Il vecchio batté sulla tastiera per liberare lo schermo e disse stancamente: — Tarb, non portate buone notizie. Ma dobbiamo pensare che siano vere.
— Sì, signore — dissi automaticamente.
— Dobbiamo agire con rapidità, per rispondere a questo pericolo — dichiarò. La sua pomposità non se n’era andata insieme al suo buon umore. — Capirete, naturalmente, che non possiamo comunicarvi i nostri piani…
— Certamente no, signore!
— … e capirete anche che non possiamo ancora fidarci completamente, anche se Mitzi Ku garantisce per voi — continuò, mentre il suo sguardo freddo passava sul tavolo per fissarsi su di lei. Mitzi si stava guardando la punta delle dita, e non alzò gli occhi. — Provvisoriamente, accettiamo la sua garanzia. — A quelle parole Mitzi ebbe una smorfia, ed io intuii quali potevano essere state le alternative discusse.
— Capisco — dissi. — Cosa volete che faccia?
— Vi si ordina di continuare con il vostro lavoro. Questo è il nostro progetto principale, e non può essere interrotto. Mitzi e il resto di noi dovremo fare… altre cose. Per cui agirete autonomamente, in un certa misura. Che questo non vi renda trascurato.
Annuii, aspettando se c’era dell’altro. Non c’era. Des Haseldyne mi condusse alla porta, e mi scortò fin dall’altra parte. Mitzi non aveva detto una parola. Ai piedi della scala, Haseldyne mi spinse in un altro compartimento antiladri. Prima di chiudere la porta, disse secco: — Aspettate i ringraziamenti? Dimenticatevene! Vi abbiamo ringraziato abbastanza lasciandovi vivo.
Mentre aspettava che la porta esterna si aprisse, sentii i brontolii e gli squittii infuriati, mentre ricominciavano a discutere fra di loro. Quello che Haseldyne aveva detto era vero: mi avevano lasciato vivo. Ma era altrettanto vero che potevano rovesciare la decisione m qualsiasi momento. Potevo prevenirlo? Sì, decisi, ma in un solo modo: facendo un lavoro talmente buono da rendermi indispensabile… o più esattamente, da far loro pensare che fossi indispensabile.
Poi la porta si aprì.
Doveva esserci Des Haseldyne ai controlli. La sbarra della porta interna mi spinse fuori con tale forza che inciampai e caddi, finendo fra le gambe dei pedoni frettolosi. — Tutto bene, signore? — chiese un vecchio consumatore, guardandomi allarmato.
— Sto benissimo — dissi, rimettendomi in piedi. Non credo di aver mai detto una bugia più grossa in tutta la mia vita.
È una brutta faccenda, e faticosa, essersi alleati con una banda di criminali candidati alla lobotomia. Ed è ancor peggio accorgersi che sono degli inetti. Quella congrega di spie e sabotatori venusiani, messi tutti assieme, avrebbero forse avuto l’abilità e la perversità sufficienti a passare i controlli di un supermercato con dei buoni-sconto falsificati. Ma quanto a salvare il loro mondo contro la potenza della Terra, non erano semplicemente all’altezza.
Dixmeister fu fortunato quel pomeriggio. Quando tornai zoppicante nel mio ufficio, gli sbraitai di farsi i suoi affari e di lasciarmi solo fino a nuovo ordine. Poi mi chiusi a chiave, e cominciai a pensare.
Senza Mokie e pillole verdi dietro cui nascondersi, quello che vedevo quando aprivo gli occhi era la nuda realtà. Non era una vista attraente, perché era piena di problemi… tre in particolare.
Primo: se non riuscivo a convincere i Venusiani che avevano bisogno di me, e che potevano anche fidarsi, il buon vecchio Haseldyne avrebbe saputo cosa fare. Dopo di che non avrei avuto altre preoccupazioni.
Secondo: se facevo quello che mi dicevano, il futuro si prospettava nero. Non ero stato consultato nella pianificazione della loro campagna strategica, ma più ci pensavo, meno mi sentivo sicuro che avrebbe funzionato.
Terzo, e peggio di tutto: se non funzionava eravamo tutti quanti fritti. Avremmo passato il resto della nostra vita a rotolarci per terra, con addosso pannolini, imboccati da inservienti a cui stavamo antipatici, ricevendo i nostri principali stimoli mentali dalle lucette che si accendevano e spegnevano. Tutti noi. Non solo io. Anche la donna che amavo.
Non volevo che Mitzi Ku fosse lobotomizzata.
Non volevo neanche che fosse lobotomizzato Tennison Tarb. La limpidezza di pensiero che avevo acquisito di recente mi indicava che almeno per quest’ultima parte c’era una via di uscita. Dovevo solo prendere il telefono, chiamare la Commissione per la Moralità Commerciale, e denunciare i Venusiani; me la sarei cavata probabilmente con la Colonia Penale Polare, forse anche solo con la riduzione allo stato di consumatore. Ma questo non avrebbe salvato Mitzi…
Poco prima dell’ora di chiusura, Mitz: e Des convocarono una riunione di tutti i dirigenti. Mitzi non aprì bocca, e non mi guardò neppure. Parlò solo Haseldyne: Disse che c’erano delle inattese possibilità di espansione, e che lui e Mitzi sarebbero stati via qualche tempo per investigarle. Nel frattempo, era stato reclutato Val Dambois dalla T.G.&S., che sarebbe subentrato come direttore generale protempore; il Dipartimento Intangibili sarebbe stato diretto autonomamente da Tennison Tarb, cioè io, e lui, Des Haseldyne, era sicuro che avremmo proseguito il nostro lavoro in perfetta efficienza.
Non fu un discorso molto convincente. La gente si scambiò occhiate preoccupate e furtive. Mentre ci alzavamo, riuscii ad accostarmi a Mitzi, e le sussurrai nell’orecchio: — Va bene se mi sistemo nel tuo appartamento?Lei si limitò a guardarmi e ad alzare le spalle.
Non ebbi occasione di continuare il discorso, perché a questo punto Val Dambois mi prese per le spalle. — Devo dirti una parola, Tenny — sibilò, e mi portò nell’ufficio di Mitzi… che adesso era diventato il suo. Chiuse la porta, accese lo schermo anti-spie, e disse: — Non diventare troppo autonomo, Tarb. Ricordati che io sarò qui a sorvegliarti. — Non avevo bisogno che me lo ricordasse. Quando non risposi, mi fissò negli occhi. — Puoi farcela? — chiese. — Stai bene?
Risposi nell’ordine: — Posso farcela — il che era più una speranza che una convinzione. E: — Mi sento come uno che ha due interi pianeti sulle spalle. — Il che era vero.
Lui annuì. — Ricorda solo, che se devi lasciarne cadere uno, deve essere quello giusto.
— Sicuro, Val — dissi. Ma qual era quello giusto?
Dal momento che Mitzi non mi aveva detto che non potevo andare nel suo appartamento, ci andai. Non mi aspettavo di trovarla quella notte, e infatti fu così. Ma non rimasi del tutto solo. Val Dambois si preoccupò di fornirmi compagnia. Mentre aspettavo un taxi, fuori dall’ufficio, notai un tipo tutto muscoli che bighellonava lì vicino, e ritrovai lo stesso individuo fuori dal condominio di Mitzi, quando uscii la mattina dopo. Non mi importava. In ufficio mi lasciavano solo, ma anche se non l’avessero fatto, probabilmente non me ne sarei accorto. Ero troppo occupato. Volevo togliermi dalle spalle quel peso di due mondi, e l’unico sistema era vincere quella guerra per loro… in qualche modo.
C’era una dozzina di importanti temi pubblicitari da preparare per le elezioni, e solo pochi giorni di tempo. Diedi l’incarico a Dixmeister di trovare gli spazi sulle varie reti e di occuparsi della produzione, mentre io mi dedicavo completamente alla ricerca degli attori e alla composizione dei copioni.
Normalmente, quando il capo di un progetto dice una cosa del genere, significa che c’è una mezza dozzina di cacciatori di teste che cercano gli attori per lui, e come minimo altrettanti redattori che si occupano dei copioni; quello che gli resta da fare, più che altro, è dare calci nel sedere per essere sicuro che facciano il lavoro. Nel mio caso, la cosa era leggermente diversa. Avevo lo staff, e li prendevo a calci nel sedere. Ma avevo anche dei progetti personali. Non che mi fossero molto chiari. Ed erano ben lungi dal soddisfarmi. E non c’era nessuno con cui potessi parlarne, per vedere che effetto facevano. Ma erano quelli che mi tenevano in ufficio sedici ore al giorno, invece delle dieci o dodici che sarebbero normalmente bastate. Non mi lamentavo: cos’altro avevo da fare?
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