alessandro il Grande si era diviso allo stesso modo, coi generali che si combattevano l’un l’altro per mantenere il possesso del territorio da essi stessi conquistato o per sottrarre quello di un vecchio compagno in armi.

— Cos’hai intenzione di fare, mio nobile Subotai? — chiesi.

Il Mongolo vuotò il proprio calice e lo abbassò al proprio fianco. Immediatamente una delle schiave lo riempì fino all’orlo.

— Io non infrangerò le leggi della Yassa — disse. — Non farò mai scorrere sangue mongolo.

— Non volontariamente — commentò uno degli uomini che sedevano intorno a noi.

Subotai annuì, la bocca una linea sottile dipinta in un sofferente sorriso. — Guiderò i miei guerrieri verso occidente, Orion, oltre il fiume che chiami Danubio. È una terra difficile, fredda e coperta di cupe foreste. Ma è sempre meglio che combattere fra noi.

Se Subotai aveva intenzione di marciare sull’Europa, avrebbe sconfitto quella civiltà che iniziava solo in quel momento a scrollarsi di dosso le catene d’ignoranza e barbarie seguite al crollo dell’Impero Romano. Pochi secoli più tardi sarebbe fiorito il Rinascimento, con tutto ciò che esso rappresentava per il sapere e la libertà degli uomini. Ma tale processo non sarebbe certo avvenuto se i Mongoli avessero seminato distruzione da Mosca fino al canale della Manica.

— Mio nobile Subotai — dissi, scandendo le parole — un tempo mi hai chiesto di dire tutto ciò che sapevo di questa terra in cui ora siete accampati e delle terre che si stendono più a ovest.

Parte del vigore che aveva mostrato allora tornò nei suoi occhi.

— Già! E adesso che sei tornato da me, sono ancora più impaziente di apprendere altre notizie sui Franchi, sui Germani e sulle altre popolazioni dell’estremo occidente.

— Ti dirò tutto ciò che so, ma come già sai le loro terre sono fredde e coperte da foreste, e costituiscono un territorio disagevole per un guerriero mongolo.

Subotai tirò un profondo sospiro. — Ma quali altre terre esistono per i miei uomini?

La sua domanda fece affiorare un sorriso sulle mie labbra.

— Conosco un luogo, mio signore, in cui la prateria si stende per quanto un uomo possa cavalcare nel giro di un anno. Un luogo popolato da grossi felini coi denti a sciabola e altri animali ancora più feroci.

Subotai sgranò gli occhi, e i guerrieri intorno a lui si portarono più vicini.

— Pochi uomini popolano quei luoghi, così pochi che è possibile cavalcare per settimane senza incontrarne uno.

— Così non potremo combattere?

— Dovrete combattere, invece — dissi. — È una terra dominata non da uomini, ma da mostri quali nessuno ha mai visto prima d’ora.

— Mostri? — domandò impulsivamente uno dei guerrieri. — Che genere di mostri?

— Ne hai mai visti di persona?

— Hai intenzione di spaventarci con delle frottole, uomo dell’Occidente?

Subotai li fece zittire con un cenno d’impazienza.

— Sono stato laggiù, miei signori, e ho visto di persona quella terra e i mostri che la dominano. Sono spietati, potenti e malvagi.

Passai l’ora successiva descrivendo Set e i suoi cloni shaydiani, nonché i dinosauri che aveva portato con sé dal Mesozoico.

— Gli esseri di cui parli — disse infine Subotai — si direbbero molto simili ai djinn dei Persiani o ai folletti temuti dai popoli delle montagne.

— Sono temibili, questo è certo — dissi. — E posseggono grandi poteri. Ma non sono spettri, né fantasmi. Sono esseri mortali, come voi o me. Io stesso ne ho ucciso qualcuno con poco più che una lancia o un coltello.

Subotai si lasciò sprofondare nuovamente nei suoi cuscini di seta, con aria meditativa. Gli altri continuarono a bere e a porgere i loro boccali in richiesta di altro vino. Bevetti anch’io. E attesi.

Infine, Subotai domandò: — Potresti guidarci in questa terra?

— Certo, mio nobile Subotai.

— Mi piacerebbe vedere questi mostri coi miei stessi occhi.

— Posso portartici.

— Fra quanto tempo? Quanto tempo occorre per compiere questo viaggio?

Improvvisamente compresi di essermi cacciato da solo in una trappola. Trasportando Subotai e gli altri Mongoli indietro nel Neolitico avrei rivelato loro poteri tali da convincerli che fossi uno stregone. I Mongoli non trattavano troppo bene gli stregoni; erano soliti passarli a fil di spada o ucciderli in modi ancor più atroci.

Inoltre, una volta raggiunto il Neolitico, avrebbero potuto benissimo osservare i rettili di Set e concludere che si trattava di creature soprannaturali. Sebbene i Mongoli non temessero alcun essere umano sulla terra, la vista degli shaydiani avrebbe potuto terrorizzarli.

— Mio nobile Subotai — risposi prudentemente — la terra di cui parlo non può essere raggiunta a dorso di cavallo. Potrei guidarvi domattina stessa, se lo desiderate, ma il viaggio potrebbe apparirvi piuttosto strano.

Il Mongolo mi guardò di sbieco. — Sii più preciso, Orion.

Gli altri si sporsero in avanti, più incuriositi che preoccupati.

— Sapete che vengo da una terra lontana — dissi.

— Da oltre il mare che si stende fino al cielo — disse Subotai, citando ciò che gli avevo detto anni prima.

— Già — confermai. — Nella mia terra la gente è solita viaggiare in modi piuttosto strani. Non hanno bisogno di cavalli. Possono valicare le montagne e attraversare i mari in un batter d’occhio.

— Stregoneria! — commentò con asprezza uno dei guerrieri.

— No — risposi. — Soltanto un modo per viaggiare più velocemente.

— Come i tappeti magici di cui narrano i cantastorie di Bagdad? — domandò Subotai.

Afferrai al volo quell’idea. — Infatti, mio signore, qualcosa di molto simile.

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